L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La strana coppia

di Alberto Ponti

Ritorna sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale il suo ex direttore principale James Conlon con la Sinfonia n. 12 di Šostakovič in prima esecuzione Rai a Torino, affiancato nel concerto di Brahms da un solista d'eccezione quale Nikolaj Szeps-Znaider

TORINO, 25 novembre 2021 - Viviamo in un periodo vorticoso e sofisticato ad un tempo, come forse mai accaduto prima nella storia, e i nostri sensi hanno perduto la verginità che fino a pochi decenni fa si conservava, se non integra, meno intaccata. Bombardati e sfiniti dall'incessante flusso di dati ed immagini rigurgitato dal web, abbiamo perso la capacità di stupirci di fronte a ciò che l'intelligenza e la cultura di ciascuno, pur variabili da individuo a individuo, considerano possibile. Eppure è proprio nella sfera di quanto accade, e non in quella di un'irrealtà ancora futuribile, che si cela il fascino e il mistero ora raggiante ora terribile di ogni esistenza materiale e spirituale. La grande musica è un ottimo grimaldello per scardinare il turbine degli avvenimenti personali e collettivi, futili e cruciali, in cui siamo immersi, per ritrovare il giusto passo in sintonia col respiro e il sentire di ogni essere umano. Può così capitare, se ci si sofferma a mente calda e cuore aperto sul concerto di giovedì 25 novembre a Torino, di meravigliarsi di quanto i pezzi in programma non possano essere più lontani per temperie e mondo espressivo. Grattando sotto le etichette, in superficie affraternanti, delle due grandi forme per eccellenza si scoprono pagine tra loro agli antipodi. Non che Johannes Brahms (1833-1897) e Dmitrij Šostakovič (1906-1975), pur appartenendo a generazioni e scuole diverse, non abbiano punti di contatto ma non è possibile immagine nulla di più sideralmente distante del concerto per violino e orchestra op. 77 del primo (1878) rispetto alla Sinfonia n. 12 in re minore op. 112 L'anno 1917 (1961) del secondo. Non ci sono solo gli ottanta anni abbondanti tra le composizioni, ma è un intero universo poetico a essere rivoluzionato nel tempo e nello spazio: entrambi questi monumenti finiscono per osservarsi incuriositi l'uno di fronte all'altro come gli abitanti di due pianeti che ignoravano la reciproca esistenza. Si potrebbe affermare che vi sia minor differenza fra un corale bachiano e l'ultima fatica di Steve Reich. Onore dunque a James Conlon che, al suo ritorno all'auditorium Toscanini da ex direttore principale dei complessi Rai, affronta l'impresa non semplice di domare le partiture con piglio sicuro e precisa aderenza al dettato dei compositori.

Di Nikolaj Szeps-Znaider, al suo fianco nella parte solistica, non si può che dire tutto il bene possibile. La carica magnetica capace di tenere inchiodata l’attenzione del pubblico, già manifesta in occasione della sua interpretazione nel 2019 del concerto di Elgar all’auditorium Toscanini, ritorna prepotente alla ribalta anche in Brahms. Il suono del Guarneri ‘Kreisler’ entra in gioco sanguigno ed espansivo con la naturalezza di una voce dell’orchestra che emerge e prende per mano il pallino del discorso. L’articolazione magistrale di ogni nota non perde di intensità nel sognante secondo tema per farsi fremente e tesa nella terza idea del colossale Allegro non troppo di apertura. La direzione di Conlon asseconda il continuo dialogo tra solo e tutti in un lavoro dove l’orchestra, lungi dal mettersi da parte in favore delle evoluzioni del violino, alterna al sostegno della voce principale episodi di autentico sinfonismo, sempre condotti con classica compostezza e nobiltà di espressione. Allo stesso modo, nel lirismo dell’Andante come nello scalpitante finale, l’intesa tra i protagonisti raggiunge livelli di prim’ordine per pulizia delle linee e chiarezza drammatica. Le doti cantabili di Szeps-Znaider, accoppiate a una tecnica sopraffina, infiammano il pubblico, non numeroso considerata la caratura degli interpreti, il cui calore verso lo strumentista polacco-danese è infine ricambiato da una memorabile Sarabande della Partita in re minore.

Ad altrettanto impegnativa prova è chiamata l’orchestra nella sinfonia di Šostakovič dedicata alla rivoluzione del 1917, con i titoli di ciascun movimento a ricordare episodi salienti della turbolenta annata (‘Pietrogrado rivoluzionaria’, ‘Razliv’, ‘Aurora’, ‘L’alba dell’umanità’). L’opera, in prima esecuzione Rai a Torino (!), senza raggiungere i vertici della produzione più ispirata dell’autore, rimane tutt’altro che l’esercitazione retorica e quasi priva di sostanza musicale dipinta da parte della critica. Il maestro Conlon sfodera una prestazione generosa e superba, dosando con intelligenza passaggi di spessore meditativo con esplosioni sonore di inaudita violenza, nel rispetto dell’intento esteriormente celebrativo ma in fondo sincero di Šostakovič, la cui sinfonia 1917 potrebbe in fondo porsi nei confronti del resto della sua produzione come l’Ouverture 1812 di quella di Čajkovskij e La vittoria di Wellington di quella di Beethoven.


 

 

 
 
 

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