L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Die Entführung aus dem Serail al Comunale di Bologna

Deserto sotto il cielo

Albert Ostermaier

«Prima decapitato, poi impiccato, quindi legato su piastre roventi, bru- ciato, legato, affogato e per finire scuoiato!» è così che Osmino, al colmo dell’ira, sfoga le sue ossessioni omicide. Se leggiamo quelle parole nel libretto, dimenticando per un momento la musica di Mozart, possiamo immediatamente pensare al fanatismo islamista e vedere in Osmino il prototipo del terrorista islamico precursore degli assassini di «Charlie Hebdo». Johann Gottlieb Stephanie, librettista di Mozart, era forse un visionario? Una cacofonica Cassandra? Può anche darsi che la nostra prospettiva sia ingombra d’immagini traumatiche e del brutale terrore di oggigiorno oltre che della violenza distruttrice e cieca esercitata sul patrimonio culturale cui anche quest’opera appartiene. Ma possiamo ignorare quel che viene cantato? La virulenza della musica può forse essere superiore a quella mortale delle parole? Lo Osmino mozartiano non è forse il prodotto dell’infatuazione di un’epoca per l’Oriente – la cui violenza era vista come attributo pittoresco – e della fascinazione per paesi lontani che si pensavano pericolosi senza esserlo? E al tempo stesso, in quanto artisti, non siamo forse responsabili, anzi obbligati a leggere una simile opera attraverso questo schermo? Naturalmente oggi consideriamo il libretto con occhi differenti, con lo sguardo della nostra epoca, sullo sfondo di quel che accade nel mondo. Certamente non abbiamo il diritto di far violenza all’opera praticando un’attualizzazione arbitraria, pseudo-provocatoria o di tendenza, ma non possiamo certo ignorare il contesto in cui ne siamo fruitori. Cosa significa, quindi, tutto questo in relazione al libretto?

Il Ratto non ha come soggetto una critica all’Islam, non lo demonizza né tende a difendere l’Illuminismo contro l’apparente barbarie di Osmino (non dimentichiamoci neppure che il Pascià Selim, il musulmano che accorda il suo perdono, è un rinnegato, cioè un cristiano convertito, forse un europeo). L’insieme di queste tematiche, unita alla nostra visione delle cose, ha giocato un ruolo che non può né deve essere ignorato, ma questa messa in scena vuole anche sottolineare altri due temi centrali del libretto: la fedeltà e il tradimento. Affinché li si prenda sul serio è ne- cessario adottare un’interpretazione politica, perché la sfera privata non è mai esclusivamente tale; la fedeltà e il tradimento sono temi politici alla stessa stregua del rispetto e della discriminazione: dap- pertutto infatti incontriamo la paura del tradimento, la paura dell’adulterio, la lotta per la fedeltà, la ricerca implorante del rispetto, l’insopportabile umiliazione, il desiderio di vendetta e di potere. Selim viene tradito dal padre di Belmonte, Belmonte a sua volta raggira e tradisce Selim; anche Costanza fa altrettanto illudendolo con vane speranze. Costanza arriva anche a fare del proprio amore una merce di scambio: se Selim le darà altro tempo, lei gli permetterà di sperare in contraccambio la possibilità di essere amato, dovendo scommettere su quanto si fida di lei. Ovviamente è una finzione e lei finisce per fuggire allontanandosi anche dall’illusione d’amore; ma cosa ci garan- tisce che l’amore di Selim sia autentico? Non potrebbe averci ripensato? Non potrebbe trattarsi di una tattica? O non è forse l’impossi- bilità stessa di essere amato che lo attira? Può darsi che a sedurlo sia proprio quel che non è in grado di comprare? Per lui, che possiede ogni cosa, l’attrattiva dell’amore può forse consistere in ciò che non può ottenere con la forza?

Costanza, dal canto suo, spera che il potere dell’amore basti a sconfiggere l’amore del potere, e prepara la sua fuga. Selim stesso fi- nisce per tradire e tradisce Osmino accordando la grazia. Per quel poco che si voglia credere al lieto fine, lo si deve alla saggezza di Selim. Può darsi che il suo perdono sia vano, sia illusorio, sia una forma sottile di vendetta? Osmino, comunque, è altrettanto infedele al suo padrone quando rifiuta di accettare l’idea che Selim voglia liberare i prigionieri di cui detesta i privilegi e che tenta di tormentare in ogni modo (in tal modo usurpando l’autorità di Selim); ma la peggiore delle sue infe- deltà è quella che commette contro il suo dio quando trasgredisce il divieto di consumare alcolici, lasciandosi convincere da Pedrillo a bere venendo meno ai comandamenti della sua fede e ai suoi propri prin- cipi, gli stessi cui contravviene quando s’innamora di Bionda, un’infe- dele, permettendole di prenderlo per il naso. Arriva addirittura a far violenza al proprio sentimento quando minaccia la donna in ossequio all’obbedienza che esige da lei, come se si potesse pretendere di pos- sedere un amore sottomettendolo alla sola ubbidienza. Bionda a sua volta è sempre pronta a tradire o a ingannare, battendosi dapprima per salvarsi la pelle e solo in un secondo momento per amore. Mentre Bionda ha sempre gli occhi aperti, Belmonte è accecato d’amore. Selim è quello che tutti hanno tradito almeno una volta anche se lui non la- scia trasparire nulla e, con lui, si ha sempre l’impressione che nono- stante si lasci tradire, non manchi mai lui stesso di giocare con la fe- deltà e col tradimento; non si tradisce mai e inganna gli altri più di se stesso. È un vero peccato che Selim e Bionda non provino a unire le forze: sarebbero come gli Underwood della serie House of Cards.

Tutti indossano le maschere dell’inganno, tutti vivono nella paura del tradimento e dell’adulterio e non credono per davvero che gli altri siano capaci dello stesso amore incondizionato che essi stessi vantano e cantano. Amare non significa forse lasciare che corpo e anima si abbandonino all’amore? L’amore non esige forse fiducia? Se la lettura del libretto ci insegna con certezza dove e quando il tradimento ha avuto luogo, non sappiamo dove si nasconde se fuori o dentro alle linee: solo il sospetto è per tutti i diversi personaggi la dolorosa realtà psicologica, il virus del dubbio li ha contagiati tutti e li punge con la sua spina dolorosa.

Chi è già stato preda della gelosia e si è riconosciuto ingannato lo sa: il sospetto e il pregiudizio non se ne vanno mai ma restano sotto pelle a tormentarlo; anche se non gli si vuole credere e se per questo si trovano parole forti in grado di protestare il proprio amore e la pro- pria fedeltà, tanto forti da cantarle sulle arie più belle: niente da fare, la dissonanza del dubbio persiste. Il volto oscuro del fanatismo dell’amore o del fanatismo per amore o per fede, i suoi accenti scuri, le sue ombre non smettono di trasparire nella musica oltre che nelle imprecazioni e nelle invettive di Osmino.

Nella messa in scena di Martin Kušej, la storia del Ratto si svolge nel deserto, ambiente oppresso dal calore di giorno e dal freddo di notte, dove la temperatura varia con tanta intensità quanto accade per i sentimenti dei protagonisti. Il deserto è il luogo degli estremi; per chi non ci è nato, per chi non lo sa leggere e non ne comprende il fascino e le leggi, il deserto è solo pura minaccia: non vi si vede che sabbia, quintessenza dell’inutilità, quella sabbia che incessantemente ingombra le palpebre, quella sabbia con la quale non si può far altro che costruire castelli in aria.

Il libretto, come abbiamo rilevato, non è politico e dice poco sia sull’Islam sia sulla nostra idea di Islam; tuttavia apre anche interessanti prospettive psicologiche e politiche non appena lo si traspone in un contesto storico concreto. Il quadro ideale, che permette di fugare ogni pseudo attualizzazione giungendo alle radici della crisi attuale, è a mio avviso la Prima guerra mondiale e la politica orientalista svolta dalla Germania all’epoca. Erano gli anni in cui l’impero tedesco si era alleato con quello ottomano (i turchi) e si opponeva alle potenze co- loniali (Gran Bretagna, Francia e Russia). La Germania si considerava come potenza protettrice dell’Islam contro gli oppressori coloniali: l’imperatore Guglielmo II si faceva chiamare «il salvatore dell’Islam», l’amico di tutti i «trecento milioni di maomettani che vivono sulla faccia della Terra» e che, secondo i suoi piani, dovevano raccogliersi sotto la bandiera del Corano e del califfato per respingere le forze imperia- liste. Guglielmo II, infuriato per l’ingresso della Gran Bretagna nell’Alleanza, esortava così i consoli e gli agenti tedeschi a «infiammare tutto il mondo maomettano affinché si arruoli in una furiosa sollevazione contro quel popolo di mercanti odiosi e ipocriti, perché se è necessa- rio perdere tutto il nostro sangue, allora che almeno l’Inghilterra perda l’India». È così che la Germania inviò spedizioni segrete in Oriente con l’obiettivo di fomentare sollevazioni fra le tribù, di far esplodere o di sabotare oleodotti e pozzi petroliferi. Sono quindi i tedeschi gli iniziatori della fatwa contro l’Alleanza: nei campi di prigionia speciali per i combattenti musulmani il giornale si chiamava «El Djihad», vi furono esplosioni nelle condutture e un certo numero di rivolte ebbe successo. All’epoca evidentemente si trattava di un teatro di guerra se- condario ma tutti i fattori che oggi determinano la crisi mediorientale erano già, all’inizio del conflitto e durante gli anni Venti, estremamente virulenti: la fatwa, i jihadisti, la divisione tra sunniti e sciiti, i talebani, gli interessi economici inerenti lo sfruttamento delle risorse, i giochi di potere politici e strategici, le guerre per procura, il colonialismo senza scrupoli e quello nascosto, la religione come arma di guerra.

Se si esaminano oggi gli attori di quelle spedizioni compiute all’inizio della Prima guerra mondiale e negli anni Venti, se si considerano i loro corollari, si ha l’impressione di aver a che fare con i mede- simi cliché dell’Oriente immaginato da Mozart e da Stephanie; però dietro tutto questo si nasconde una realtà brutale della quale oggi si percepiscono le conseguenze. All’epoca di Mozart c’erano gli spagnoli e gli inglesi che, come oggi, guidavano i propri interessi in Oriente anche dietro la maschera dell’Illuminismo, del mondo civilizzato, del progresso, valori dietro ai quali venivano dissimulati i veri interessi: cioè l’ampiamento dei profitti, lo sciovinismo e l’asservimento di un’intera religione. Le conseguenze di questa politica erano devastanti e lo sono rimaste: la crudeltà dell’Osmino di Mozart è oggi divenuta una bestiale realtà... e noi ce ne laviamo le mani! Mani che però sono ricoperte di sangue: l’Occidente ha infatti giocato un ruolo decisivo  nelle guerre del Medio Oriente che si sono perpetrate dagli anni del colonialismo fino alle guerre in Iraq.

Ma il Ratto dal serraglio non è forse una faccenda musicale? Non siamo qui oggi per celebrare la musica, la sua bellezza e quella delle voci? Sì, la musica è di disarmante bellezza: ecco quindi ciò in cui possiamo sperare: ascoltiamola e diamole voce!


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.