L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Commedia brillante, dramma minaccioso

di Irina Sorokina

Convince soprattutto per il cast, e in particolare per i due baritoni Biagio Pizzuti e Gevorg Hakobyan, il dittico nato nel 2021 per lo streaming e riproposto ora di fronte al pubblico veronese. Meno incisivi concertazione e regie.

 Verona, 22 novembre 2023 - La parola “ritorno” sembra inevitabile quando si tratta del penultimo titolo dell’anno in corso al Teatro Filarmonico di Verona: i melomani, senza dubbio, ricordano “la strana coppia” trasmessa in streaming nel febbraio del 2021 a causa del Covid. Adesso Il parlatore eterno di Ponchielli e Il tabarro di Puccini rivendicano il proprio diritto di essere rappresentati con il pubblico in carne e ossa e raggiungono un grande successo; lo spettacolo nella bella sala rosso dorata del Filarmonico è tutt’altra cosa.

Va bene vedere e ascoltare ogni tanto l’operina di Ponchielli di durata di soltanto una ventina di minuti; il vasto pubblico che conosce la celebre Danza delle ore e i grandi assoli della Gioconda apprezza molto e si diverte parecchio seguendo la faccenda del Parlatore che non è altro che un pezzo di bravura per baritono. Il baritono è lo stesso del 2021: parliamo di Biaggio Pizzuti, e chi potrebbe essere se non lui? Simpaticamente si sospetta che solo lui sia in grado di imparare il monologo pressoché infinito del nevrotico e logorroico Lelio ed eccolo di nuovo a Verona, stessa voce brillante, stessa arte spiritosa, stessi sillabati perfetti. Accanto a lui un buon cast composto di Grazia Montanari, Susetta, Maurizio Pantò, dottor Nespola, Francesca Cucuzza, Aspasia, Sonia Bianchetti, Sandrina, Salvatore Schiano Di Cola, Egidio, e un particolarmente brillante Francesco Azzolini nel ruolo del caporale dei gendarmi. L’allestimento dell’operina di Ponchielli è un prodotto “casereccio”, la regia di Stefano Trespidi, le scene di Filippo Tonon e le luci di Paolo Mazzon; una messa in scena essenziale che esercita sul pubblico un fascino modesto, ma dignitosa. Sul podio Gianna Fratta alla guida dell’Orchestra della Fondazione dell’Arena di Verona se la cava pure dignitosamente, anche se appare più propensa al lato lirico della partitura che al suo spirito ironico e si dimostra attenta alle esigenze dei cantanti.

È completamente diverso l’impatto del Tabarro pucciniano: tocca le corde dell’anima che rispondono e tremano alla notizia di un crimine eclatante. La prima parte del Trittico si adatta perfettamente alla trasposizione temporanea, in questo caso siamo negli anni quaranta del secolo scorso. In fin dei conti, i protagonisti sono Lei, Lui e un Terzo e la faccenda d’insoddisfazione femminile e di gelosia maschile degenera in poche ore finendo in un omicidio.

La veste del Tabarro è tradizionale, ma ravvivata dei dettagli sottili che potrebbero far nascere lo nostalgico nello spettatore. La barca attraccata sulla Senna non ha per sé nulla di particolare e tanto meno di drammatico; la vita umana tra le conversazioni prive d’interesse e i panni stesi scorre in modo pigro, la monotonia spinge Giorgetta, stanca dell’esistenza che le propone il marito, nelle braccia di Luigi. In fin dei conti, anche quest’ultimo non è un granché e si distingue poco da Michele.

Quel che riesce a coinvolgente nella ripresa del Tabarro non sono la barca e la passerella disegnate da Leila Fteita in modo realistico e spirito poetico, non sono nemmeno i suggestivi tramonti del light designer Paolo Mazzon, come non lo sono la sobria e quasi invisibile regia di Paolo Gavazzeni e di Piero Maranghi o i costumi e i ben adatti alla faccenda di Silvia Bonetti, ma il bravo cast. Di grande caratura l’interpretazione del baritono armeno Gevorg Hakobyan e del soprano Alessandra di Giorgio, impegnati rispettivamente nelle parti di Michele e di Giorgetta. Il primo riesce a scavare profondamente dell’anima del personaggio ispirandosi probabilmente agli insegnamenti del metodo Stanislavskij; studia tutto, ma proprio tutto, camminata, gesticolazione, sguardo, senza parlar della parola e dell’accento. Un Michele che ha vissuto abbastanza, stanco anche lui come la moglie. Non cattivo nel profondo dell’anima, ma offeso nei sentimenti più intimi e nei ricordi più cari. Bella la voce di baritono dal colore scuro e la pronuncia è studiata accuratamente. Se immaginare la seconda recita del Tabarro al Filarmonico come una competizione tra baritono, soprano e tenore, vince il primo; il pubblico riserva al cantante armeno autentiche ovazioni.

La giovane Alessandra di Giorgio sviluppa una bella intesa scenica con un partner di notevole caratura: la parte di Giorgetta le calza a pennello, ha il fisico snello, si muove bene e presenta un bel lavoro sul personaggio. La sposa del cupo Michele è una fanciulla dolce e insicura, affamata di voglia di amare, forte e fragile nella misura uguale, emana simpatia come una qualsiasi giovane donna privata dell’affettuosità e della fisicità dell’amore. La voce, un soprano lirico spinto dalle sfumature biancastre e priva della morbidezza desiderata, non si distingue per la bellezza particolare del timbro né per la perfetta omogeneità e ci vorrebbero anche più sostanza e più drammaticità per il ruolo di Giorgetta. Ma dove la cantante non convince in pieno, l’attrice festeggia una vittoria: anche per lei i grandi applausi.

Samuele Simoncini nei panni di Luigi spalleggia con passione e garbo la coppia dei coniugi infelici; al pari di Giorgetta è desideroso d’amore e di passione e sfoggia una bella voce di tenore e una buona tecnica che gli permette di figurare brillantemente in una parte difficile e ingrata.

Rossana Rinaldi è da sempre impareggiabile, bonaria e saporita nel ruolo della Frugola, affiancata dagli sciolti e credibili Saverio Fiore, il Tinca, e Davide Procaccini, il Talpa. Completano il cast Grazia Montanari e Matteo Macchioni, gli amanti e Dario Righetti, venditore di canzonette.

Dopo Il parlatore eterno anche Il tabarro è affidato alla bacchetta di Gianna Fratta con un risultato meno convincente: il piccolo dramma pucciniano fatica di decollare, alle sonorità mancano colori sufficientemente decisi, così come non convincono i tempi e verso la tragica fine la direzione perde il tono e diventa fiacca. Ottimo il lavoro del coro affidato alle mani dell’esperto Roberto Gabbiani.

Un prodotto fatto in casa nei tempi del Covid con l’impiego di pochi mezzi e dal fascino discreto si prende la via del successo in modo graduale per ottenere applausi calorosi e di lunga durata. La strana coppia Il parlatore – Il tabarro funziona anche a distanza di due anni e mezzo.


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