L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I colori del violino

di Daniele Valersi

Francesca Dego propone per la prima volta in Italia il Concerto per violino di Busoni in un acclamato programma che la vede al fianco dell'Orchestra Haydn con la direzione di Markus Stenz, impegnati poi anche nella seconda Sinfonia di Schumann.

TRENTO 6 marzo 2024 - Un ritorno nelle sale di Bolzano e di Trento più che gradito, quello di Francesca Dego, che nel 2008, appena diciannovenne, scatenò l’entusiasmo con il Concerto per violino di Mendelssohn. Nella ricorrenza del centesimo anniversario della scomparsa di Ferruccio Busoni, a pochi giorni dall’uscita del suo recente disco Chandos (con la BBC Symphony Orchestra e Dalia Stasevska sul podio), l’ammirata solista italo-statunitense ha riservato la sua prima esecuzione italiana del busoniano Concerto per violino e orchestra op. 35 alla stagione dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, in una serata fuori dall’ordinario che vedeva nella presenza del direttore tedesco Markus Stenz, una guida di prim’ordine sotto ogni punto di vista. Quale introduzione al concerto busoniano e alla Sinfonia n. 2 op. 61 di Schumann, un “a solo” al flauto zen chiamato Kyotaku di Prashantam, nato in Portogallo e allievo del maestro zen Koku Nishimura in Giappone, offriva un contatto con la spiritualità zen, un accenno di uno dei principi ispiratori di questa disciplina, ossia “Ichi-onjo-butsu”, trovare il Buddha in un suono. Con questo intervento fuori contesto si è concluso l’esperimento delle “Ouverture barbare”, voluto dal direttore artistico della Fondazione Haydn Giorgio Battistelli, nel corso del quale sono emersi alcuni esempi musicali di culture e spiritualità sconosciute, incastonati nella stagione sinfonica. Non un vero e proprio confronto, vista la brevità di tali inserti, piuttosto un’episodica digressione dal focus, a ricordare il fatto che nel mondo non esiste solo la nostra cultura, che più o meno consapevolmente tendiamo sempre a considerare come egemone.

Nel concerto violinistico brillavano le molte voci del Ruggeri suonato da Dego, che nella Cadenza prima dell’esposizione e nella ripetizione del tema all’inizio del primo movimento esordiva con sonorità piena, di timbro caldo e saturo, per declinare successivamente in un’incredibile varietà timbrica di molteplici sfumature. Terminato nel 1987, il Concerto busoniano è spia di una fase fondamentale dell’evoluzione stilistica del compositore, anche se non rappresenta il vertice della sua scrittura violinistica, che si individua nella Sonata op. 36a. Di impianto dichiaratamente tradizionale, è una pagina che presenta aspetti notevoli nella tecnica, nel tematismo e nell’orchestrazione e che manifesta ascendenze brahmsiane e lisztiane, un lavoro del cui valore l’interprete è pienamente convinta e di cui dà un’interpretazione ammirevole, prodigandosi in cromatismi molto fluidi (quasi in glissando), arpeggi concitati, bicordi, lirismo entusiasmante nelle esposizioni cantabili, profuse soprattutto nel centrale Quasi andante. L’orchestra, in diversi episodi con ruolo paritetico alla solista, è chiamata a una timbrica brillante e a un tempismo stringente, coerente con una scrittura abbondante in tecnicismi. Ad accentuare per contrasto l’agogica incalzante del conclusivo Allegro impetuoso, anche questo tempo veniva iniziato senza soluzione di continuità dal precedente e veniva condotto principalmente dal violino solista.

Con grande intensità interpretativa e actio spettacolare, nella seconda parte della serata Markus Stenz offriva una pagina sinfonica piena e vibrante, alla quale sapeva conferire qualche tratto sorprendente seppur molto studiato, come lo erano, nel secondo movimento scandito a un ritmo proibitivo, i rallentando episodicamente tratteggiati. Una direzione grandemente energica, quella di Stenz (che perciò, probabilmente, non riscuoterà un consenso unanime), che enfatizza ulteriormente le tinte forti e la prevalente concitazione insite fin dalla sua genesi in questa sinfonia, che è correlativo della dimensione psicologica dell’autore durante la convalescenza, come lui stesso ebbe a dichiarare (“Riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato”). In ogni caso, l’andamento non lascia un attimo di respiro, l’effetto è impattante al punto che c’è un accenno di applauso tra un tempo e l’altro, il pubblico va in visibilio e tributa vivaci acclamazioni.

Una serata di musica ad alta concentrazione, coinvolgente per tutti, un meritato successo per l’orchestra che conferma il suo ottimo livello e la duttilità per la quale è apprezzata dai direttori ospiti, per il direttore applaudito anche dagli strumentisti, per la solista acclamata a più riprese, che regalava fuori programma un movimento dalla Seconda Sonata di Johann Sebastian Bach e il sedicesimo Capriccio di Paganini e che, entrata in sala all’intervallo per ascoltare Schumann, veniva riconosciuta e affettuosamente applaudita.


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