L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Die Entführung aus dem Serail al Comunale di Bologna

Note sull'elaborazione concettuale del testo:

Il ratto dal serraglio

È sorprendente che un’opera che nel Settecento risultava di per sé semplice mostri ancora una così grande attualità. Fra i pregi di Mozart c’è quello di continuare a parlare al cuore degli uomini e di restare attuale, leggero ma pur sempre in grado di raggiungere gli abissi dell’animo umano.

Per percepire davvero la dimensione mozartiana, a me molto cara, bisogna partire dalla musica, perché il libretto e la drammaturgia possono risultare semplicistici coi loro soggetti oggi superati e tendenzialmente ridicoli, nonostante in tutte le edizioni del Ratto che io conosca si continui a insistere sui suoi toni più obsoleti e insostenibili, per lo più convenzionali, cabarettistici, da marionette, obsoleti. Dal canto mio invece non ho dubbi nel voler rielaborare coi cantanti un linguaggio adeguatamente moderno e recitabile, che corrisponda anche al nuovo significato contemporaneo del Ratto.

Non posso neppure accettare che l’opera venga ridotta all’osso, com’è accaduto in centinaia d’anni di storia dell’opera in cui l’equilibrio tra parole e musica tipico del Singspiel è stato sbilanciato a favore della seconda (operazione di per sé comprensibile proprio per via della cattiva qualità del libretto originale). Comunque nelle parti musicali si conserva la lingua tedesca ed è molto importante fare attenzione a un certo equilibrio del linguaggio.

Lo stesso è accaduto in altri famosi Singspiel tedeschi dei quali mi son occupato in precedenza e che avevano tematiche in qualche maniera simili: anche nel Fidelio, per esempio si parla d’amore o di tradimenti compiuti per amore… ma non è il caso di entrare in dettaglio: basti sapere che il tradimento è essenziale nelle relazioni tra i personaggi del Ratto: relazioni amorose, relazioni di potere, relazioni di amicizia e persino relazioni ideologiche o cariche d’odio, sempre connesse a un possibile tradimento o a una rottura della fiducia, perché il tradimento è una variante oggettiva estremamente umana e frequente a partire dalla quale si può raccontare meglio anche una pièce teatrale e operistica attuale!

O citato Fidelio perché in quel libretto ho adoperato lo stesso metodo usato qui nel Ratto: solo pochi registi e in poche occasioni hanno fatto lo sforzo di ricercare il significato drammaturgico del testo e di riportare poi il risultato della loro ricerca sul lavoro coi cantanti, cosa che spesso viene trascurata preferendo allestimenti meravigliosamente piacevoli ma tenuti assieme solo da paio di rudimentali battute di parlato, cosa che qui non accadrà!

Nel preparare il Ratto dal serraglio ho notato anche un’altra cosa interessante: se si guarda alla trama semplicemente così come è, compare improvvisamente ciò che accade oggi: vediamo infatti uomini europei bianchi (turisti) rapiti e tenuti prigionieri da arabi (turchi) o comunque da musulmani. Le vittime cercano di liberarsi da sole senza successo e anche i tentativi esterni o i riscatti falliscono nell’intento, lasciandoli quindi senza speranza nelle mani dei loro aguzzini. Durante l’Illuminismo sarà forte stato ancora possibile dare a questa storia un finale positivo, ma oggi è assolutamente sicuro che i terroristi finiscono per decapitare i loro prigionieri.

L’idea di rappresentare l’opera nel deserto è nata subito: perché è un luogo estremo, che mostra i personaggi abbandonati in situazioni difficili ed evita ogni fraintendimento interpretativo nei tradizionali giardini paradisiaci delle fiabe orientali. Io ho imparato Mozart lavorando con Nikolaus Harnoncourt e nella sua concezione del mondo mozartiano, acuta e analitica, non c’era spazio per il kitsch e l’innocenza. Naturalmente quando si tratta di modernizzare un’opera, si deve procedere in modo accorto ed equilibrato (specialmente dopo fatti tragici come l’attentato a «Charlie Hebdo»). Meglio farla subito finita col divertimento e mettere in scena il Ratto con finalità esemplari, creando una forma di distanza artificiale che eviti di scivolare nella piatta attualizzazione (cosa che non si può fare né con la musica, né col linguaggio né con le azioni sceniche).

La trama è quindi stata collocata negli anni Venti e Trenta del Novecento, con una distanza storica tale da non essere percepita come “attuale” e che però continua a riflettere molti dei motivi e dei soggetti dell’opera mozartiana. Durante la Prima guerra mondiale, infatti, si creò anche un fronte orientale con battaglie in cui l’impero ottomano ebbe alleata la Germania contro altre forze coloniali, soprattutto la Francia e l’Inghilterra. Già a quei tempi era solo una faccenda di potere, di rapporti di forza e di petrolio: la Germania infatti cercava di sfruttare l’identità culturale e religiosa delle popolazioni arabe a favore della sua battaglia contro le potenze dell’Intesa (possiamo arrivare a dire che le definizioni di Jihad e Al Qaida, oggi all’ordine del giorno, abbiano avuto origine proprio allora. È quel fronte, sul quale si lottò per tutti gli anni Venti, a fare da sfondo alla rappresentazione, seppur apparendo con grande cautela.

Mi sono impegnato a lasciare i personaggi alla loro realtà teatrale, collocandoli su un tenue sfondo politico che rappresenta un grande vantaggio rispetto alla versione originale del libretto, nella quale tutte le situazioni risultano improbabili, prive di logica e sciocche. Sono convinto che soprattutto la prigionia di Pedrillo, Costanza e Bionda debba essere estremamente brutale e pericolosa, affinché le azioni e gli sforzi di Belmonte acquistino tensione drammatica. Con un simile retroscena irto di pericoli è necessario anche confrontarsi con l’elemento irrazionale, con una specie di “sindrome di Stoccolma” e con la componente sessuale, qui rappresentata da un personaggio enigmatico come Selim. E poi c’è Osmino, che non va affatto considerato come un idiota qualsiasi come spesso accade; anzi il suo odio profondo e la sua violenza mi spaventano molto e si mescolano alla componente umana del personaggio che è tale da mettere in discussione l’insieme...

Non dobbiamo pensare a una forma di realismo filmico ma alla situazione come ci potrebbe venire mostrata in un diorama, in una vetrina di museo naturale, che ci permette di avere l’immagine realistica di qualcosa, completa di profondità spaziale, realismo naturalistico e coerenza storica pur restando una creazione artificiale, l’astrazione di una situazione esemplare, un surrogato della realtà.

Martin Kušej


 

 

 
 
 

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