L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Notti d’oriente

 di Stefano Ceccarelli

Per il secondo concerto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Gianandrea Noseda dirige un programma quasi tutto russo: Ottorino Respighi, Burlesca per orchestra; Sergej Rachmaninov, Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 op. 18 in do minore; Rimskij-Korsakov, Shéhérazade, suite per orchestra op. 35. Siede al pianoforte Behzod Abduraimov, che scatena la folla.

ROMA, 13 luglio 2023 – Nella suggestiva cavea dell’Auditorium “Ennio Morricone” viene eseguito il secondo concerto in programma nel cartellone estivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, quello diretto da Gianandrea Noseda; programma, questo, che sarà poi portato in tournée, dalla Baviera all’Italia, nella seconda parte di luglio.

La soirée si apre con la Burlesca di Ottorino Respighi. Unico pezzo italiano della serata, la Burlesca è una fantasia accattivante ed estetizzante, che molto deve ad echi sonori guizzanti, come il corno che scandisce un breve tema, quasi nostalgico. A dispetto del titolo, che parafrasa, in realtà, una sorta di fantasia, la Burlesca ha la sua vena più ispirata nei passaggi trapunti di un’orchestra delicatissima. Noseda, che della Burlesca è un noto interprete (avendola anche incisa), legge con piglio e rigore il brano, anche se della tavolozza variopinta della composizione, proprio a causa dell’acustica precaria di un concerto all’aperto, si possono godere appieno solo i momenti in cui tutta l’orchestra è spiegata – meno, dunque, i passaggi più soffusi.

Il primo tempo prosegue con il Secondo di Sergej Rachmaninov. Entra Behzod Abduraimov, pianista uzbeko di notevole talento. È lui ad aprire il Moderato con la progressione di accordi in crescendo che porta l’orchestra a scandire il celebre tema. L’intesa fra Noseda e Adburaimov è certamente buona, la direzione dell’intero concerto da parte di Noseda ordinata, ma anche ordinaria, nel senso che si limita a sottolineare i momenti topici, rispettando le tempistiche di Rachmaninov: manca, forse, un quid in più, un guizzo, che pure il Secondo concerto permetterebbe nella sua proteiforme natura, virtuosistica, placida, drammatica. Per quanto riguarda il pianismo di Abduraimov, l’uzbeko si distingue per un virtuosismo limpido e spedito, un senso del ritmo fantastico, una velocità esecutiva prodigiosa, come pure una potenza percussiva ragguardevole. Tutte caratteristiche, queste, che risultano essenziali nell’esecuzione del Secondo di Rachmaninov – si pensi allo sviluppo del Moderato, a tratti muscolare, molto percussivo. L’acustica – che, val la pena ripeterlo, è quella che è, non per colpe tecniche, ma per ragioni inevitabili quando si facciano concerti all’aperto – non permette di giocare troppo di fino (sarebbe udibile a pochi, pochissimi), quindi Abduraimov scandisce bene tutti i passaggi, incrementando il volume del suono. Lo si nota anche nell’Adagio sostenuto: fossimo stati in una sala da concerto, Abduraimov avrebbe dosato con maggior delicatezza la lettura del malinconico tema centrale, che viene ripreso e variato molte volte; l’ uzbeko, giustamente, scandisce e fraseggia con una certa intensità, per permettere al suono di arrivare tondo in ogni parte della cavea. L’effetto ispessisce le emozioni chiaroscurali di una delle pagine più ispirate di Rachmaninov – come non ricordare gli accordi rotondi e trattenuti in cui più di una volta il pianoforte si ingolfa, sorretto da un velo orchestrale, sciogliendosi poi in virtuosismi come acqua che incontri uno scoglio. L’ultimo movimento, l’Allegro scherzando, è un tripudio di virtuosismi, eseguiti con impressionante velocità e tersa resa sonora (si pensi, solo, ai trilli eterei della parte centrale); l’orchestra dialoga massicciamente con il pianista, facendo apprezzare al pubblico le sue straordinarie doti (si tratta – non penso di esagerare – della migliore orchestra italiana). Nella cadenza, scandita da decisi accordi, con l’orchestra che intona il tema principale, si chiude uno dei concerti più famosi del repertorio. Il pubblico esplode in un applauso fragoroso. Abduraimov si congeda con una vigorosa esecuzione del bis virtuosistico par excellence: “La campanella” di Franz Liszt, su un tema di Paganini.

Il secondo tempo è interamente dedicato alla composizione che dà il titolo al concerto: Shéhérazade di Rimskij-Korsakov, lungo poema sinfonico ispirato a uno dei testi più affascinanti della letteratura mondiale, Le Mille e una notte. Noseda, come ho già avuto modo di notare, fornisce una lettura ordinata, solo in alcuni momenti più vivida; del resto, Shéhérazade è il pezzo più sacrificato della serata, dato che si tratta del capolavoro di un compositore noto per la finezza dei suoi tramati passaggi orchestrali – le cui sfumature, consustanziali e non esornative, si perdono nei già sottolineati problemi di acustica. Noseda, comunque, sottolinea le arcate dei temi principali, rendendo netta e palpabile l’impalcatura principale del pezzo: lodi, anzi, agli assoli del violino di Carlo Maria Parazzoli (la voce narrativa di Shahrazād), che svetta con pulizia e precisione sonora. I momenti migliori, quindi, sono quelli in cui l’orchestra si muove in massa, netta e potente: le impressioni marine presenti nella I sezione (“Il mare e la nave di Sinbad”), come pure le sferzate della tempesta nella IV (“Naufragio sulle rocce sormontate da un guerriero di bronzo”), o la festa a Baghdad, dionisiaca nell’orgia sonora e ritmica. Momenti, al contrario, più sacrificati sono quelli maggiormente intimistici, delicati: il dolce tema del “Giovane principe e della giovane principessa” (III), tragica e commovente storia di amore incestuoso; o il seducente tema del “Racconto del principe Kalender”. Alla fine dell’esecuzione, Noseda e l’orchestra sono applauditi calorosamente, tanto che regalano, a mo’ di bis, l’accattivante “Danza cinese” da Lo schiaccianoci di Čajkovskij.


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