L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’accordo finale

 di Stefano Ceccarelli

La stagione 2022/2023 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia giunge al termine con un applaudito concerto diretto da Jérémie Rhorer. Vengono eseguite musiche di Camille Saint-Saëns (Danse macabre, poema sinfonico op. 40 e Sinfonia n. 3 in do minore con organo op. 78) e Pëtr Il’ič Čajkovskij (Concerto per pianoforte n. 2 in sol maggiore op. 44); solista del concerto di Čajkovskij è il talentuoso Alexandre Kantorow.

ROMA, 8 giugno 2023 – L’ultimo concerto nel cartellone regolare della stagione 2022/2023 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia costituisce un doppio debutto, di direttore e pianista: Jérémie Rhorer e Alexandre Kantorow, infatti, salgono per la prima volta sul palco della Sala Santa Cecilia. Il programma, equilibrato ed armonico, è basato su due autori: Camille Saint-Saëns, che apre e chiude la soirée, e Pëtr Il’ič Čajkovskij, il cui Secondo concerto è cimento per l’arte di Kantorow.

Il primo tempo si apre con l’esecuzione della versione orchestrale della Danse macabre di Saint-Saëns. Rhorer ha una gestualità elegante, espressiva; l’agogica è ben scandita ed il ritmo di danza, dissonante e sinistra, prende l’intera orchestra, che risponde con un suono sopraffino. Il violino dell’esperto Carlo Maria Parazzoli dà l’abbrivio, dissonante, al celebre tema della danza degli scheletri; nello sviluppo, Rhorer avrebbe potuto osare, forse, di più con stacchi e ritmi, ma l’esito è comunque ottimo. Si comprende sùbito che Rhorer è di quei direttori che ama la bellezza della purezza sonora, anche a scapito di una mano più ferma. Si prosegue con il Secondo concerto di Čajkovskij. Non meno problematico del primo, in quanto a vicissitudini compositive, ma probabilmente meno travolgente, il Secondo concerto presenta tutte le caratteristiche della scrittura concertistica di Čajkovskij: un virtuosismo spedito, movimenti ‘architettonicamente’ complessi e variegati, un melodiare seducente. Tutto ciò è ben colto da Kantorow, il cui pianismo è caratterizzato da un notevole fervore virtuosistico, unito a precisione nei passaggi, pulizia e ricerca spasmodica di un’ideale perfezione sonora. Caratteristiche, queste, che si sposano particolarmente bene con il mastodontico Allegro brillante e molto vivace, un movimento poliedrico, una giustapposizione di sezioni di diverso carattere, tutte atte a far risaltare un virtuosismo spedito dell’interprete. Kantorow legge con intensità i vari passaggi: non solo momenti lirici (come il caldo tema principale), ma anche la cadenza fortemente ritmata e percussiva, resa con incredibile energia dall’interprete. L’intesa con l’orchestra ed il direttore è ottima. Sublime l’introduzione all’Andante non troppo (II), diretta con morbida mano da Rhorer e resa indimenticabile dal dialogo, perfetto, fra Parazzoli e Luigi Piovano, violoncellista: l’Andante, infatti, è quasi un triplo concerto (pianoforte, violino e viola). La tensione fra orchestra, violino e violoncello viene sciolta dall’ingresso del pianoforte; Kantorow fa cantare una melodia delicata, che si arrampica in arabeschi gentili. Molto partecipato lo sviluppo, in cui orchestra, solisti e pianoforte allargano progressivamente la tensione: Kantarow è bravo a scolpire una climax che si stempera in episodi impressionistici. L’Allegro con fuoco finale è l’espressione di un luminoso virtuosismo pianistico, grazie al quale Kantarow può brillare in momenti di natura sempre cangiante, più volatili, più percussivi. Rhorer fa brillare l’orchestra in una giostra rutilante, che regala un emozionante finale. Fra gli applausi, Kantarow torna sul palco e regala un’intimistica esecuzione del Sonetto 104 del Petrarca, dagli Années de pèlegrinage di Franz Liszt.

Il secondo tempo vede l’esecuzione della Terza di Saint-Saëns. Rhorer ne dà una lettura complessivamente ottima, esaltando gli elementi tersi, classici della scrittura, come pure le venature più brunite, così tipicamente tardo-romantiche. Nel I movimento l’ingresso degli archi, con il tema agitato, riesce assai bene, come pure lo sviluppo; l’ingresso dell’organo, la cui parte è ben eseguita da Silvio Coleghin, dà l’avvio al Poco Adagio, fra le sezioni più evocative della sinfonia e fra le meglio riuscite da parte del direttore. L’impasto di organo e altre compagini orchestrali è fortemente evocativo, tanto da rimanere impresso nella memoria degli ascoltatori. Energico l’Allegro moderato, che scatena gli archi in uno scherzo orchestrale la cui scrittura trapassa dalle folate a passaggi più sfumati, dove il pianoforte tratteggia sciolti accordi. Superbo il finale, aperto da un accordo imperioso dell’organo: la scrittura si fa fortemente astratta, immaginifica, celestiale, con gli archi appoggiati su un pedale dell’organo volatilizzato dagli accordi acquatici del pianoforte. Rhorer irrobustisce il volume, scandisce i passaggi con imperiosa, ma pur sempre controllata, bacchetta. L’orchestra sale, si sviluppa in una sorta di corale, fino a un profondissimo e luminoso accordo finale, che fa scoppiare sonori applausi e chiude degnamente questa splendida stagione concertistica.


 

 

 
 
 

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