L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Schubert, fortissimo nel mio cuore

di Vincenza Caserta

Sandro Cappelletto e Marco Scolastra, voce recitante e pianista, esplorano l'anima bifrotne di Schubert soffermandosi sul suo ultimo anno di vita

PADOVA, 23 ottobre 2022 - La cinquantaseiesima rassegna dei Concerti della domenica dei Solisti Veneti ospita a Padova, all’Auditorium Pollini, Fortissimo nel mio cuore, l’ultimo anno di Schubert vissuto attraverso la voce narrante di Sandro Cappelletto ed il pianoforte di Marco Scolastra.

La controversa natura di Schubert viene svelata, con garbo e senza filtri, da Sandro Cappelletto: una descrizione del compositore che immediatamente sussurra il mistero più fitto, quello della sua dualità nel binomio tra l'aspetto dolce e malinconico e quello scuro ed ombroso. Il pensiero salta immediatamente a Schumann, ad Eusebius e Florestan, ma Schubert è un compositore più segreto, più intimo, capace di squarciare l’animo umano attraverso un pianissimo, così denso da rimbombare come sonorità immensa. È lo Schubert poetico e mite quello più salottiero e affidato alla leggerezza dei Valses nobles, accennati da Scolastra al pianoforte, ma il contrasto già appare immediato nel racconto appassionato di Cappelletto nelle parole “il corpo di Schubert soccombette al suo animo, interiormente poeta ed esteriormente gaudente”. Chi è dunque questo figlio di Vienna: l’uomo capace di smarrirsi in terreni senza ritorno, schiavo delle passioni oppure un essere che nella sua solitudine ricerca se stesso con la paura di confidare al mondo la sua anima? L’idea di felicità eppure è presente in Schubert, la “felicità danzante” dei Valses nobles che attraverso il tocco delicato e nitido di Scolastra mettono in luce quei mondi idilliaci e sereni in cui Schubert raramente introduce impeti di passione. È lo Schubert dei “fortissimo” più carezzevoli e delicati, poesia di un mondo presente ma forse non vissuto a pieno? Cappelletto legge una lettera adì un pittore del tempo, Leopold Kupelwieser; si parla di Beethoven, delle sue grandi opere presentate al pubblico mentre Schubert assiste in vita alla presentazione di alcuni suoi lavori solo otto mesi prima di morire. Eppure, questo suo ultimo anno terreno è quello in cui il suo testamento musicale prende vita, come se la magia della creatività potesse superare la malattia ed il presagio di morte. Il Klavierstück in mi bemolle minore D 946 n. 1 racconta tutto di lui: ed è un piccolo frammento che si trasforma rapidamente in “una valanga musicale che ti precipita addosso”. Nell’interpretazione di Scolastra c’è tutto: fuoco e tempesta sintetizzati nella visione febbrile di un uomo che osserva la vita scivolargli via dalle mani senza escludere quei brevi momenti di ottimismo in cui l’ombra della nostalgia viene presto superata. Con voce piena la stessa frase, in bilico tra maggiore e minore, diventa annuncio di novità. Lo Schubert di Scolastra ha spesso carattere orchestrale, enfatizza lo spirito comunicativo contro l’impegnativo fardello di solitudine. Il mistero è tutto nascosto nelle sfumature sonore, nel contrasto coloristico più delicato. Il secondo dei Klavierstücke D 946 è figlio di un altro pianeta: il “motivo di cavatina” in cui Schubert scrive “pianissimo e cantabile” è un idillio, la leggerezza della barcarola sembra inabissarsi verso l’oscurità e nel registro grave Scolastra sottolinea la citazione del tema del destino tipicamente beethoveniano. La materia di Schubert non è tuttavia un blocco di marmo da plasmare: ironia e nostalgia si amalgamano in quei “labirinti” citati da Pier Paolo Pasolini, la realtà diventa materia vivente, musica. Scolastra fa addentrare gli ascoltatori tra le tempeste di un mondo perduto e ritrovato senza nascondere le cupe ombre, presagio funesto, annunciate da Cappelletto.

Il cammino musicale che Scolastra e Cappelletto descrivono è quello del viandante schubertiano consapevole di potersi smarrire, proprio come sembra annunciare l’Andantino dalla Sonata in la maggiore D 959, in cui predomina l’inquietudine e sembra sgretolarsi ogni certezza. L’interpretazione di Scolastra padroneggia i contrasti violenti che danzano tra la tristezza, la rassegnazione e il fluire tempestoso che si intreccia in questo turbinio di passioni. La vicinanza tra Schubert e Leopardi è sottolineata da Cappelletto, “come due fratelli che non si sono mai incontrati”: entrambi osservano la natura senza illusioni e senza quell’ottimismo presente nell’Inno alla gioia. Il fulcro del pensiero di Schubert sembra racchiuso nell’Andante dalla Sonata in si bemolle maggiore D 960: Scolastra invoca la calma delle semplici frasi in cui ogni minima oscillazione è descrizione di un ambiente nuovo. Eppure la felicità in Schubert viene regalata attraverso l’interpretazione brillante e piena dell’Impromptu in mi bemolle maggiore Op 90 n 2 ed il carattere di improvvisazione fluisce nella voce istintiva voce che prende il sopravvento. Il saluto finale con il bis, la Melodia ungherese D 817, è sintesi perfetta del racconto che Cappelletto e Scolastra hanno regalato in questo ottantesimo concerto che suggella il loro sodalizio artistico: Schubert, un autore profondamente umano, “miracolosa magia” come lo definì Britten.


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