L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Schubert, Schumann, Brahms: viaggio al termine del Lied

 di Roberta Pedrotti

Il ciclo che ha visto protagonisti Ian Bostridge e Julius Drake per Bologna Festival si è chiuso, con la partecipazione eccellente del cornista Alessio Allegrini, con una serata dedicata a Schubert, Schumann e Britten, accostati con l'intelligenza acuta e profonda che ha contraddistinto tutte le tre serate.

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BOLOGNA, 20 novembre 2016 - Dopo la dolorosa educazione sentimentale del mugnaio e i passi del Wanderer affondati nella neve e nella notte, la celebrazione del Lied nel ritratto d’artista di Ian Bostridge e Julius Drake conclude il suo viaggio spingendosi versi i confini estremi di quest’arte: da Schubert e Schumann a Britten, Lied senza parole, affidato alla voce del corno, e Lied senza canto, affidato alla recitazione del tenore.

La voce del corno prende corpo grazie al fiato e alle dita di Alessio Allegrini, che duetta con Drake nell’Adagio e Allegro in la bemolle maggiore op.70 di Schumann e segna la dimensione più essenziale e universale del melos: Adagio, Lento e con espressione raccolta, Rapido e con fuoco. Nient’altro, ma un mondo si racchiude nell’intensità del legato di Allegrini così come nella scioltezza infallibile dei passi d’agilità. Ascoltando questo Schumann si comprende bene che esiste un linguaggio musicale europeo comune, composto, certo, di dialetti e sfumature, adattato in diverse forme e generi ma senza distinte patenti nazionali per melodia o armonia. La totale autonomia della poesia in musica rispetto al testo di questa pagina per piano e corno viene a coronare idealmente le nove del Liederkreis op. 24, intonate da Bostridge con la consueta finezza. Ancor più, anzi, si direbbe nello spazio relativamente più libero che questo ciclo gli concede, come nella successiva breve selezione dallo schubertiano Schwangesang (Frühlingsehnsucht, Kriegers Ahnung, Ständchen e Abschied) privo della precisa consequenzialità narrativa delle giornate precedenti. Spazia dal livello più elementare dell’espressione vocale, quasi un recitativo o un incunabolo di sprechgesang delicatamente sussurrato, a un’articolazione melodica più complessa, nelle cui linee paiono gemmare altri piccoli disegni in sé compiuti ma ben incastonati nell’arco complessivo, o apparentemente più immediata e semplice – il che non significa banale. Così ha modo di disciogliere più dolcemente quelle sonorità malate, sottilmente inquietanti che innervavano la drammaturgia dei due cicli schubertiani nei primi due concerti. Scivola con cura ben soppesata fra ombre virili ed emissioni quasi androgine, ora morbide e suadenti, ora bianche, esili e tese come un filo. La particolarità di questa voce, che la natura ha voluto bizzarra e difficile e l’intelligenza, affilando tutte le proprie armi, ha reso fedele strumento dell’arte, si muove nella poesia così come la intende Bostridge: musica in grado di condensare significati al di là e al di sopra del testo al quale aderisce, con i cui fonemi si integra indissolubilmente, irradiandone il potere come in un'esplosione. Anche nell’espressione più intima e raccolta, anche nell’ampliamento dei suoni, dei timbri e delle linee che incontriamo nel meraviglioso Auf dem Strom di Schubert, fluviale – è il caso di dirlo – Lied di oltre dieci minuti di durata per voce, corno e pianoforte. Fra i due poli estremi del canto senza parole del corno in Schumann e del canto senza note del tenore recitante nel Britten conclusivo, ecco l’unione di tre diverse voci poetiche, di tre musicisti in un unico melos della nostalgia sullo scorrere di un fiume. Se la morbidezza del suono di Allegrini è fuori discussioni e ogni lode spesa per Drake non pare superflua, impressiona come la volontà di Bostridge riesca a plasmare, dopo tante spigolose ossessioni e tanti contrasti d'emissione, il lirismo di questo Lied.

Il percorso interiore del canto e della poesia fra Schubert e Schumann, seppur delineato con una sensibilità analitica contemporanea, subisce lo schianto terribile del XX secolo. Britten si rivolge allo stesso organico triplice adottato da Schubert per Auf dem Strom, ma canta il trauma della guerra, di Londra bombardata come emblema di un mondo ferito da cui l’uomo e la sua riflessione su se stesso emergeranno irrimediabilmente cambiati. Per The Heart of the Matter, sui versi simbolici e apocalittici di Edith Stilwell, il canto non basta, non bastano la solennità e la nostalgia del corno né il tessuto del pianoforte: la parola è tanto dura e dolorosa che si fa spazio la pura recitazione, secca, nuda, resa da Bostridge con una padronanza magistrale, che va ben oltre il pur indubbio vantaggio del madrelingua, la pratica del palcoscenico e la retorica dell’accademico. Attualmente sta lavorando a un saggio sul War Requiem, sempre di Britten, e la profondità dell’approccio alla riflessione sulla guerra è quella che ci si aspetterebbe da lui, artista e studioso, così come la capacità di comunicare nell’espressione vocale tutta la complessità del pensiero.

L’alternanza dei diversi livelli poetici, nell’intervento di più voci, nella gradazione dal declamato al melisma, delinea una drammaturgia a più dimensioni, fra lo straniamento e il pathos, attraverso metafore tratte dal mito e dalla religione – in particolare la simbologia della passione di Cristo – ma in nome di un ideale umano più che divino, di una spiritualità laica e profonda che pervade tutta l’opera di uno dei più grandi autori del XX secolo. Bostridge, Allegrini, Drake se ne fanno intelligenti e devoti interpreti, tanto più perturbanti e commuoventi quanto più sono lucidi e consapevoli. E ci si sente fortunati ad aver partecipato a un tale momento artistico. Ci si sente arricchiti, perché questi non sono stati solo dei concerti, ma soprattutto occasioni di profonda riflessione sul linguaggio poetico in musica, anche al di là di canoni e confini. 

Si chiude, comunque in festa, e c’è anche un bis: ancora Schubert, naturalmente, e naturalmente il suo Lied a tre voci.

E alla fine, se proprio dovessimo indicare un difetto, lo troveremmo non negli interpreti, bensì nella scelta di non distribuire nemmeno una fotocopia con i testi cantati.


 

 

 
 
 

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