L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Die Entführung aus dem Serail al Comunale di Bologna

Mozart inaugura la stagione 2017

del Teatro Comunale di Bologna

con la regia di Martin Kušej e la direzione di Nikolaj Znaider

Serata di Gala il 20 gennaio alle ore 20.00

Repliche sino al 29 gennaio

consulta il libretto nella versione di Albert Ostermaier  per questa produzione 

Si consiglia al pubblico di presentarsi in teatro con maggior anticipo rispetto al consueto per facilitare i controlli di sicurezza all'ingresso.

La nuova stagione lirica del Teatro Comunale di Bologna si inaugura venerdì 20 gennaio alle ore 20.00 (serata di Gala), con il Singspiel Die Entführung aus dem Serail (“Il ratto dal serraglio”) K 384 di Wolfgang Amadeus Mozart, realizzato in una produzione del TCBO con il Festival di Aix-en-Provence (dov’è stato rappresentato nel 2015) e il Musikfest Bremen. Sul podio Nikolaj Znaider, danese, affermato violinista oggi sempre più frequentemente impegnato nella direzione d'orchestra, al suo debutto in Italia in un'opera. La regia è dell'austriaco Martin Kušej, Sovrintendente del Residenztheater di Monaco e riconosciuto come uno dei più rilevanti registi degli ultimi anni sulla scena internazionale. Le scene sono di Annette Murschetz, i costumi di Heide Kastler e le luci di Reinhard Traub. La regia è ripresa a Bologna da Herbert Stoeger.

La prima dell'opera verrà trasmessa in differita da Radio3 Rai.

Il "Singspiel" (spettacolo operistico con dialoghi parlati in lingua tedesca) su libretto di Christoph Friedrich Bretzner rielaborato da Johann Gottlieb Stephanie il giovane, andato in scena per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel luglio del 1782, viene ora proposto collocando la vicenda in un Oriente vicino a noi per epoca e ambientazione, trasformando il palcoscenico in una landa desertica, con tanto di dune di sabbia e tende berbere, sulla quale si svolgono le contrastate vicende tra le due coppie di amanti protagoniste e i loro antagonisti, leggibili anche come metafora dei contrasti tra Occidente e Oriente. I dialoghi, riscritti dal drammaturgo Albert Ostermaier, trasportano l’azione negli anni ’20 del Novecento (gli anni di Lawrence d’Arabia e del tardo colonialismo europeo), quando le potenze occidentali – con in testa l’Inghilterra – fecero del Medio Oriente il territorio dell'estrazione del petrolio, della ricchezza, del potere, con il pretesto della lotta contro gli ottomani alleati con i tedeschi, suscitando nelle popolazioni un risentimento profondo, di cui l'Isis è il prodotto finale di oggi. Lo spettacolo muove quindi una profonda riflessione storico-politica e le scene generano forse ancora di più un forte impatto visivo ed emotivo nel pubblico per l'inevitabile associazione con le immagini di cronaca che ogni giorno scorrono davanti agli occhi di tutti. Già all'epoca di Mozart Il ratto dal serraglio si inseriva in quel filone di opere legate a una moda della turcheria che da tempo esorcizzava in Occidente la paura per le invasioni ottomane.

Questa versione del Ratto (che ha suscitato accesi contrasti in occasione del debutto ad Aix en Provence) arriva adesso a confrontarsi con la sensibilità del pubblico italiano in un teatro, come il Comunale di Bologna, da sempre caratterizzato per l’apertura nei confronti dei nuovi linguaggi (negli ultimi anni ha ospitato registi del calibro di Bob Wilson, Romeo Castellucci, Guy Joosten, Alvis Hermanis, opere contemporanee multimediali come "River of Fundament" di Matthew Barney ed esponenti del nuovo teatro di ricerca come Fanny & Alexander, Nigel Lowery e Pietro Babina).

Martin Kušej, vincitore in Germania del prestigioso premio "Faust" per la migliore regia teatrale nel 2012, è celebre per il suo teatro politico, "radicale" e senza compromessi, ed è tra i registi di oggi quello fra i più noti in questo "sport estremo”, con cui le sue realizzazioni sceniche esplorano le regioni infuocate della società, come nel caso di questa messa in scena del Ratto mozartiano.

Sul palco sono impegnati Karl-Heinz Macek nel ruolo del pascià Selim, Cornelia Goetz in quello di Kostanze, Julia Bauer nei panni della sua cameriera Blonde, Bernard Berchtold come Belmonte, Johannes Chum nel ruolo del suo servitore Pedrillo e Mika Kares come Osmin. L'orchestra, il coro diretto da Andrea Faidutti e i tecnici sono quelli del Teatro Comunale di Bologna. Die Entführung aus dem Serail è replicato il 22, 24, 26 e 29 gennaio.

Lo spettacolo è realizzato grazie al sostegno di Alfa Wassermann.

I biglietti (da 125 a 10 euro) sono in vendita sul sito www.tcbo.it e presso la biglietteria del Teatro Comunale di Bologna. Eventuali biglietti invenduti saranno disponibili da un'ora e mezza prima dell'inizio di ogni spettacolo al 50% del costo.

www.tcbo.it

immagin dalle prove - foto Rocco Casaluci


Die Entführung aus dem Serail

K 384

Singspiel in tre atti

Libretto di Johann Gottlieb Stephanie, tratto da un libretto di Christoph Friedrich Bretzner, rielaborazione di Albert Ostermaier

Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Direttore Nikolaj Znaider

Regia Martin Kušej

Scene Annette Murschetz

Costumi Heide Kastler

Luci Reinhard Traub

Assistente alla regia Herbert Stoeger

Assistente alle scene Sabine Freude

Aiuto costumista Hannah Petersen

Assistente alle luci Rainer Janson

Maestro del Coro Andrea Faidutti

Personaggi e interpreti

Selim Karl-Heinz Macek

Kostanze Cornelia Goetz

Blonde Julia Bauer

Belmonte Bernard Berchtold

Pedrillo Johannes Chum

Osmin Mika Kares

Mimi Valerio Ameli, Arjuna Colzani, Oussama Mansour, Luca Nava, Rodolfo Salustri, Roberto Serafini

Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna

Produzione del Teatro Comunale di Bologna con Aix en Provence Festival e Musikfest Bremen

Teatro Comunale di Bologna

Venerdì 20 gennaio 2017, Turno Prima – ore 20.00

Domenica 22 gennaio 2017 Turno D – ore 15.30

Martedì 24 gennaio 2017 Turno A – ore 20.00

Giovedì 26 gennaio 2017 Turno B – ore 20.00

Domenica 29 gennaio 2017 Turno C – ore 15.30


Note sull'elaborazione concettuale del testo:

Il ratto dal serraglio

È sorprendente che un’opera che nel Settecento risultava di per sé semplice mostri ancora una così grande attualità. Fra i pregi di Mozart c’è quello di continuare a parlare al cuore degli uomini e di restare attuale, leggero ma pur sempre in grado di raggiungere gli abissi dell’animo umano.

Per percepire davvero la dimensione mozartiana, a me molto cara, bisogna partire dalla musica, perché il libretto e la drammaturgia possono risultare semplicistici coi loro soggetti oggi superati e tendenzialmente ridicoli, nonostante in tutte le edizioni del Ratto che io conosca si continui a insistere sui suoi toni più obsoleti e insostenibili, per lo più convenzionali, cabarettistici, da marionette, obsoleti. Dal canto mio invece non ho dubbi nel voler rielaborare coi cantanti un linguaggio adeguatamente moderno e recitabile, che corrisponda anche al nuovo significato contemporaneo del Ratto.

Non posso neppure accettare che l’opera venga ridotta all’osso, com’è accaduto in centinaia d’anni di storia dell’opera in cui l’equilibrio tra parole e musica tipico del Singspiel è stato sbilanciato a favore della seconda (operazione di per sé comprensibile proprio per via della cattiva qualità del libretto originale). Comunque nelle parti musicali si conserva la lingua tedesca ed è molto importante fare attenzione a un certo equilibrio del linguaggio.

Lo stesso è accaduto in altri famosi Singspiel tedeschi dei quali mi son occupato in precedenza e che avevano tematiche in qualche maniera simili: anche nel Fidelio, per esempio si parla d’amore o di tradimenti compiuti per amore… ma non è il caso di entrare in dettaglio: basti sapere che il tradimento è essenziale nelle relazioni tra i personaggi del Ratto: relazioni amorose, relazioni di potere, relazioni di amicizia e persino relazioni ideologiche o cariche d’odio, sempre connesse a un possibile tradimento o a una rottura della fiducia, perché il tradimento è una variante oggettiva estremamente umana e frequente a partire dalla quale si può raccontare meglio anche una pièce teatrale e operistica attuale!

O citato Fidelio perché in quel libretto ho adoperato lo stesso metodo usato qui nel Ratto: solo pochi registi e in poche occasioni hanno fatto lo sforzo di ricercare il significato drammaturgico del testo e di riportare poi il risultato della loro ricerca sul lavoro coi cantanti, cosa che spesso viene trascurata preferendo allestimenti meravigliosamente piacevoli ma tenuti assieme solo da paio di rudimentali battute di parlato, cosa che qui non accadrà!

Nel preparare il Ratto dal serraglio ho notato anche un’altra cosa interessante: se si guarda alla trama semplicemente così come è, compare improvvisamente ciò che accade oggi: vediamo infatti uomini europei bianchi (turisti) rapiti e tenuti prigionieri da arabi (turchi) o comunque da musulmani. Le vittime cercano di liberarsi da sole senza successo e anche i tentativi esterni o i riscatti falliscono nell’intento, lasciandoli quindi senza speranza nelle mani dei loro aguzzini. Durante l’Illuminismo sarà forte stato ancora possibile dare a questa storia un finale positivo, ma oggi è assolutamente sicuro che i terroristi finiscono per decapitare i loro prigionieri.

L’idea di rappresentare l’opera nel deserto è nata subito: perché è un luogo estremo, che mostra i personaggi abbandonati in situazioni difficili ed evita ogni fraintendimento interpretativo nei tradizionali giardini paradisiaci delle fiabe orientali. Io ho imparato Mozart lavorando con Nikolaus Harnoncourt e nella sua concezione del mondo mozartiano, acuta e analitica, non c’era spazio per il kitsch e l’innocenza. Naturalmente quando si tratta di modernizzare un’opera, si deve procedere in modo accorto ed equilibrato (specialmente dopo fatti tragici come l’attentato a «Charlie Hebdo»). Meglio farla subito finita col divertimento e mettere in scena il Ratto con finalità esemplari, creando una forma di distanza artificiale che eviti di scivolare nella piatta attualizzazione (cosa che non si può fare né con la musica, né col linguaggio né con le azioni sceniche).

La trama è quindi stata collocata negli anni Venti e Trenta del Novecento, con una distanza storica tale da non essere percepita come “attuale” e che però continua a riflettere molti dei motivi e dei soggetti dell’opera mozartiana. Durante la Prima guerra mondiale, infatti, si creò anche un fronte orientale con battaglie in cui l’impero ottomano ebbe alleata la Germania contro altre forze coloniali, soprattutto la Francia e l’Inghilterra. Già a quei tempi era solo una faccenda di potere, di rapporti di forza e di petrolio: la Germania infatti cercava di sfruttare l’identità culturale e religiosa delle popolazioni arabe a favore della sua battaglia contro le potenze dell’Intesa (possiamo arrivare a dire che le definizioni di Jihad e Al Qaida, oggi all’ordine del giorno, abbiano avuto origine proprio allora. È quel fronte, sul quale si lottò per tutti gli anni Venti, a fare da sfondo alla rappresentazione, seppur apparendo con grande cautela.

Mi sono impegnato a lasciare i personaggi alla loro realtà teatrale, collocandoli su un tenue sfondo politico che rappresenta un grande vantaggio rispetto alla versione originale del libretto, nella quale tutte le situazioni risultano improbabili, prive di logica e sciocche. Sono convinto che soprattutto la prigionia di Pedrillo, Costanza e Bionda debba essere estremamente brutale e pericolosa, affinché le azioni e gli sforzi di Belmonte acquistino tensione drammatica. Con un simile retroscena irto di pericoli è necessario anche confrontarsi con l’elemento irrazionale, con una specie di “sindrome di Stoccolma” e con la componente sessuale, qui rappresentata da un personaggio enigmatico come Selim. E poi c’è Osmino, che non va affatto considerato come un idiota qualsiasi come spesso accade; anzi il suo odio profondo e la sua violenza mi spaventano molto e si mescolano alla componente umana del personaggio che è tale da mettere in discussione l’insieme...

Non dobbiamo pensare a una forma di realismo filmico ma alla situazione come ci potrebbe venire mostrata in un diorama, in una vetrina di museo naturale, che ci permette di avere l’immagine realistica di qualcosa, completa di profondità spaziale, realismo naturalistico e coerenza storica pur restando una creazione artificiale, l’astrazione di una situazione esemplare, un surrogato della realtà.

Martin Kušej


Deserto sotto il cielo

Albert Ostermaier

«Prima decapitato, poi impiccato, quindi legato su piastre roventi, bru- ciato, legato, affogato e per finire scuoiato!» è così che Osmino, al colmo dell’ira, sfoga le sue ossessioni omicide. Se leggiamo quelle parole nel libretto, dimenticando per un momento la musica di Mozart, possiamo immediatamente pensare al fanatismo islamista e vedere in Osmino il prototipo del terrorista islamico precursore degli assassini di «Charlie Hebdo». Johann Gottlieb Stephanie, librettista di Mozart, era forse un visionario? Una cacofonica Cassandra? Può anche darsi che la nostra prospettiva sia ingombra d’immagini traumatiche e del brutale terrore di oggigiorno oltre che della violenza distruttrice e cieca esercitata sul patrimonio culturale cui anche quest’opera appartiene. Ma possiamo ignorare quel che viene cantato? La virulenza della musica può forse essere superiore a quella mortale delle parole? Lo Osmino mozartiano non è forse il prodotto dell’infatuazione di un’epoca per l’Oriente – la cui violenza era vista come attributo pittoresco – e della fascinazione per paesi lontani che si pensavano pericolosi senza esserlo? E al tempo stesso, in quanto artisti, non siamo forse responsabili, anzi obbligati a leggere una simile opera attraverso questo schermo? Naturalmente oggi consideriamo il libretto con occhi differenti, con lo sguardo della nostra epoca, sullo sfondo di quel che accade nel mondo. Certamente non abbiamo il diritto di far violenza all’opera praticando un’attualizzazione arbitraria, pseudo-provocatoria o di tendenza, ma non possiamo certo ignorare il contesto in cui ne siamo fruitori. Cosa significa, quindi, tutto questo in relazione al libretto?

Il Ratto non ha come soggetto una critica all’Islam, non lo demonizza né tende a difendere l’Illuminismo contro l’apparente barbarie di Osmino (non dimentichiamoci neppure che il Pascià Selim, il musulmano che accorda il suo perdono, è un rinnegato, cioè un cristiano convertito, forse un europeo). L’insieme di queste tematiche, unita alla nostra visione delle cose, ha giocato un ruolo che non può né deve essere ignorato, ma questa messa in scena vuole anche sottolineare altri due temi centrali del libretto: la fedeltà e il tradimento. Affinché li si prenda sul serio è ne- cessario adottare un’interpretazione politica, perché la sfera privata non è mai esclusivamente tale; la fedeltà e il tradimento sono temi politici alla stessa stregua del rispetto e della discriminazione: dap- pertutto infatti incontriamo la paura del tradimento, la paura dell’adulterio, la lotta per la fedeltà, la ricerca implorante del rispetto, l’insopportabile umiliazione, il desiderio di vendetta e di potere. Selim viene tradito dal padre di Belmonte, Belmonte a sua volta raggira e tradisce Selim; anche Costanza fa altrettanto illudendolo con vane speranze. Costanza arriva anche a fare del proprio amore una merce di scambio: se Selim le darà altro tempo, lei gli permetterà di sperare in contraccambio la possibilità di essere amato, dovendo scommettere su quanto si fida di lei. Ovviamente è una finzione e lei finisce per fuggire allontanandosi anche dall’illusione d’amore; ma cosa ci garan- tisce che l’amore di Selim sia autentico? Non potrebbe averci ripensato? Non potrebbe trattarsi di una tattica? O non è forse l’impossi- bilità stessa di essere amato che lo attira? Può darsi che a sedurlo sia proprio quel che non è in grado di comprare? Per lui, che possiede ogni cosa, l’attrattiva dell’amore può forse consistere in ciò che non può ottenere con la forza?

Costanza, dal canto suo, spera che il potere dell’amore basti a sconfiggere l’amore del potere, e prepara la sua fuga. Selim stesso fi- nisce per tradire e tradisce Osmino accordando la grazia. Per quel poco che si voglia credere al lieto fine, lo si deve alla saggezza di Selim. Può darsi che il suo perdono sia vano, sia illusorio, sia una forma sottile di vendetta? Osmino, comunque, è altrettanto infedele al suo padrone quando rifiuta di accettare l’idea che Selim voglia liberare i prigionieri di cui detesta i privilegi e che tenta di tormentare in ogni modo (in tal modo usurpando l’autorità di Selim); ma la peggiore delle sue infe- deltà è quella che commette contro il suo dio quando trasgredisce il divieto di consumare alcolici, lasciandosi convincere da Pedrillo a bere venendo meno ai comandamenti della sua fede e ai suoi propri prin- cipi, gli stessi cui contravviene quando s’innamora di Bionda, un’infe- dele, permettendole di prenderlo per il naso. Arriva addirittura a far violenza al proprio sentimento quando minaccia la donna in ossequio all’obbedienza che esige da lei, come se si potesse pretendere di pos- sedere un amore sottomettendolo alla sola ubbidienza. Bionda a sua volta è sempre pronta a tradire o a ingannare, battendosi dapprima per salvarsi la pelle e solo in un secondo momento per amore. Mentre Bionda ha sempre gli occhi aperti, Belmonte è accecato d’amore. Selim è quello che tutti hanno tradito almeno una volta anche se lui non la- scia trasparire nulla e, con lui, si ha sempre l’impressione che nono- stante si lasci tradire, non manchi mai lui stesso di giocare con la fe- deltà e col tradimento; non si tradisce mai e inganna gli altri più di se stesso. È un vero peccato che Selim e Bionda non provino a unire le forze: sarebbero come gli Underwood della serie House of Cards.

Tutti indossano le maschere dell’inganno, tutti vivono nella paura del tradimento e dell’adulterio e non credono per davvero che gli altri siano capaci dello stesso amore incondizionato che essi stessi vantano e cantano. Amare non significa forse lasciare che corpo e anima si abbandonino all’amore? L’amore non esige forse fiducia? Se la lettura del libretto ci insegna con certezza dove e quando il tradimento ha avuto luogo, non sappiamo dove si nasconde se fuori o dentro alle linee: solo il sospetto è per tutti i diversi personaggi la dolorosa realtà psicologica, il virus del dubbio li ha contagiati tutti e li punge con la sua spina dolorosa.

Chi è già stato preda della gelosia e si è riconosciuto ingannato lo sa: il sospetto e il pregiudizio non se ne vanno mai ma restano sotto pelle a tormentarlo; anche se non gli si vuole credere e se per questo si trovano parole forti in grado di protestare il proprio amore e la pro- pria fedeltà, tanto forti da cantarle sulle arie più belle: niente da fare, la dissonanza del dubbio persiste. Il volto oscuro del fanatismo dell’amore o del fanatismo per amore o per fede, i suoi accenti scuri, le sue ombre non smettono di trasparire nella musica oltre che nelle imprecazioni e nelle invettive di Osmino.

Nella messa in scena di Martin Kušej, la storia del Ratto si svolge nel deserto, ambiente oppresso dal calore di giorno e dal freddo di notte, dove la temperatura varia con tanta intensità quanto accade per i sentimenti dei protagonisti. Il deserto è il luogo degli estremi; per chi non ci è nato, per chi non lo sa leggere e non ne comprende il fascino e le leggi, il deserto è solo pura minaccia: non vi si vede che sabbia, quintessenza dell’inutilità, quella sabbia che incessantemente ingombra le palpebre, quella sabbia con la quale non si può far altro che costruire castelli in aria.

Il libretto, come abbiamo rilevato, non è politico e dice poco sia sull’Islam sia sulla nostra idea di Islam; tuttavia apre anche interessanti prospettive psicologiche e politiche non appena lo si traspone in un contesto storico concreto. Il quadro ideale, che permette di fugare ogni pseudo attualizzazione giungendo alle radici della crisi attuale, è a mio avviso la Prima guerra mondiale e la politica orientalista svolta dalla Germania all’epoca. Erano gli anni in cui l’impero tedesco si era alleato con quello ottomano (i turchi) e si opponeva alle potenze co- loniali (Gran Bretagna, Francia e Russia). La Germania si considerava come potenza protettrice dell’Islam contro gli oppressori coloniali: l’imperatore Guglielmo II si faceva chiamare «il salvatore dell’Islam», l’amico di tutti i «trecento milioni di maomettani che vivono sulla faccia della Terra» e che, secondo i suoi piani, dovevano raccogliersi sotto la bandiera del Corano e del califfato per respingere le forze imperia- liste. Guglielmo II, infuriato per l’ingresso della Gran Bretagna nell’Alleanza, esortava così i consoli e gli agenti tedeschi a «infiammare tutto il mondo maomettano affinché si arruoli in una furiosa sollevazione contro quel popolo di mercanti odiosi e ipocriti, perché se è necessa- rio perdere tutto il nostro sangue, allora che almeno l’Inghilterra perda l’India». È così che la Germania inviò spedizioni segrete in Oriente con l’obiettivo di fomentare sollevazioni fra le tribù, di far esplodere o di sabotare oleodotti e pozzi petroliferi. Sono quindi i tedeschi gli iniziatori della fatwa contro l’Alleanza: nei campi di prigionia speciali per i combattenti musulmani il giornale si chiamava «El Djihad», vi furono esplosioni nelle condutture e un certo numero di rivolte ebbe successo. All’epoca evidentemente si trattava di un teatro di guerra se- condario ma tutti i fattori che oggi determinano la crisi mediorientale erano già, all’inizio del conflitto e durante gli anni Venti, estremamente virulenti: la fatwa, i jihadisti, la divisione tra sunniti e sciiti, i talebani, gli interessi economici inerenti lo sfruttamento delle risorse, i giochi di potere politici e strategici, le guerre per procura, il colonialismo senza scrupoli e quello nascosto, la religione come arma di guerra.

Se si esaminano oggi gli attori di quelle spedizioni compiute all’inizio della Prima guerra mondiale e negli anni Venti, se si considerano i loro corollari, si ha l’impressione di aver a che fare con i mede- simi cliché dell’Oriente immaginato da Mozart e da Stephanie; però dietro tutto questo si nasconde una realtà brutale della quale oggi si percepiscono le conseguenze. All’epoca di Mozart c’erano gli spagnoli e gli inglesi che, come oggi, guidavano i propri interessi in Oriente anche dietro la maschera dell’Illuminismo, del mondo civilizzato, del progresso, valori dietro ai quali venivano dissimulati i veri interessi: cioè l’ampiamento dei profitti, lo sciovinismo e l’asservimento di un’intera religione. Le conseguenze di questa politica erano devastanti e lo sono rimaste: la crudeltà dell’Osmino di Mozart è oggi divenuta una bestiale realtà... e noi ce ne laviamo le mani! Mani che però sono ricoperte di sangue: l’Occidente ha infatti giocato un ruolo decisivo  nelle guerre del Medio Oriente che si sono perpetrate dagli anni del colonialismo fino alle guerre in Iraq.

Ma il Ratto dal serraglio non è forse una faccenda musicale? Non siamo qui oggi per celebrare la musica, la sua bellezza e quella delle voci? Sì, la musica è di disarmante bellezza: ecco quindi ciò in cui possiamo sperare: ascoltiamola e diamole voce!


Con Mozart fra Islam e Occidente

Estratti video dall'incontro con Gabriella Caramore, Roberto Giusti, Gastone Breccia

 


 

Il direttore Nikolaj Znaider

 

L'assistente alla regia Herbert Stoeger

Il dibattito in conferenza stampa

 


Flò a Teatro

IL RATTO DAL SERRAGLIO

Wolfgang Amadeus Mozart

Dal 20 al 29 Gennaio 2017

La nuova stagione di Opera e Danza del Teatro Comunale inaugura il 2017 con l’opera di Wolfgang Amadeus Mozart “Il ratto dal serraglio”.

La partnership artistica con Flò Fiori, iniziata già dalla scorsa stagione 2016, prosegue e si consolida in questo nuovo anno nel progetto che ha visto il Teatro Comunale aprirsi verso nuove forme di espressione artistica.

Al debutto di ogni Opera il Foyer Respighi ospiterà dunque una nostra installazione: un’interpretazione personale realizzata attraverso il linguaggio e i simboli della Natura.

“Il ratto dal serraglio” che mette in scena le contrastate vicende di due coppie di amanti segregate alla corte del Pascià turco Selim e i loro antagonisti, diventano oggi metafora dei contasti di antica origine fra Oriente ed Occidente. Il regista ora ripropone la vicenda in un Oriente molto vicino a noi, facendo quindi riferimento all’autoproclamato “stato islamico”, ricreando scene con un’ambientazione desertica di dune e sabbia.

L’installazione di Flò Fiori, nel proporsi in sintonia con la scenografia dell’opera, si presenta con ricercate scelte di materie e cromie, comunicando un messaggio di speranza ed eleggendo la Natura come ambasciatrice di dialogo fra i popoli. Gli alti arbusti di Calicanto importati dall’Oriente, sono oggi diffusi ed apprezzati in molti dei nostri giardini. La loro fioritura di un colore caldo, con una fragranza intensa, dolce e aromatica ci avvolge e ci trasporta in paesi lontani. La loro particolarità di sbocciare nei gelidi giorni di gennaio li rende forti e coraggiosi: sembrano comunicare la capacità di rivincita che la Natura riesce a dimostrare in tante occasioni e che noi dovremo imitare. Regalare fiori di Calicanto significa infatti offrire il proprio conforto e la propria protezione alla persona che li riceve. I delicati germogli dei bulbi di Crocus nel vaso di materia scura, nell’enfatizzare la realtà dei contrasti ormai radicati e di difficile soluzione, sembrano voler annunciare che una nuova vita presto fiorirà.

Per accogliere il pubblico in occasione del debutto della stagione 2017, la sera del 20 gennaio, Flò Fiori decorerà anche la porta del Foyer Respighi con un richiamo floreale in sintonia con il tema dell’ Opera.

Il 20 gennaio in occasione della Prima alle ore 20.00, Annalisa Lo Porto di Flò Fiori sarà presente per raccontare il pensiero che ha guidato l’interpretazione di “Il ratto dal serraglio” e ha reso possibile l’installazione floreale all’interno del Foyer Respighi.

 


 

 

 
 
 

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