L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le voci dell'abbandono

di Roberta Pedrotti

Arianna

musiche di Scarlatti, Händel, Haydn

Kate Lindsey, mezzosoprano

Jonathan Cohen, direttore, cembalo e organo portativo

ensemble Arcangelo

registrazione effettuata nell'agosto 2019 a Londra

CD Alpha Classics Alpha 576, 2020

Da Monteverdi a Richard Strauss, fino almeno a Silvia Colasanti, che la vede fra i protagonisti del suo Minotauro (2018), Arianna ricorre con il suo mito nella storia della musica, all'opera e nei territori limitrofi della cantata. Particolarmente interessante, in tal senso, è il percorso che propone Kate Lindsey, che affronta tre diverse declinazioni della vicenda della principessa abbandonata a Nasso. Abbiamo due intonazioni coeve - 1707 - da parte di due compositori di diverse generazioni, il quarantasettenne Alessandro Scarlatti e il trentaduenne Georg Friedrich Händel, quella posteriore di un'ottantina d'anni (1790) di Franz Joseph Haydn. 

Scarlatti e Händel si trovano entrambi a Roma, entrambi gravitano intorno all'Accademia dell'Arcadia, ma il lavoro va in direzioni diverse. Il padre eletto delle forme dell'opera seria, con stile nobile e severo, tratta il mito come un oratorio profano: le arie rappresentano direttamente dalla voce di Arianna gli affetti della principessa abbandonata, ma i recitativi ne narrano le vicende in terza persona. Vicende, si badi bene, dal preciso intento morale, giacché si percorre l'ebrezza amorosa tradita, la sensualità punita, le arie abbracciano l'abbandono erotico, l'ardore fiducioso, la furia di vendetta, il più profondo scoramento. La risoluzione con l'apparizione di Bacco è trattata dalla voce esterna del narratore in un recitativo-arioso conclusivo che risulta, inevitabilmente sbrigativo rispetto allo spazione al rilievo dato all'amore ferito, al passaggio dall'estrema gioia all'estremo dolore. Viceversa, il giovane sassone conferisce alla cantata un movimento più teatrale e mondano. Dopo la sonata introduttiva non c'è un austero recitativo, ma subito l'effusione dell'aria, tutto è espresso in prima persona e l'incipit ci coglie subito di fronte ad Arianna abbandonata e dolente. Non più dall'amore al dolore attraverso la furia, ma l'incredulità di fronte all'abbandono, con il pianto mescolato alla speranza di pentimento del fedifrago, riconferma dell'amore, della fedeltà e della fiducia, infine una luminosa affermazione di riscatto nei versi dell'ultima aria "Per trofei di mia costanza". Non si fa cenno all'arrivo di Bacco, ma solo genericamente a un rivolgimento della sorte, come il sole che riappare dopo la tempesta ("e "saran gioie i tuoi dolor") in uno stile morbidamente affettuoso, in una cantabilità fiorita secondo la moda emergente (la stessa che Handel porterà con sé a Londra a costo di sembrare poi demodé di fronte alle nuove correnti che giungeranno dal Continente).

La severità del concetto scarlattiano, con la passione punita il dolore ristorato dall'intervento celeste, divene, dunque in Händel, vitale celebrazione della sensualità, vittoriosa anche di fronte al tradimento e all'abbandono. Alla fine del secolo, invece, Haydn espunge ogni elemento sovrannaturale e tratta con la forza del declamato e di arie patetiche e agitate (che rigorosamente seguono il recitativo, di cui sono conseguenza ed evoluzione espressiva) il dolore furibondo di Arianna abbandonata. Non c'è più un contrasto di situazioni - idillio/abbandono o abbandono/speranza - ma si esplora solo il singolo momento del lamento, si focalizza l'attenzione su un unico elemento per sbalzarne le sfumature interne fra incredulità, smarrimento, disperazione. Il gioco della varietà e degli opposti si fa più minuto e meno afferrabile, il recitativo che in Scarlatti era addirittura espressione di un'osservazione esterna e neutrale, ora si eleva a voce tragica articolata e pateticamente pregnante non meno dell'aria.

Kate Lindsey ammette nelle note di copertina che questo tour de force emotitivo e stilistico è una vera sfida ai limiti di quanto avesse cantato finora. Ne esce a testa alta, rende giustizia al programma e amministra con intelligenza fraseggio ed emissione. Più stilizzata negli armonici, con un suono più fisso e sottile, in Scarlatti distingue bene la voce del narratore da quella di Arianna; in Händel il canto si fa più luminoso, più soffice, l'espressione più immediata e distesa; in Haydn, infine, l'articolazione si fa vivida, l'accento più spiccato e perentorio, in una scrittura poco virtuosistica (tant'è vero che si presuppone una destinazione non professionale, anche se il pezzo esige comunque la statura della tragédienne). Dai dintorni dell'Arcadia siamo passati a un'atmosfera stürmer, a quella che si suol chiamare Riforma gluckiana. Lindsey aderisce con passione e dedita consapevolezza al linguaggio e al colore specifico di ogni brano. Parimenti l'ensemble Arcangelo guidato da Jonathan Cohen si adatta come un guanto a ogni brano, con opportune variazioni d'organico, arcate, respiri e prassi. Clavicembalo per il basso continuo di Scarlatti ed Händel, quest'ultimo corroborato dai colori di un organo positivo, fortepiano per quello di Haydn, eseguito - l'originale è per tastiera - nell'orchestrazione dell'allievo Neukomm.

Chiare, complete, sintetiche le note di copertina, sobria ed eloquente la grafica (eviterei, però, quel maiuscoletto aggressivo per i testi biografici), a completare un prodotto di qualità, ben pensato e ben realizzato.


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