L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una finestra sull'Europa

di Irina Sorokina

La ripresa di Don Giovanni al Teatro K. S. Stanislavskij e V. I. Nemirovič-Dančenko di Mosca fa respirare un'atmosfera europea per lo stile della regia e la qualità con cui il cast rende la musica di Mozart e il testo di Da Ponte.

MOSCA, 23 febbraio 2024 - Quasi duecento anni fa il sommo poeta Aleksandr Puškin, “il nostro tutto” come spesso viene definito in Russia, scrisse il poema Il cavaliere di rame (qualche conoscitore della storia della danza ricorderà il balletto omonimo del compositore sovietico Reinhold Glier, una volta popolare e oggi dimenticato). Nel poema attribuisce all’imperatore Pietro Primo o Il Grande, come spesso viene definito, le seguenti parole dette del luogo dove, per il suo volere, sarebbe sorta una nuova capitale, città dall’aspetto europeo, progettata da architetti italiani, San Pietroburgo: “Il destino vuole che qui apriamo una finestra sull’Europa” Ma se si tratta della messa in scena dell’opera di Mozart Don Giovanni al Teatro Musicale K. S. Stanislavskij e V. I. Nemirovič-Dančenko, cosa c'entrano Il cavaliere di rame e la citazione celebre? C'entrano, c'entrano, anche se indirettamente. Dieci anni fa al secondo teatro d'opera e balletto moscovita fu messo in scena il Don Giovanni mozartiano e lo spettacolo, tuttora in repertorio, ricorda vivamente le parole di Puškin; l'allestimento firmato dal direttore artistico Aleksandr Titel' con le scene di Adomas Jacovskis e i costumi di Maria Danilova appare proprio come “una finestra sull'Europa“ non solo perché la prima nel 2014 fu diretta all’inglese William Lacey, ma perché il regista ormai simbolo della compagnia dell’opera del Teatro K. S. Stanislavskij e V. I. Nemirovič-Dančenko concepì lo spettacolo in linea con le regie in uso in molti teatri europei soprattutto quei tedeschi.

Adomas Jacovskis propone la scena unica, molto semplice, non è altro che un grande muro, ma un muro unico nel suo genere perché è fatto di ben trenta antichi pianoforti verticali neri, alcuni dotati ancora di candelabri. A chi di noi musicisti non è capitato di brontolare dopo aver trovato un piano scassato dal suono caratteristico “belante” e con qualche tasto che non funziona, senza parlare dei pedali che sembravano essere stati premuti dai barbari? Ma nello spettacolo di Titel’ questi ruderi vengono suonati dai personaggi dell’opera mozartiana e funzionano sufficientemente. Anzi, sono loro che danno il via all’inizio della recita insieme al direttore d’orchestra, imitando i suoi gesti.

Il muro nasconde un segreto, delle scale interne, ma quando gira a centoottanta gradi dimostra la sua doppia natura: da un lato è fatto di ben trenta pianoforti neri vecchi e malmessi, dall’altra è tutto coperto di grappoli d’uva di color rosa. Alcuni dei pianoforti dimostrano le “viscere”, cioè la loro meccanica, e nel finale fungono da inferno dove il Commendatore trascina il seduttore di Siviglia. Ecco dove avrà la sua meritata e tragica fine: incastrato tra gli elementi meccanici del pianoforte. Due lati del muro sono due mondi, i pianoforti rotti assumono il ruolo dell’abisso dove il Commendatore porta l’immorale seduttore, le cascate di chicchi rosa simboleggiano il sesso e la seduzione e Don Giovanni nel secondo atto li divora con un grande piacere. La doppia natura del muro facilita il compito del regista, gli episodi più seri o addirittura spaventosi si svolgono con i cupi pianoforti dietro, mentre le scene di seduzione sono ravvivate dalla presenza degli appetitosi grappoli. Far finire Don Giovanni incastrato tra gli elementi meccanici di un piano è una bella trovata, quasi tutto il resto è nelle mani dei cantanti, tutti attraenti e spigliati, che traggono piacere dall’interagire dell’uno con l’altro, si divertono e fanno divertire.

A due passi dal mitico Bol'šoj che a causa della sua fama mondiale tende di mettere in ombra gli altri eventi musicali della capitale russa ed è celebre per le “orde” degli spettatori che in certi periodi dell’anno o per certi titoli in cartellone si mettono in coda anche di notte con le temperature gelide, il Teatro Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko propone il cartellone ricco e molto interessante in cui si altrenano le opere di diversi stili ed epoche. E nella compagnia lirica si trovano sempre i cantanti giusti, giovani e preparati benissimo per il repertorio che affrontano. Nel caso di Don Giovanni non sarebbe esagerato parlare di un cast pressoché ideale, ad iniziare da Dmitrij Zuev nel ruolo del titolo, che gioca la carta del bel fisico da seduttore e della gioventù, si muove bene, recita meglio e, per fortuna, canta benissimo. Passionale e seducente nel vertiginoso “Fin ch'han dal vino”, risulta ancora più convincente e affascinante nella serenata “Deh vieni alla finestra” in cui la leggerezza rarissima e l’emissione morbidissima letteralmente stregano il pubblico che lo applaude calorosamente e a lungo, come se volesse quasi interrompere la recita.

Accanto a lui, un grintoso Aleksej Kulagin nei panni di Leporello sfoggia voce ben impostata e tecnica solida, ma brilla pure per la personalità versatile. Con l’aria d’apertura cantata in modo “succoso” e la giusta ironia il giovane basso conferisce il tono giusto a tutta l’opera. Tra Don Giovanni e Leporello, Dmitrij Zuev e Aleksej Kulagin, nasce una felice complicità sia nel campo vocale sia in quello attoriale, un contributo importante al successo di questa messa in scena.

Maria Makeeva, un’esperta del repertorio mozartiano, è all’altezza nel ruolo impegnativo di Donna Anna, col suo portamento fiero e dignitoso senza trascurare una dolce femminilità. La sua voce sopranile dal bel timbro e dal volume importante è affine con il carattere fiero del personaggio, l’aria “Or sai chi l’onore” è cantata con autentica nobiltà, senza una minima forzatura, con emissione sempre morbida e linea ben studiata.

Natal’ja Petrožickaja, un’artista intelligente e di una raffinata cultura musicale impegnata nella parte di Donna Elvira crea un personaggio pieno di vita e senza tempo, di una donnina che vorrebbe apparire virtuosa e stare sempre dalla parte giusta, ma rivela invece la propria natura possessiva e noiosa. La voce della Petrožickaja è ben educata, dotata di mille sfumature, i suoi recitativi sono ben studiati e le arie sono cantate senza una minima fatica e sempre sul fiato.

Si va spesso in teatro con dubbi riguardo l’interprete del ruolo di Don Ottavio al quale Mozart donò due arie bellissime che richiedono una voce raffinata e una tecnica impeccabile. Kirill Zoločevskij dall’inizio scioglie ogni dubbio, la sua è un’autentica voce mozartiana e delizia l’orecchio in entrambe le arie. Tuttavia “Il mio tesoro” è un vero trionfo del tenore: raramente ci si ascolta una bella voce che riesca a sfoggiare un canto così carezzevole associata a una totale disinvoltura d’interprete.

Lilia Gajsina, Zerlina, e Maksim Osokin, Masetto, formano una coppia armoniosa e simpatica, lei molto graziosa e al proprio agio nel ruolo della contadina furbetta e dotata di voce cristallina e soprattutto morbida, che col suo canto accarezza l’orecchio in entrambe le arie; lui, un bravo attore e un abile fraseggiatore, disegna il maritino geloso che finge di essere duro, ma in realtà è facilmente domabile, e sfoggia una buona musicalità e una chiara dizione nell’aria “Ho capito signor sì”. Completa l’allettante quadro uno ieratico Feliks Kudrjavtsev, il Commendatore.

A dieci anni dalla prima, Timur Zangiev sul podio prende il posto di William Lacey e dirige Don Giovanni subito dopo Khovanščina di Musorgskij e Tosca di Puccini, con una sicurezza ammirevole. Dopo due capolavori che appartengono a due mondi musicali completamente diversi tra loro, entra senza battere il ciglio in un terzo mondo, lontanissimo da due precedenti e non sembra essere minimamente turbato, il mondo di Mozart gli è familiare come quei di Musorgskij e di Puccini.

Questo Don Giovanni che da sempre sembra una presenza poco gradita nella capitale russa, arrivò dieci anni fa non al rinomato Bol’šoj, ma al Teatro K. S. Stanislavskij e V. I. Nemirovič-Dančenko e qui trovò la propria casa, lo dimostra il fatto che il riuscito allestimento conta ben dieci anni. Una messa in scena nel segno dell’Occidente, moderna e snella, che desta la simpatia e fa godere non poco, con il cast giovane, attraente e stilisticamente all’altezza. È bello poter ascoltare il capolavoro mozartiano eseguito con gusto ed è bello vederlo messo in scena nel modo simile alle produzioni tedesche e austriache, ma anche italiane. È bello, trovandosi a Mosca, sentirsi in Europa.


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