L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il ritorno di Riccardo Muti

 di Stefano Ceccarelli

Il Maestro Riccardo Muti torna al Teatro dell’Opera di Roma, dov’è direttore onorario a vita, e vi torna con la ‘sua’ Chicago Symphony Orchestra per un concerto fuori abbonamento, patrocinato dalla Banca del Fucino. Il programma prevede Il lago incantato. Scena da favola, poema sinfonico op. 62 di Anatolij Ljadov, la Seconda suite de L’oiseau de feu di Igor Stravinskij e, infine, Aus Italien. Fantasia sinfonica in sol maggiore op. 16 di Richard Strauss.

ROMA, 29 gennaio 2024 – Il Maestro Riccardo Muti non poteva, probabilmente, trovare luogo più adatto per terminare la sua tournée europea con la Chicago Symphony Orchestra, la ‘sua’ orchestra, con cui ha un rapporto decennale (dal 2010). Il Teatro dell’Opera di Roma, infatti, ha avuto con il Maestro Muti una collaborazione stabile (in particolare negli anni 2011-2014), che ha portato all’allestimento di spettacoli di splendida qualità, soprattutto (ma non solo) dell’amato Verdi.

Il concerto di questa sera ha anche il pregio di essere gratuito. Il patrocinio della serata, infatti, affidato alla Banca del Fucino, che festeggia i suoi cento anni di vita, ha permesso di distribuire gratuitamente i biglietti dell’evento, che sono andati a ruba in poche ore. La composizione del pubblico, dunque, non è quella consueta dell’Opera di Roma, ma ha un sapore, si potrebbe dire, nazional/popolare, il che ha certamente reso la serata più vivace.

Il programma scelto da Riccardo Muti presenta opere a cavallo fra ‘800 e ‘900. Il primo tempo, in particolare, è dedicato alla musica d’avanguardia russa. La serata si apre con Il lago incantato op. 62 di Anatolij Ljadov. Opera atmosferica quant’altre mai, Il lago incantato è un tableau fiabesco dalle sonorità seducenti. La Chicago Symphony, un’orchestra dal suono certo robusto e netto, riesce a generare un vibrante velo sonoro (creato soprattutto dagli archi) dal quale emergono le screziature dei legni e dell’arpa. Muti legge la partitura con il suo consueto piglio sintetico, molto attento all’impalcatura ritmica, alla frase musicale. La caratteristica precipua dell’arte di Muti, infatti, è proprio quella di saper generare ritmo, di saper rendere viva la partitura che legge: non è un direttore che pone eccessiva attenzione a soppesare millimetricamente le pennellate orchestrali; semmai, anzi, è attento alla resa generale del quadro, all’efficacia ed alla coerenza dell’esecuzione. Questa sua caratteristica (che lo rende, peraltro, uno straordinario direttore d’opera lirica) emerge ancor più netta nel secondo pezzo scelto, la seconda suite (1919) de L’oiseau de feu di Stravinskij. Partitura che avrebbe dovuto musicare, in un primo tempo, proprio Anatolij Ljadov, L’oiseau de feu divenne il primo successo internazionale di Stravinskij ed uno dei pezzi forti dei ballets russes di Djaghilev. Muti sceglie una direzione netta, ben scandita, a cavare l’incredibile energia ritmica della partitura. L’introduzione della suite è ben ritmata, la danza dell’uccello di fuoco aerea, soprattutto nei giochi fulminei dei legni. Delicatissima la resa della “Ronda delle principesse” (le tredici prigioniere del malvagio Katscei), dove, ancora, Muti legge con nettezza le frasi, mantenendo sempre chiara, limpida la tenuta agogica. Mercé anche la robustezza del suono della Chicago, il momento più spettacolare della suite è la “Danza infernale del Re Katscei”, il malvagio orco che il principe Tsarevich deve uccidere per salvare le tredici principesse, fra cui quella che ama e sposerà. Qui Muti sfrena l’orchestra, dando vita ad una resa potente, che rimane impressa nel pubblico. La “Berceuse” (memore dei Quadri da un’esposizione di Modest Musorgskij, in particolare de Il vecchio castello), invece, è resa con grande delicatezza, con l’assolo del fagotto che culla la melodia. La mano netta, vigorosa di Muti emerge tutta nell’epico finale della suite, dove l’orchestra scandisce accordi fragorosi, che chiudono il pezzo strappando lunghi applausi.

Il secondo tempo è occupato interamente da Aus Italien di Richard Strauss, un omaggio all’Italia ed alle sue inconfondibili sonorità, rilette sotto l’egida di un’estetica tardoromantica. Riccardo Muti conosce perfettamente questa partitura, avendola anche incisa (con i Berliner). Fin da Auf der Campagna (I movimento), il direttore esalta le sonorità ‘eroicamente’ bucoliche di Strauss con polso fermo, incisività delle frasi, energia degli interventi degli ottoni; ancora, la Chicago Symphony dà prova della sua robustezza sonora, senza obliare passaggi più soffusi. In Rom’s ruinen (II movimento) Strauss emerge, ancora, in tutto il suo eroismo tardoromantico, presentando questa fascinazione decadente con una scrittura tutt’altro che tetra, da Muti scandagliata nella nettezza dei contrasti sonori. Gli ultimi due movimenti sono quelli più caratteristici a livello di sonorità. Il III, in particolare, è magnifico nella sua screziatura sonora (Am Strande von Sorrent), dove i legni svolazzato su un vibrante letto sonoro degli archi – si evoca la marina scintillante della bella Sorrento. Il IV vuole cogliere la caotica vitalità della città di Napoli e si apre con una citazione di Funiculì, funiculà, da Strauss ritenuta una canzone popolare e che, invece, era stata composta da Denza pochi anni prima della composizione di Aus Italien per festeggiare l’apertura della funicolare vesuviana. Muti fa brillare i ritmi di tarantella e tutto l’apparato orchestrale vibra dei fermenti ritmici creati da Strauss. Alla fine del concerto, il pubblico tributa un’ovazione al Maestro, che – dopo brevi parole di ringraziamento e di saluto – regala al pubblico, come bis, una poderosa esecuzione dell’ouverture dalla Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi.


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