L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'anello mancante

di Roberta Pedrotti

F. Paer

Agnese

Rey-Joly, werba, Morace, Rocha, Giovannini, Cirillo, Della Peruta, Benetti

direttore Diego Fasolis

regia Leo Muscato

Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino

Torino, Teatro Regio, 10/14 marzo 2019

2DVD Dynamic, 37850, 2020

Nasce un po' in disparte, come divertimento privato di un aristocratico, l'Agnese di Paer, ma presto le arride una fortuna forse insperata: arriva a Parigi, entra nel repertorio di Giuditta Pasta, Marco Bordogni (il primo Libenskof nel Viaggio a Reims), Luigi Lablache, Antonio Tamburini, mentre il compositore arricchisce e ridefinisce la struttura del secondo atto sulla misura di cast di maggior prestigio. Poi, l'oblio, l'oblio dovuto al tramonto del genere semiserio e al confluire di molti elementi caratteristici nel dramma romantico e nel realismo borghese, l'oblio inesorabile per quella generazione di valenti compositori con l'unico torto di operare fra le ultime luci settecentesche di Mozart, Cimarosa e Paisiello e l'affermazione rossiniana. Eppure, nel saltare a pie' pari questi operisti pressappoco coetanei di Beethoven (Paer nacque nel 1771) si rischia di disarticolare il discorso storico e artistico perdendo un anello fondamentale della catena. Si rischia di non capire, se non si ascolta lo sviluppo delle dinamiche in Paer, perché l'irrompere del crescendo e del ritmo rossiniano fu così rivoluzionario e sconvolgente, si rischia di immaginare un certo gusto per temi realistici e psicologici, per gli elementi naturalistici, come sviluppato tutto d'un tratto dopo delicati antecedenti sentimentali settecenteschi. Ascoltate, però, come l'azione di Agnese si apra con una tempesta in un bosco, e pensate che di lì a pochi anni, con l'Introduzione dell'Occasione fa il ladro, Rossini creerà il suo primo temporale, straordinario, sì, ma non così inedito. Prestate attenzione alla trama: una ragazza fugge per amore, si sposa e ha una figlia, ma scopre il tradimento del marito e lo lascia per trovare, però, il padre impazzito per il dolore e rinchiuso in un manicomio. Pare di veder rimescolate alcune carte ancora ben riconoscibili della Nina pazza per amore di Paisiello, guarda caso pure opera amatissima dalla Pasta, e di stringere ancor più le maglie dell'attenzione del melodramma verso i temi della follia dal sentimentalismo illuminista al romanticismo ottocentesco. Perfino la terapia con cui Uberto, padre di Agnese, è ricondotto alla ragione, si iscrive in una lunghissima tradizione di burle o inganni a fin di bene per fare rinsavire da una mania o risvegliare antichi ricordi (in Alina regina di Golconda di Donizetti, la contadinella provenzale salita al trono indiano riconquista l'amato ricostruendo il villaggio natio).

Sul piano musicale, Diego Fasolis - che già aveva diretto un'edizione discografica dell'opera e ora la riporta al debutto scenico dopo quasi centocinquant'anni - rende piena giustizia a Paer e ne fa apprezzare il mordente, l'intelligenza espressiva, la qualità della strumentazione e dell'invenzione melodica, ben strutturata e accattivante. L'intenso patetismo d'estrazione larmoyante si combina con ombreggiature romanticheggianti, non solo nella citata tempesta iniziale, e con pagine brillanti di schietta estrazione buffa stemperata abilmente con gli altri ingredienti. L'orchestra del Regio di Torino, peraltro, risponde con stile forbito e accenti pregnanti, mettendo in luce gli accostamenti timbrici preziosi orditi da Paer.

Anche il cast risponde assai bene, a partire da Maria Rey-Joly, giovanissima catapultata in una parte protagonistica di non indifferenti esigenze vocali e teatrali (volitiva e innamorata, dolce e testarda, madre amorosa, moglie tradita e riconciliata, figlia ribelle e affettuosa). Sicuramente c'è un margine di miglioramento ed evoluzione per l'artista, ma la prova è ampiamente superata con canto fresco, luminoso e sicuro e presenza scenica ideale. Bene anche le seconde donne Giulia Della Peruta e Lucia Cirillo. Ottimo, poi, il versante maschile, con Markus Werba che fraseggia fra alienazione e ragione, nei panni di Uberto, con la naturalezza, l'intelligenza e il calore del più scafato madrelingua, oltre che del musicista intelligente, del baritono dalla voce ben tornita, del padrone disinvolto della scena. Filippo Morace fa a sua volta valere la confidenza con la grande tradizione buffa napoletana filtrandola a dovere nello stile di Paer e nel carattere ambiguo della comemdia semiseria, sì da definire un ottimo Don Pasquale, direttore del manicomio. Bravissimo è, poi Edgardo Rocha, moderna e appassionata incarnazione del tenore di grazia capace di rendere il trasporto sentimentale e il belcantistico tormento del fedifrago pentito e innamorato in una scrittura non agevole e dominata con souplesse. Ma merita una menzione speciale anche il secondo tenore Andrea Giovannini, nei panni mercuriali del medico Don Girolamo, che valorizza appieno il contrasto nel medesimo registro fra il carattere amoroso e quello brillante che attraversa tutta la storia dell'opera (un esempio nel '900: il tormentato Tom Rakwell e il guizzante banditore Sellem nel Rake's Progress di Stravinskij). Federico Binetti completa un cast vocale di qualità, ma vanno menzionati anche gli artisti del coro del Regio e la bravissima Sofia La Cara nei panni silenti della figlioletta di Agnese ed Ernesto.

Se, dunque, quel che si ascolta e concerne alle personalità sceniche individuali è senz'altro degno di lode, qualche perplessità permane sulla visione registica di Leo Muscato, che sembra perdere di vista le peculiarità del genere semiserio e gli elementi più interessanti della drammaturgia, per alleggerire tutto in una serie di mossette un po' stucchevoli (come lo sono alcuni costumi parodistici senza guizzi d'originalità) senza prendere una precisa decisione. Così, l'immagine degli internati persi nei loro tic nervosi finisce per irritare, suona come una presa in giro un po' sciocchina di qualcosa di serio se non va nettamente in una direzione inquietante e perturbante o, viceversa, di un esplicito tratto giocoso e surreale, dell'incubo, insomma, o del sogno, del realismo o dell'astrazione. Ma non è la prima volta che notiamo negli spettacoli di Muscato il limite di una traccia interpretativa troppo vaga, di una sorta di prudenza controproducente.

Sarebbe davvero auspicabile che il repertorio a cavallo fra XVIII e XIX secolo trovasse più stabile collocazione nei cartelloni e che sulla scia di interpreti e musicisti che già stanno dando prove eloquenti in tal senso, si potesse ripensare nella contemporaneità con la dovuta efficacia il carattere peculiare della drammaturgia musicale semiseria. Questo DVD, intanto, fotografa bene la situazione, fra risultati raggiunti, potenziali da sviluppare e nodi da sciogliere. E, cosa da non trascurare, valorizza anche la prima rappresentazione in tempi moderni con una lista delle tracce ben tettagliata nella descrizione dei vari numeri, e con un libretto d'accompagnamento ben curato.


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