L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Aristotele, «il vero secretario della natura»

Nella prima epistola, Maffei, per descrivere l’origine fisica della voce umana, si rifà all’esempio del vaso teatrale di cui parla Aristotele nel De anima: afferma che la voce risuona nella cavità uditiva, satura di un’aria assai più fine di quella esterna ad essa; è l’aria interna che forgia la voce, attraverso gli organi preposti alla fonazione, ma anche grazie alle immagini che quest’ultima comunica all’ascoltatore.

Proprio come Aristotele, Maffei crede che si possa parlare di voce solo quando il suono è significativo, accompagnato da un’immagine mentale. Entrambi portano l’esempio della tosse (Maffei dichiara che essa «fandosi senza imagginatione di significare, quantunque vi concorra la motiva del petto, non può né da medici, né da filosofi chiamarsi voce») per rendere lampante l’imprescindibilità del contenuto e il fatto che l’emissione vocale è un atto volontario. La voce maffeiana, sulla base della filosofia di Aristotele, è capace di proiettare l’interiorità all’esterno, è un dipinto sonoro con specifiche caratteristiche. Infatti, indipendentemente dalle affezioni che veicola, ogni voce ha un’identità ben precisa, che la rende unica. Maffei si ispira certamente all’autore del De anima quando constata le differenze timbriche: il filosofo greco esplicita le nette differenze tra il timbro (che ci consente di distinguere le voci, dato che dipende dalla materia e dalla costituzione della fonte sonora; riassume in sé la grandezza e lo squillo della voce, nonché la formante degli armonici, le sfaccettature che l’arricchiscono) acuto e quello grave; le voci sono ben definite, in quanto identificabili mediante specifici parametri, ma sono, al contempo, infinite, poichè essenze irripetibili.

Sicuramente, il concetto di suono simbolico conferisce alle voci anche carattere comunicativo, nonchè didattico: udendo immagini acustiche, siamo poi in grado di trasmetterle. Poi (e questo era già stato evidenziato proprio da Aristotele stesso), l’incontro tra fonazione e musica è un’esperienza sublime che rende ancor più efficace e potente la voce, il suo influsso, il suo messaggio, e questo perchè nelle melodie hanno sede le riproduzioni dei caratteri; però le icone vocali, oltre a essere popolate di affetti, possono facilitare l’insegnamento e il processo di apprendimento. In questo senso, ci ricolleghiamo a quanto detto nel precedente paragrafo: la voce dell’uomo è anche materia del linguaggio convenzionale, che gli permette di interagire verbalmente coi suoi simili, ma è in qualità di entità pura, affrancata dalla parola, che ha vita propria e nel tempo di un respiro imprime l’eternità.

Nei Problemata, Aristotele diceche «il linguaggio, che è un modo in cui si manifesta la voce, si altera apparentemente con molta facilità, e arriva alla perfezione con molta difficoltà»; nemmeno la voce è immutabile, cambia col passare degli anni: è influenzata dall’umore e dalle condizioni di salute proprio perchè fortemente ancorata al soggetto che la genera(e anche Maffei lo ammette), tuttavia la sua vettorialità la direziona all’esterno con elementi costanti che la rendono un prolungamento degli esseri viventi che ne sono dotati. In altre parole, la materia è plasmabile, ma non può mutare la sostanza di cui è composta. Secondo Aristotele, le immagini su cui si modellano le voci sono precedute da atti percettivi e strettamente connesse alla memoria: l’intonazione e la musicalità della voce sia parlata che cantante provoca emozioni nell’ascoltatore sulla base di impressioni, ricordi, incamerati attraverso i sensi, che esse aiutano a richiamare alla mente. Ciò è postulato anche da Maffei, la cui opera è doviziosamente dettagliata, nel tentativo di descrivere, attraverso uno scritto, quello che considera suono artistico.

Lo svantaggio dei fenomeni uditivi è, apparentemente, la brevità della loro esistenza. Eppure, queste righe testimoniano che un suono smette di esistere al suo cessare solo se non è significativo; l’immaginazione ci permette di registrare nella memoria una melodia e la creatività consente addirittura di rielaborarla. Difatti, si tratterà di esperienze personali, ovvero filtrate dall’individualità di ognuno. Per quanto il soggetto emerga negli scritti classici e in quelli di Maffei, non è tanto preponderante quanto sul finire del Seicento. È comunque indubbio che la volontà di apprendere autodidatticamente a cantare sia sintomo di una nuova coscienza; essendo solo con se stesso, è l’unico che può valutarsi, ma vuole anche che sia così. Il cantore di Maffei deve essere dotato di grande autocritica e autocontrollo. In un testo rinascimentale, si percepisce, seppur fievolmente, il bisogno di rivendicare l’individuo, l’uno. L’irriverente Maffei propone un metodo canoro tutto suo, minando parzialmente l’equilibrio precostituito, scompensando le idee dei tradizionali trattatisti, proponendo un canto sì cavalleresco, ma alla portata di tutti, consentendo, insomma, a chiunque di imparare un’arte elitaria. Certamente i grandi del passato, senza escludere nessuno fra coloro che Maffei richiama anche solo per dissentire parzialmente con le loro dottrine o nomina semplicemente, hanno contribuito alla formazione a alla presa di coscienza dell’individualità vocale maffeiana. Pertanto, dopo aver brevemente presentato la voce secondo Aristotele, ci concentreremo sul suo maestro, su Democrito, Anassimandro ed infine sulla scuola stoica.


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