L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Con passione, come una volta

di Luigi Raso

La concertazione di Danierl Oren è il punto di forza dell'Aida che ha chiuso la stagione salernitana in una cornice tradizionale ben curata e con un cast che annovera voci imponenti.

SALERNO, 26 dicembre 2023 - Il giorno di Santo Stefano, 26 dicembre, nel corso dell’800 segnava l’inaugurazione della Stagione di Carnevale, l’inizio della stagione lirica e mondana. Quest’anno al Teatro Verdi di Salerno proprio il 26 dicembre va in scena l’ultimo titolo della stagione lirica 2023, Aida di Giuseppe Verdi. Il ritorno dell’opera a Salerno è rinviato alla “stagion dei fiori”: nei prossimi mesi saranno comunicati i titoli di quella che sarà la stagione lirica e di balletto 2024 del Teatro Verdi di Salerno, operoso ed encomiabile teatro di tradizione, di fatto secondo (e unico) centro di stabile e duratura produzione lirica in Campania dopo il San Carlo. Troppo poco per una regione che conta, terza in Italia dopo Lombardia e Lazio, quasi sei milioni di abitanti. Ma per fortuna il Teatro Verdi di Salerno c’è, e non manca di confezionare con passione e cura pregevoli spettacoli lirici. Alla prova dei fatti la produzioni del Teatro Verdi risultano sempre ben assemblate: se a Salerno manca, ovviamente, il corredo dei complessi umani e artistici delle Fondazioni liriche italiane, la passione e il desiderio di adoperare al meglio le proprie potenzialità, che il teatro e il territorio mettono a disposizione, sicuramente non latitano.

Con queste premesse e “ingredienti” si allestisce Aida all’insegna della tradizione: sopra lo sfondo delle suggestive quinte videoproiettate, le bellissime scene e gli sfarzosi costumi, entrambi curati con la consueta doviziosa cura dei particolari e gusto da Alfredo Troisi, restituiscono immediatamente l’immagine dell’antico Egitto, dominato da templi, divinità zoomorfe, rischiarato da meditabondi pleniluni sulle rive del Nilo. Insomma, c’è l’Egitto ai tempi dei Faraoni com’è conservato nell’immaginario collettivo, così come se lo può figurare chi si avvicina la prima volta a questo capolavoro di Verdi.

All’interno di questo ben assemblato contenitore iconografico la regia di Plamen Kartaloff fa di necessità virtù: malgrado le ridotte dimensioni del palcoscenico del Teatro Verdi, riesce ad inventarsi una scena del trionfo comunque dinamica; si affida inoltre a una drammaturgia modellata in gran parte sulle indicazioni del libretto, fa muovere e sapientemente interagire tra loro i protagonisti, gestisce al meglio le masse corali. Trovata che si segnala, unica licenza alla cosiddetta “tradizione” in nome del trionfo dell’amore anche nella morte: nel finale dell’opera Aida guadagna la scena sepolcrale di bianco vestita e con il velo nuziale. Molto ben curate, da Corona Paone, le coreografie affidate agli esperti tersicorei Anbeta Toromani e Alessandro Macario.

Insomma, uno spettacolo ben costruito, di quelli che non vogliono scardinare e indagare la drammaturgia dell’opera, ma sicuramente animato da maggiore analisi, più movimento e cura rispetto a quello inaugurale messo in scena recentemente dal principale teatro lirico italiano (chi scrive lo ha visto anche in teatro, oltre che dalla televisione).

Sul fronte musicale a convincere, e molto, è la concertazione esperta e attenta di Daniel Oren: se il preludio è cameristico, intimo e lacerato, la lettura si fa poi sempre più teatrale, appassionata e incalzante. Eleganti rallentandi ammorbidiscono e impreziosiscono il fluire musicale; con l'attenzione ai particolari c'è poi a dominare ogni battuta la consueta, e mai troppo lodata, capacità di Daniel Oren di far “cantare” l’orchestra: si canta e si respira tutti insieme! potrebbe essere il motto dell’arte direttoriale di Daniel Oren.

Troppe bacchette, anche blasonatissime, molto spesso dimenticano che nell’opera lirica canto e orchestra devono respirare in simbiosi, senza che ciò implichi che l’orchestra si degradi al ruolo di mero accompagnamento del canto. Oren questa arte la conosce a menadito e la pratica ancor meglio: sostiene i cantanti anche nei momenti di incertezza (e stasera, almeno per l’Aida di Olga Maslova non sono mancanti, purtroppo) e sa cavare dal complesso orchestrale, sebbene tecnicamente non eccelso, sonorità rotonde e, soprattutto, tanta passione nell’articolazione melodica. L’Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi di Salerno, al netto di qualche imprecisione, risponde al gesto ampio ed energico di Daniel Oren non adagiandosi mai sul crinale scivoloso di una esecuzione di routine, ma, anzi, fa trapelare energia e passionalità, qualità che fanno perdonare sparute inesattezze e ruvidezze sonore.

Molto bene, per il suono in genere compatto e poderoso e la tendenziale precisione dell’insieme, il Coro del Teatro dell’Opera di Salerno affidato alle cure del valido e attento Francesco Aliberti.

Dal cast vocale luci ed ombre, con una prevalenza, in definitiva, delle prime.

Non convince l’Aida di Olga Maslova: pur avendo mezzi vocali di per sé ragguardevoli, purtroppo la precaria tecnica di emissione non assicura precisione e solidità della linea vocale; l’intonazione è troppo spesso incerta, frequenti i suoni affetti da fissità. Il personaggio di Aida risulta, di conseguenza, soltanto abbozzato.

Jorge de León è un Radamès old style: voce torrenziale e squillante nel registro acuto, molto corposa nel registro centrale. Il fraseggio però si bea troppo di queste innegabili doti vocali e risulta eccessivamente stentoreo, tribunizio, orientato verso dei forte e fortissimo dinamici perennemente impostati e il legato nelle frasi musicali latita alquanto. Quello di Jorge de León è un Radamés che stupisce per lo sfoggio dei mezzi vocali, soprattutto per il registro acuto particolarmente brillante (luminosissimi e sicuri i suoi si bemolle), che punta a supplire a un fraseggio troppo spesso superficiale.

A pieno titoli tra i pesi massimi vocali di questa Aida siede anche l’Amneris di Ekaterina Semenchuk, da timbro brunito, sicura nel registro acuto, voce dal notevole peso specifico; pur tradendo qualche caduta di gusto delinea un’Amneris perfida, terrificante e, nella grande scena dell’atto IV, intimamente lacerata: qui sigla il momento più elevato della sua notevole ed encomiabile interpretazione.

Amartuvshin Enkhbat sfoggia la bellezza di un timbro baciato da Madre Natura, un complesso vocale al di fuori dell’ordinario per omogeneità vocale, precisione della dizione, proiezione vocale, incisività. Si resta abbagliati al solo aprir di bocca del baritono venuto dalla lontana Mongolia: ammalia la bellezza del timbro, il suo peso vocale, la rotondità dei suoni (perfettamente “girati”), la nobiltà della linea di canto, tutte caratteristiche per le quali gli si perdona un fraseggio tendenzialmente poco articolato e variopinto.

Sicuro nella linea di canto e dal bel timbro vocale è il Ramfins di Maharram Huseynov; Carlo Striuli, malgrado un complesso vocale poco smagliante, presta la sua grande professionalità al Re d’Egitto. Di bel timbro e dalla buona linea la sacerdotessa di Chiara Mogini; preciso, musicale, dalla dizione scolpita e dalla voce molto ben timbrata è il messaggero di Francesco Pittari, recentemente applaudito Pong in Turandot al Teatro San Carlo (qui la recensione).

Sfumati gli ultimi accordi sulla “morte trasfigurata” di Radamés e Aida, la piccola sala del Teatro Verdi di Salerno scoppia in un lungo applauso fragorosissimo per tutti i protagonisti, suggellato da un picco di consensi per Daniel Oren, beniamino del pubblico campano da oltre quarant’anni.

L’appuntamento con la lirica a Salerno sarà per la prossima primavera; nell’attesa, buon 2024!


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