L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

C’era una volta

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un concerto a tema fiabesco, con musiche ispirate a celebri fiabe o, comunque, connesse con questo tema. L’orchestra ceciliana è diretta da Juraj Valčuha; il programma si apre con Menuet Antique di Maurice Ravel, prosegue con la suite dal balletto Le baiser de la fée di Igor Stravinskij e termina con la suite (anzi un misto della n. 1 e n. 3) dalla Cenerentola di Sergej Prokof’ev.

ROMA, 9 gennaio 2021 – Dopo che il primo concerto a tema fiabesco è stato sfortunatamente rimandato a causa dell’onnipresente virus a tutti ben noto, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia propone al suo pubblico quello che sarebbe dovuto essere il secondo ‘episodio’ di un dittico e che è diventato, invece, il primo. Il programma è, infatti, dedicato interamente (o quasi) al tema delle fiabe, di cui i balletti di Stravinskij e Prokof’ev sono due celebri trasposizioni.

Il concerto, però, si apre con la versione orchestrale di Menuet Antique di Ravel, che non è propriamente una trasposizione di una fiaba, ma le cui sonorità possono ben evocare quel mondo. Valčuha dirige con millimetrica precisione, scandendo attentamente i temi del delicato, malinconico minuetto di Ravel; l’orchestra è brava a far risaltare gli impasti timbrici, soprattutto nella sezione centrale, che ha un sapore quasi pastorale, puntellato dal continuo gioco, variopinto, dei legni. Il primo tempo prosegue con il divertimento, cioè la suite, da Le baiser de la fée di Straviskij, tratto dalla fiaba La vergine dei ghiacci di H. Ch. Andersen. Valčuha spagina, ancora, con grande precisione la partitura di Stravinskij, ma l’eccessiva cura dei particolari, l’eccessiva attenzione alla quadratura millimetrica dell’agogica, specialmente nella parte centrale, dove Stravinskij geometrizza molto il suono, scomponendolo in varie parti, risulta un po’ fredda, priva di energia. Per il resto, i timbri emergono vividi e questo pastiche čajkovskijano – che causò la rottura fra l’autore e Djagilev – emerge vivido, persino caldo in alcuni momenti, benché – come ho già detto – Valčuha sembri più concentrato sulla perfezione dell’agogica che sull’emozione dei singoli passaggi.

Il secondo tempo vede l’esecuzione di un’antologia di pezzi dal balletto Cenerentola di Prokof’ev. Favola fra le più amate (e antiche) del mondo, Valčuha rende appieno la sua trasposizione per balletto e rende giustizia di una partitura molto ispirata. A differenza, infatti, di non pochi passaggi da Le baiser di Straviskij, questa lettura di Cenerentola non trova solo la quadra su un piano agogico, ma anche su un piano espressivo. Molti, infatti, sono i passaggi trascinanti (dove in Le baiser c’era, forse, da annoverare solo la sezione finale); passaggi dove Valčuha trascina l’orchestra a un notevole livello espressivo, come nel celebre ‘valzer di Cenerentola’, dove la ritmica melodia pare proiettarsi in una dimensione allucinata, tipica di tanta musica russa novecentesca. Val la pena, comunque, di citare anche la superba direzione del finale della suite, il momento della fuga di Cenerentola dal balletto, dove alla rutilante musica si sovrappongono, inesorabili, i rintocchi della campana che annunciano la fine dell’incantesimo. Il pubblico applaude sonoro, avendo evidentemente gradito l’intero concerto.


 

 

 
 
 

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