L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Oltre l'apparenza

di Roberta Pedrotti

Martijn Dendievel ottiene un meritato successo alla guida dell'orchestra del Comunale di Bologna con una lettura convincente di Korngold e Strauss che ne conferma talento, preparazione e intelligenza.

BOLOGNA, 28 settembre 2023 - Il caso vuole che, fra il Festival Respighi promosso da Musica Insieme e la stagione sinfonica del Teatro Comunale, a Bologna in due giorni si ascoltino in concerto due direttori coetanei, entrambi classe 1995: dopo Alessandro Bonato al Duse [Bologna, concerto Bonato/Bonitatibus/Toscanini, 27/09/2023], ecco Martijn Dendievel al Manzoni; dopo Respighi, Chausson e Bizet, ecco Korngold e Strauss.

L'ottimo esito di ambedue le serate muove a qualche considerazione. In primo luogo per quel che concerne la maturità di un artista e, nello specifico, di un direttore. Non si smette mai di studiare, a venti come a novant'anni, e l'esperienza è tutta un tesoro, ma c'è anche chi mostra attitudini precoci, una maturità superiore all'anagrafe, chi, per certi versi, appare come Atena nata già formata dalla testa di Zeus. Poi, semmai, la differenza la fa la capacità di non crogiolarsi nel talento innato ma saperlo gestire e affinare senza soste, senza accontentarsi (la maturità sta anche, se non soprattutto, in questo, altrimenti si tratta di doti sprecate). Ci sono qualità di carisma, empatia, perspicacia, autorevolezza e sensibilità che sono come il coraggio di Don Abbondio: se non ci sono, nessuno se le può dare. Ci sono direttori che le possiedono, e le fanno intendere prestissimo, e altri che non sono altrettanto fortunati, poi è necessario che il patrimonio di ciascuno sia coltivato come si deve. E qui, viene un altro punto fondamentale, perché abbiamo infinità di casi di meteore, stelle che brillano lo spazio di un mattino, giovani prodigi coccolati da media, case discografiche e direzioni artistiche, spremuti fino all'osso finché non ne arriveranno altri a rimpiazzarli. La caccia all'enfant prodige ha bruciato e brucia tanti artisti promettenti, ma non per questo si deve sempre guardare con diffidenza l'età più verde. Con la giusta cautela, quando c'è chi merita bisogna riconoscerlo e concedere il giusto spazio. Bisognerebbe anche, una volta per tutte, abbandonare i sensazionalismi buoni per la pubblicità ma non per la riflessione critica: non esiste solo il genio contrapposto al pessimo, ma molte sfumature che comprendono anche la mediocrità, l'onorevole professionalità, la bravura sopra la media, l'ottimo, il grande, il grandissimo... e, sì, allora anche il raro genio, perché no? E della soggettività del gusto nel preferire questo o quell'altro artista per la sua personalità, pur riconoscendone il livello tecnico e lo spessore d'interprete. Rispetto alle generazioni immediatamente precedenti, in cui la rarità di figure di vero spicco sembra creare casi di sopravvalutazione per bilanciare il timore di aver sottovalutato, bisogna ammettere che i nati dagli anni '90 annoverino diversi esempi di seria preparazione e qualità degne della massima attenzione, con alcuni picchi decisamente sopra la media. Delle qualità di Bonato abbiamo scritto tante volte; questa sera con l'orchestra Comunale ritroviamo Dendievel dopo averlo ascoltato dal vivo solo una volta, in un'opera (e che opera: Le nozze di Figaro! leggi la recensione). Si conferma l'ottima impressione.

Il direttore belga affronta un repertorio insidioso sia per le oggettive difficoltà tecniche sia per le trappole di facili effetti: la Sinfonia in fa diesis maggiore, op. 40 di Korngold e Aus Italien di Strauss. La prima è un ritorno alle origini di un compositore formatosi a Vienna e trapiantato a forza dall'orrore della Storia negli Stati Uniti, dove fa fortuna nel cinema. E dalle sue partiture per il cinema vengono, in effetti, molti temi inseriti nella sinfonia, che si richiama tuttavia in maniera piuttosto esplicita al tardo romanticismo austrogermanico. Facile, facilissimo sarebbe abbandonarsi a un magniloquente edonismo di facciata: invece, con la bacchetta di Dendievel, la cura del suono e il controllo delle dinamiche permettono di gustare una struttura ampia e solida, una felice invenzione tematica, un nucleo espressivo non banale, che unisce i sentimenti contrastanti al termine della Seconda Guerra Mondiale e al ritorno in Europa. La pace e la libertà riconquistate, la devastazione vissuta, la crisi di ogni fiducia nell'umanità e la speranza per il futuro, le fortune a Hollywood e l'incomprensione di quello che fu un talento prodigioso nella Vienna del primo dopoguerra e ora rischia di apparire un reperto del passato.

D'altro canto, dopo l'intervallo, abbiamo il giovane Richard Strauss inebriato dal Grand Tour in Italia e ispirato alla sua prima vera prova sinfonica. Dendievel la prende di slancio, ma non sottogamba, conferma la capacità di relazionarsi con l'orchestra in maniera costruttiva ed efficace, di comunicare una visione d'insieme lucida e viva. In particolare lo ringraziamo per aver colto nella citazione finale di Funiculì funiculà non un folklore di superficie, ma una vera rielaborazione sinfonica di un materiale tematico popolare (cosa non nuova che qui attira l'attenzione per la notorietà persistente della canzone), quindi seria, seppur non immune dallo sguardo divertito di un giovane turista bavarese alla scoperta del mito dell'Italia mediterranea.

Alla fine, grande e meritato successo. A noi (tutti: pubblico e addetti ai lavori) resta la responsabilità di non appiattire le qualità in sole categorie estreme, a caccia dell'eclatante, di riconoscere a questa generazione il suo valore, sia nelle promesse per il futuro sia nelle concretezze del presente.


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