L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Attraverso lo specchio

di Daniele Valersi

Debutta a Bolzano l'opera di Matteo Franceschini su libretto di Stefano Simone Pintor, ispirata al romanzo di Oscar Wilde e commissionata dalla Fondazione Haydn.

BOLZANO 16 marzo 2024. Capolavoro creato dalla genialità di Oscar Wilde, manifesto della tendenza estetizzante del Decadentismo, Il ritratto di Dorian Gray ha copiosamente fornito materia e spunti alla partitura del compositore Matteo Franceschini e al libretto di Stefano Simone Pintor, che all’opera ha curato anche la regia. Dorian Gray è un pezzo di teatro musicale che si può definire scritto a quattro mani, visto il serrato scambio di idee che ha legato i due autori l’uno all’altro nei due anni in cui vi hanno lavorato; pubblicato da Casa Ricordi, è andato in scena in prima assoluta al Teatro Comunale di Bolzano per la stagione operistica contemporanea della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, con una compagnia di canto in grado di esprimere al meglio le intenzioni del compositore, che su una tessitura sonora in continua osmosi tra la dimensione acustica dell’orchestra e le molteplici sfaccettature dell’elaborazione elettronica ha delineato una vocalità estremizzante, che alle sette parti solistiche impone una diastemazia impegnativa. Con Dorian Gray si è conclusa la stagione di teatro musicale contemporaneo Nothing is written (e con essa l’incarico di direttore artistico assegnato a Matthias Lošek); il lavoro di Franceschini e Pintor è inoltre l’ultimo tassello della trilogia di opere commissionate dalla Fondazione Haydn a compositori residenti nell’Euroregione Trentino – Alto Adige – Tirolo, che ha già visto rappresentate Toteis di Manuela Kerer (basata sulla narrazione della controversa figura di Viktoria Savs) e Peter Pan – The dark side del compositore austriaco Wolfgang Mitterer.

Gli autori definiscono Dorian Gray un’opera corale, i personaggi vi hanno infatti un peso paritetico; la struttura prevede sei capitoli (che si potrebbero ben definire “quadri”, anche perché contenuti nelle imponenti cornici della scenografia), uno per ogni personaggio, tutti segnati dalla presenza di Dorian Gray che interagisce con ciascuno di loro, più Prologo ed Epilogo che si richiamano a vicenda, a tracciare una narrazione circolare. I ruoli prendono vita da voci chiare e duttili piuttosto che potenti e timbricamente marcate, quelle di Laura Muller (Dorian Gray), Mathieu Dubroca (Harry), Manuel Nuñez Camelino (Basil), Giulia Bolcato (Sybil), Alexandre Baldo (Alan), Ugo Tarquini (James), Elena Caccamo (Gladys), sempre distinguibili in adeguato rilievo, confacenti alla fonetica della lingua inglese e ottimo correlativo per la timbrica multiforme dell’amalgama strumentale ed elettronico. L’aspetto magico, soprannaturale, il sortilegio legato al ritratto che del romanzo costituisce il fondamento, non trova corrispondenza nell’azione scenica: il presunto ritratto viene svelato nell’epilogo e risulta essere nient’altro che uno specchio (anticipato dalla scenografia nel capitolo di Alan), in cui ciascuno dei personaggi (e ognuno in senso lato) può ritrovare vizi e crimini che gli appartengono, in sintonia con la frase di Wilde da cui il librettista è partito: “In Dorian Gray ogni uomo vede i propri peccati. Quali siano i peccati di Dorian Gray nessuno lo sa. Li trova colui che li ha commessi”. La sfera magico-onirica è evocata invece dalla musica, che acquista consistenza tridimensionale mediante la trasmutazione da acustica in elettronica: un “iperspartito”, per usare la definizione che ne dà il compositore stesso, in cui la manipolazione elettronica è amplificazione del gesto strumentale piuttosto che appoggio o sostituzione, in cui l’elettronica non è un’aggiunta, un surplus, ma vive assieme all’orchestra in suoni che nascono come acustici e vengono poi trasformati. L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento si distingueva in un’esecuzione di grande efficacia, diretta con solerzia e puntualità da Rossen Gergov (direttore ospite stabile presso l’Orchestra Filarmonica di Sofia e la Sofia Opera & Ballet House); Gregorio Zurla ha realizzato un apparato scenografico costituito da molteplici cornici di varie dimensioni e da immagini che rinviano tanto all’estetica decadente (segnatamente alla corrente pittorica preraffaellita) quanto al falso mito della bellezza fisica (rappresentato dalla chirurgia plastica) e che si integra con le immagini video di Virginio Levrio; i costumi sono di Alberto Allegretti, le luci curate da Fiammetta Baldisseri. Dorian Gray si è imposto come spettacolo coinvolgente e di forte impatto emotivo; l’andamento serrato e l’aggancio immediato tra gli episodi mantenevano alta la tensione e non consentivano al pubblico di applaudire a scena aperta, tuttavia alla conclusione le acclamazioni non sono mancate e la sala ha gratificato sia gli interpreti sia tutti gli artefici dell’opera con lunghi applausi.


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