L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il regno dei sovracuti

di Luigi Raso

Il recital accompagnato da Michele D'Elia al pianoforte rinnova l’occasione per apprezzare le doti tecniche, le qualità timbriche e vocali della voce di Pretty Yende, ma che però rinnova qualche remora su temperamento, stile e gusto interpretativo della talentuosa artista

NAPOLI, 12 marzo 2022 - Pretty Yende, il Belcanto e il San Carlo fanno tris: dopo la partecipazione al Gala Mozart e Belcanto nel dicembre 2020, trasmesso solo in streaming (qui la nostra recensione), il Gala Belcanto, con il tenore Xabier Anduaga, diretto da Riccardo Frizza lo scorso luglio (qui la nostra recensione), il soprano sudafricano, stasera accompagnato al pianoforte da Michele D’Elia, si ripresenta al pubblico del San Carlo con un recital che è un viaggio nel repertorio belcantistico, tra romanze da camera e arie di Rossini, Donizetti e Bellini. Un concerto che rinnova l’occasione per apprezzare le doti tecniche, le qualità timbriche e vocali della voce di Pretty Yende, ma che però rinnova qualche remora su temperamento, stile e gusto interpretativo della talentuosa artista.

Il viaggio parte da due ariette da camera di Vincenzo Bellini, Vanne, o rosa fortunata e La ricordanza, entrambecantate molto bene, con voce perfettamente “puntata”, proiettata, ben appoggiata sul fiato, ma affrontate con tratto eccessivamente compito, attento a garantire la correttezza e la pulizia della linea di canto più del coinvolgimento emotivo, che la sublime linea melodica, in particolare, della Ricordanza pur richiede e ha gioco facile a suscitare.

Da Vincenzo Bellini, catanese di nascita ma napoletano per formazione, il programma del recital ci conduce al bergamasco Gaetano Donizetti, legato alla città partenopea intimamente e, per ragioni professionali, al Teatro di San Carlo: in programma v’è una simpatica e celebre arietta, La conocchia, in lingua napoletana, idioma ben padroneggiato dal compositore di Bergamo Alta. Pretty Yende l'affronta con quel tratto di arguzia e innata simpatia che contraddistingue la sua vocalità, con una linea di canto dalla quale emergono varietà d’accenti e abbellimenti.

Maggior coinvolgimento emotivo si nota nella meravigliosa e ispirata romanza L’amor funesto: quila Yende rende bene l’empito drammatico di una pagina assimilabile a una delle grandiose pagine tragiche operistiche di Donizetti. Alla eccellente riuscita dell’interpretazione contribuisce l’accompagnamento sempre calibrato, in perfetto sincrono emotivo con il soprano, del pianista Michele D’Elia.

Si torna ad atmosfere più lievi e gioiose con la frizzante cavatina “O luce di quest'anima” da Linda di Chamounix, composta da Donizetti per Fanny Tacchinardi Persiani, prima Lucia al San Carlo nel 1835: Pretty Yende delizia gli ascoltatori con un profluvio di acuti e sovracuti, trilli e funamboliche colorature che costituiscono la specialità della ditta.

Il viaggio musicale della serata non poteva non far tappa e rendere omaggio al Gioachino Rossini cameristico della Promessa, una delle ariette più famose, prima dell’album Soirées musicales del 1835, successivo, quindi, all’addio alla carriera teatrale del Pesarese del 1829 con Guillaume Tell. La pagina è affrontata dalla Yende con i consueti grazia e garbo, con una linea di canto ben dispiegata, “aerea”, sempre ben sostenuta dal fiato. Ma è con la rutilante, folle, vulcanica e surreale Aria della Contessa di Folleville“Partir, oh ciel! Desio”da Il viaggio a Reims che Pretty Yende dà fuoco a tutto il suo arsenale tecnico: è una batteria di colorature, trilli, acuti sempre ben tenuti e proiettati che danno la netta sensazione di un irrobustimento della voce della Yende rispetto al registro medio e grave.

La tecnica ferratissima porta la Yende a strafare talvolta, a farcire con troppe variazioni la linea di canto, ad inserire poche battute anche della follia della Lucia donizettiana: perdoniamo alla Yende il farsi prendere da qualche accesso di gigionismo vocale in nome della corretta esecuzione del tutto.

In apertura della seconda parte del recital, si devia, ma non troppo, dal repertorio italiano per rendere omaggio a Franz Liszt, ammiratore di Rossini, tanto da trascrivere per pianoforte l’album Soirées musicales, nonchéamante del Belpaese, nel quale visse e scrisse, tra le varie composizioni, gli intensi Tre sonetti del Petrarca, “Pace non trovo”, “Benedetto sia ‘l giorno”,“I’ vidi in terra angelici costumi”.

Pretty Yende, perfettamente coadiuvata dal pianoforte di Michele D’Elia, tocca e accende le corde dell’espressività e della compartecipazione emotiva, trovando accenti di grande intensità, inspessendo peso e volume vocale: un’interpretazione cesellata, la cui temperatura drammatica raggiunge il giusto punto di equilibrio tra sfoggio di perizia tecnica (mezzevoci, smorzature, accenti carichi di mordente) e intensità interpretativa. A giudizio di chi scrive, il momento più alto di una serata.

Al pianista Michele D’Elia – sempre puntuale e versatile nell’accompagnamento della Yende, bravissimo nel far respirare il proprio pianoforte con il soprano, nel sapere costruire intorno alla primadonna la giusta atmosfera sonora, supplendo egregiamente all’assenza di colori orchestrali, del coro e dei pertichini (si pensi all’aria della Contessa si Folleville da Il Viaggio a Reims e alla Scena finale da La sonnambula) – il programma riserva la meravigliosa Méditation religieuse per pianoforte solo dall’opera Thäis. Il brano, sotto le dita di Michele D’Elia, diventa un saggio di tocchi pianistici calibrati, di sonorità ora scure ora adamantine, di legato nobile, caratteristiche che plasmano, in definitiva, un’interpretazione conturbante delle meravigliose melodie e armonie di Jules Massenet.

Dopo la deviazione listziana e massenetiana si torna per i fuochi d’artificio finali al Bellini della Scena ed aria finale di Amina “Ah, non credea mirarti”da La sonnambula.

Alla linea di canto pulita dell’aria, non aliena però da un senso di diffusa meccanicità, fa da contraltare lo spiritato funambolismo di colorature della cabaletta, farcita dalla Yende dalla consueta girandola di acuti e sovracuti; inspiegabilmente, date le premesse, Pretty Yende rinuncia a piazzare l’acuto finale sulla chiusura della travolgente stretta.

Il pubblico non è folto, ma al termine del recital si mostra estremamente soddisfatto e caloroso; Pretty Yende e Michele D’Elia concedono due bis.

Si parte con la rapsodica arietta di Donizetti Me voglio fa' 'na casa, interpretata con brio e arguzia. Si prosegue, infine, con la cavatina “Una voce poco fa” da Il barbiere di Siviglia. La Yende farcisce di simpatia e tanti (troppi) acuti e variazioni la cavatina, così da risultare stilisticamente eccessiva, più Regina delle notte mozartiana che Rosina rossiniana.


 

 

 
 
 

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