L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I castrati di Paisiello

di Roberta Pedrotti

Giovanni Paisiello

ouverture e arie da Antigono, Il gran Cid, Il ritorno di Perseo, Demetrio, Catone in Utica, Alessandro, La pace, Cantata per San Gennaro

Giacomo Tritto

aria da Artanice

Felice Alessandri

aria da Artaserse

Domenico Cimarosa

recitativo e aria da Oreste

Filippo Mineccia, contraltista/ controtenore

Massimo Mazzeo, direttore

ensemble Divino Sospiro

registrato a Lisbona nel febbraio 2017

PAN CLASSICS, PC 10394, 2018

La carriera teatrale di Giovanni Paisiello (1740-1816) abbraccia un abbondante mezzo secolo: inizia nel 1764, quando ancora sfolgorano i castrati e l'opera metastasiana mentre Gluck teorizza e concretizza tendenze drammaturgiche già gradualmente emerse; si chiude nel 1808, al tramonto delle glorie degli evirati cantori, alle soglie della grande stagione rossiniana.

Avvezzo a stuzzicanti progetti monografici, Filippo Mineccia si dedica ora alla collaborazione del compositore tarantino con alcuni castrati, più o meno celebri, del suo tempo. Manca il Pacchiarotti, che di Paisiello tenne a battesimo solo I giuochi d'Agrigento a fine carriera, ma ci si concentra su collaborazioni più assidue, come quella con Giovanni Rubinelli, Giuseppe Aprile e Angiolo Monanni detto Manzoletto, o con Francesco Fariselli. Lo spettro cronologico dei brani prescelti spazia dal 1771 del Demetrio al 1789 del Catone in Utica accogliendo anche alcuni brani non paisielliani destinati ai medesimi interpreti, sì da arricchire lo spaccato di un'epoca: per il Manzoletto Felice Alessandri (1747-1798) scrive Artaserse, Giacomo Tritto (1733-1824) la parte di Oronteo in Artenice, Domenico Cimarosa (1749-1801) quella di Pilade in Oreste.

Il panorama è, dunque, stilisticamente omogeneo, focalizzato su una koiné operistica di scuola napoletana, ed è omogeneo il riferimento a una rosa selezionata di primi interpreti. Così, diventa ancor più interessante apprezzare nel dettaglio il bagaglio d'eloquenza teatrale, la pregnanza drammaturgica di un repertorio chre sta reindirizzando il virtuosisimo al pathos più che all'astrazione sublime, scolpendo la parola anche in rapporto a una dimensione strumentale sempre più ombreggiata e densa, con uno sviluppo della coloratura che sottolinea il verso, non lo trascende, e mostra modi sia nell'assertività di forza, sia nella leggiadria galante di "Fiumicello che riceve" dimostrano la continuità fra l'opera seria del secondo Settecento e il Belcanto ottocentesco. Nondimeno "Già che morir degg'io" è caratterizzata da un patetismo particolarmente significativo per lo sviluppo del rapporto fra tonalità, strumentazione, melos e articolazione del testo. Non per nulla questa generazione di castrati sarà quella che formerà la generazione delle Colbran e delle Pisaroni.

Filippo Mineccia ha al suo arco innanzitutto la chiarezza retorica: la pronuncia è limpida, la dizione impeccabile, il senso della parola cantata nel contesto musicale, poetico e drammatico espresso con intelligenza e comunicativa trasparente. Sia la tragicità tormentata dell'Oreste cimarosiano, sia una solenne cantata dedicata a San Gennaro o celebrativa dell'ancien régime, sia un'opera politica dai tratti pericolosamente sovversivi come il Catone in Utica, l'accento sarà sempre pertinente, tanto più variegato quanto più in queste arie si rileva una distinzione più sfumata di contrasti ed affetti rispetto ai corrispettivi di qualche decennio prima. 

Gioca in favore del contraltista italiano anche la peculiarità del colore, immediatamente riconoscibile. È una voce androgina non perché sia asessuata, fanciullesca o angelica: è androgina proprio perché contiene un'essenza di virilità sua specifica, sublimata e non binaria. Parimenti nel timbro le tinte calde assumono talora tratti aciduli che non dispiacciono, ma arricchiscono il sapore e l'espressione di una tragedia in musica che accompagna gli ideali di Canova, le rovine di Piranesi, le tempeste di Turner, i coturni di David e gli incubi di Goya.

L'ensemble Divino Sospiro diretto da Massimo Mazzeo offre il debito rilievo alla scrittura strumentale di Paisiello e al suo rapporto sempre più stretto e articolato con l'espressione vocale.

Un ringraziamento speciale va infine al sempre più ricco gruppo di mecenati che collabora al finanziamento di questi progetti discografici. Tutti giustamente elencati nel libretto del cd.


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