L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ives domanda, Mahler risponde

di Alberto Ponti

Il principale direttore ospite, per la prima volta sul podio dell'OSN Rai nella stagione 2023-2024, offre al pubblico torinese una scintillante Quinta del musicista austriaco

TORINO, 2 novembre 2023 - 'esordio stagionale di Robert Treviño, principale direttore ospite, sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale avviene all'insegna di un lavoro notissimo, e proprio per questo difficile tra centinaia di orecchie in agguato, dove però l'affermata bacchetta texana dimostra non solo di avere l'istintiva cura per il suono che già avevamo avuto modo di conoscere nei concerti dell'ultimo anno ma di possedere anche il coraggio di una precisa idea interpretativa.

Nella sterminata discografia mahleriana la Quinta Sinfonia in do diesis minore, nata nel 1901 ma rivista in pratica fino alla scomparsa dell'autore nel 1911, si insedia tra le primissime posizioni per il semplice fatto che fino a poco più di trent'anni fa, in epoca di LP, era l'unica insieme alla Prima e alla Quarta la cui durata consentisse l'incisione sulle due facciate di un solo disco. Se ci aggiungiamo il fatto che il quarto movimento, il celebre Adagietto, fu la prima, e per molti anni senz'altra compagnia, pagina di Mahler ad acquisire una grande popolarità anche cinematografica (il viscontiano Morte a Venezia), si comprende come ad un pubblico mediamente appassionato non sfuggano molti dettagli della partitura.

In apparenza Treviño non compie nulla di rivoluzionario o che non sia insito nella scrittura del compositore ma l'impressione complessiva che si ricava dalla sua Quinta è quella di un'attenzione particolare alla concertazione dei singoli elementi, inseriti sempre all'interno della cornice collettiva. Le sinfonie mahleriane prevedono tutte numerosi interventi di strumenti solisti, non ultima la voce umana, strumento più perfetto di ogni altro, che sono tuttavia una parte del tutto non distaccata da esso, l'evocazione di micro o macrocosmi in grado per un istante di far dimenticare il resto dell'universo senza che questo smetta il suo moto vorticoso. Le prime battute della Marcia funebre non sono un concerto per tromba e orchestra, così come il poderoso Scherzo non è un concerto per corno, e difatti con Treviño non si ha mai tale sensazione. Sono frammenti di un ampio mosaico che, nota su nota, compongono il mosaico stesso.

I due tempi che costituiscono la prima parte dell'opera (la citata Trauermarsch e uno Stürmisch bewegt ossia 'agitato tempestoso') sono legati da evidenti nessi tematici. L'esecuzione torinese è concitata ed equilibrata. Racconto torrenziale e rispetto della forma trovano grazie al podio un punto di incontro, suggellato dall'impasto degli archi, ora più sottile ora più pieno ma sempre caldo ed espressivo, evidente nel tema cantabile della marcia così come nelle puntate verso l'acuto nel secondo movimento, dagli incisi pungenti dei legni, dalla formidabile compattezza degli ottoni, protagonisti di una serata di alto livello.

La mano del direttore è assai presente nell'esteso Scherzo in terza posizione, che da solo occupa la seconda parte della sinfonia. Non si può non citare Ettore Bongiovanni che, nel suo ruolo di primus inter pares del sestetto di corni, è presente come un filo rosso in tutti i punti salienti del pezzo con un'intonazione perfetta, una versatilità ammirevole, una sonorità spesso trascendente, evocatrice di autentica emozione. La direzione, da par suo, è abile nel condurre in porto un brano al cui interno convivono animi contrastanti senza dare l'idea di accostare quadri differenti ma facendo anzi scaturire ogni nuovo episodio come da un flusso creativo ininterrotto, lavorando sul corretto rilievo da attribuire a ogni voce del geniale labirinto contrappuntistico di Gustav Mahler. Le medesime caratteristiche si ritrovano nel Rondo-Finale, coronamento trionfale ed affermativo della terza ed ultima parte dopo la pausa meditativa dell'Adagetto. Qui i disparati elementi del caleidoscopio mahleriano si combinano in una cornice di reale virtuosismo senza che venga pregiudicata la visione di insieme scolpita plasticamente da Treviño. Da manuale, per non citare che un esempio, è il ripetuto fugato degli archi sul tema iniziale, con il rispetto di tutte le indicazioni dinamiche in partitura, perpetuum mobile che fa da contraltare al corale ricavato dal secondo movimento, senza che il maestoso eloquio degli ottoni, esemplari per lucentezza di suono e tenuta, ne ricopra la splendida filigrana polifonica.

Successo convinto per il maestro e tutti gli interpreti, a cominciare dalla prime parti per un programma che si era aperto con la breve ma intensa e penetrante meditazione de The Unanswered Question, composta nei primi anni del Novecento da Charles Ives. Tromba solista e quattro flauti accompagnati dagli archi che mai come l'altra sera, lungi dall'essere un immobile tappeto sonoro, parevano evocare con il loro ampio e avvolgente respiro gli immensi spazi del nuovo mondo.


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