L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Anni ruggenti

 di Luigi Raso

A Napoli il pubblico non sembra troppo ricettivo verso il musical ed è un peccato: Lady, be good! è uno splendido esempio dello stile travolgente, raffinato e innovativo di George Gershwin e ci riporta al candido ottimismo dei Roaring Twenties prima della Grande depressione.

Napoli, 21 novembre 2019 - In Lady, Bìbe Good! - musical dei fratelli George (musica) e Ira (parole) Gershwin rappresentato al Liberty Theatre di Broadway nel 1924 - lo spirito Roaring Twenties, quello che affiora tra le pagine di quel piccolo capolavoro che è The Great Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, aleggia prepotentemente, prendendo forma negli accenni di danza, nei sincopati, nel jazz, nel Blues e nel charleston; si è investiti da una forza propulsiva ed esotica, almeno per le orecchie yankee, di grande fascino, abilmente reinventata da quell’indiscusso genio musicale, assimilatore e contaminatore che risponde al nome di George Gershwin.

Mancano pochi anni al terribile crollo della Borsa di Wall Street che gettò mezzo mondo nella Grande depressione. Il resto, purtroppo, è ciò che chiamiamo con rassegnazione storia.

Lady, be Good!, comunque, profuma ancora di candido ottimismo; scritto a quattro mani dai due fratelli Gershwin, è modellato per altri due fratelli, Fred e Adele Astaire. Più che naturale, dunque, che il ductus musicale generale sia connotato da un marcato quanto elegante andamento danzante.

Gershwin riesce, pur in presenza di una trama insulsa quanto avviluppata, a creare un musical godibile, nel quale coesistono songs dal melodismo genuino e accattivante, esplosivi ritmi sincopati. Un lavoro teatrale dal linguaggio musicale innovativo, figlio di quella crasi tra generi musicali che in Rhapsody in Blue - composta proprio nel 1924, stesso anno di Lady, be Good! - trova uno dei migliori esempi.

Lo spettacolo del San Carlo - importato dal Teatro de la Zarzuela di Madrid e firmato da Emilio Sagi - coglie la leggerezza che innerva il musical, il suo procedere spedito, esaltando l’elemento danzante. Le scene di Daniel Bianco, i costumi sgargianti di Jesús Ruiz e le luci di Eduardo Bravo ricreano, pur senza sfarzo eccessivo, quell’atmosfera di festa perenne, topos letterario della letteratura degli “Anni ruggenti”.

Quella di Sagi è una messinscena sicuramente godibile e garbata, alla quale, però, sembra mancare quel pizzico di vento travolgente che emana la musica. Gli sparuti coro e corpo di ballo non danno l’impressione di riempire a sufficienza la scena.

Sul versante musicale la concertazione di Timothy Brock assicura il buon equilibrio tra cantanti (ovviamente, trattandosi di un musical, microfonati) e l’orchestra, ma latita il guizzo musicale, il “lasciarsi andare” sulla scia dei ritmi di Gershwin e il “lasciarsi prendere” dal raffinato melodismo delle canzoni. L’orchestra del San Carlo è precisa e compatta, dimostra ancora un volta di possedere versatilità nell’affrontare, per qualità sonora e ritmica, il repertorio del musical. Molto bene, nell’imprimere la giusta tinta jazz, fanno il primo clarinetto e la prima tromba.

Appare prosciugato nel numero dei suoi componenti e nel suono il Coro diretto da Gea Garatti Ansini: una compagine più nutrita avrebbe assicurato maggior compattezza e spessore, a tratti carente.

Coesa e omogenea la compagnia di canto, con i protagonisti ben calati nelle loro parti e particolarmente bravi ad accennare i tanti passi di danza di cui è disseminata la partitura. Su tutti si impone la Susie Trevor di Jeni Bern, per qualità vocali e per abbandono lirico: toccante il magnifico song The Man I Love, un tempo espunto dal musical e recuperato, fortunatamente, in questa ripresa sancarliana.

Stilisticamente elegante è la prova di Nicholas Garrett nella parte di Dick Trevor, sempre affiatato con la sorella Susie. Troy Cook è un Watkins che interpreta un Oh, Lady, be Good! perfettamente cantata, con impostazione lirica in maschera e bel timbro scuro. Emana simpatia il Jeff White di Carl Danielsen, perfetto nel cantare e nel recitare il famoso Fascinating Rhythm, tra i temi più famosi del musical ed epitome dell’andamento travolgente della musical.

Il resto del cast, tra i quali si notano il Jack Robinson di Dominic Tighe, il Jeff White di Carl Danielsen, la Josephine Wanderwater di Manuela Custer, la Bertie di Jonhathan Gunthorpe, la Daisy Parke di Susanna Wolff, si dimostra funzionale alla buona riuscita e alla godibilità della spettacolo per qualità canore e attoriali.

Al termine del musical non appare molto divertito il già non numeroso pubblico in sala, il quale tributa solo applausi poco più che tiepidi a tutti.


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