L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ribelli a Londra

di Gina Guandalini

Se non una collaborazione artistica, accarezzata ma mai realizzata, i quattro di Liverpool e il regista fiorentino hanno vissuto contatti e compresenza in anni irripetibili per libertà e creatività. Gina Guandalini, che da anni studia e raccoglie materiale su Franco Zeffirelli, ripercorre la storia del loro rapporto.

“A Londra avevo accesso a tutti gli ambienti artistici”, ha detto Zeffirelli nel 2011. La sua conquista della cultura londinese è stata completa. Inizia ai primi del 1959, quando Tullio Serafin convoca Franco a Londra per affidargli tutta la parte visiva di una Lucia di Lammemoor sulla quale il Teatro del Covent Garden punta tutte le sue carte per rientrare in orbita mondiale. Il tandem Serafin-Zeffirelli è per il pubblico quanto di più vicino si possa ottenere a una esibizione della Callas – ma la direzione artistica vuole lanciare artisti anglosassoni. Joan Sutherland è vocalmente straordinaria, ma scenicamente molto impacciata: viene “presa in mano” dal non ancora trentaseienne regista fiorentino, che cura uno spettacolo atmosferico e suggestivo, con una protagonista del tutto convinta e convincente anche come attrice. Nel dicembre seguente l’accoppiata Cavalleria-Pagliacci disegnata e messa in scena da Zeffirelli sempre alla Royal Opera ha un successo ancora maggiore. Sembra che gli inglesi scoprano la mediterraneità di questo double bill operistico solo dopo l’intensa e soleggiata messa in scena zeffirelliana, con tocchi cinematografici che accostano Canio al felliniano Zampanò di La strada. In più un altro anglosassone, il tenore Jon Vickers, conferma di essere un elemento di valore mondiale. È sulla scia di quello spettacolo così nuovo e intenso che il direttore dello storico Old Vic, a sud del Tamigi, chiede a Zeffirelli di passare da Leoncavallo al Covent Garden a Shakespeare nel massimo teatro di prosa britannico..

O almeno Michael Benthall ci prova. L’Old Vic è un’istituzione così prestigiosa che Franco non crede alle telefonate che lo perseguitano sul continente: pensa piuttosto a uno scherzo – ha conosciuto lo humour inglese – e crede anche di sapere da parte di chi. Nel corso dell’anno ha fatto amicizia con Victor Spinetti, popolarissimo attore comico gallese ma di famiglia originaria della provincia di Parma. È un perfetto imitatore di voci e scherzomane scatenato. Solo quando arriva una lettera intestata dell’Old Vic è chiaro che l’invito è sul serio. Un pittore e scenografo fiorentino mettere in scena Shakespeare? Benthall vuole togliere polvere dal teatro inglese e gli offre la regia di Romeo and Juliet. Sui timori di Zeffirelli gioca malignamentte Visconti, che fa di tutto per convincerlo di non essere all’altezza della prova; ma lui accetta. Vola a Londra e per i ruoli di Romeo, Giulietta, Mercuzio, Benvolio e Paride cerca interpreti giovani A tutti quelli che gli obiettano che l’importante è recitare i versi di Shakespeare con collaudata professionalità attoriale, ribatte che trecentocinquant’anni prima quei versi erano recitati da ragazzini quattordicenni, certo ben poco autorevoli come dicitori impegnati. Ma non si pensi che, come per il film di sette anni dopo, Zeffirelli scelga dei quindici-sedicenni. Judi Olivia Dench, Juliet, ha quasi ventisei anni ma è minuta e sembra una bambola; il più giovane è Tom Courtenay, nel piccolo ruolo di Abraham servo di casa Montecchi, ha ventitrè anni, come John Stride che è Romeo. Poi il regista non vuole parrucche: i ragazzi devono lasciar crescere i capelli e scrollarli come puledri al galoppo. La faccenda è imbarazzante per i giovani attori, che fuori dal teatro nascondono le chiome sotto grandi berretti per non essere presi in giro. Un anno dopo farà irruzione in Occidente Rudolf Nureyev, che odia anche lui le parrucche e imporrà da subito un look definito a Londra beatnik. Ma Zeffirelli è arrivato primo.

L’italiano che porta in scena Shakespeare a Stratford-on-Avon e a Londra a trentasette anni acquisisce una dimensione internazionale. Parla inglese correntemente. Ha idee nuovissime; e l’autorità di chi vanta già una ricca carriera di scenografo e costumista dal 1946, oltre che di attore; vanta un’approfondita conoscenza pittorico-visuale dell’arte italiana in generale e del Rinascimento in particolare, che nella patria di Shakespeare comincia ad essere accostata alla letteratura elisabettiana. Quell’incursione italiana è un trionfo di pubblico inglese e nel ’62 va a Broadway per un anno. La critica è più riservata, tranne che nel caso di Kenneth Tynan, sempre all’avanguardia, che scrive di “rivelazione” e “rivoluzione”. Oggi c’è chi ricorda ancora l’impatto della scena di apertura, quella piazza italiana assolata, colorata, piena di gente che grida e ride; e la disperazione dei due giovani amanti, ai limiti dell’isterismo.

E i Beatles? A novembre ’61 un ricco e colto proprietario di negozi di dischi, Brian Epstein, scopre in una maleodorante “cantina” di Liverpool quattro rockers inventivi e scatenati. Ancora non sanno bene che nome assumere: The Blackjacks, the Quarry Men, The Rainbows, The Beetles, The Silver Beetles, The Beatals, The Silver Beets,The Silver Beatles, Johnny and the Beetles, Long John and the Silver Beetles, the Beat Brothers. E non c’è ancora un batterista fisso. Epstein ha il merito di capirne il valore: diventa loro impresario, impone chiome a caschetto e abbigliamento all’avanguardia, il nome “Beatles” con la A, che riunisce “scarafaggi” e Beat. Li segnala alla Decca per un contratto discografico e quando l’illustre compagnia rifiuta risponde “Dovete essere impazziti. Questi ragazzi esploderanno tra poco. Sono sicurissimo che un giorno saranno più famosi di Elvis Presley.” Qualche anno dopo i Favolosi Quattro sentiranno di essere più famosi anche di Qualcun Altro, ma per ora sono semplici e spensierati. Epstein si rivolge allora alla Parlophone dove lavora l’ingegnere del suono George Martin. Entrambi verranno definiti in futuro “il quinto Beatle”, e a ragione.

Durante i suoi svogliati studi Epstein ha frequentato la illustre Royal Academy of Dramatic Art, sognando di diventare attore. Diventa invece, fra le altre cose, governor della Central School of Dramatic Arts di Londra, e ne è fiero. Va spesso a teatro, certamente ha assistito a Romeo and Juliet. “Eppie è sensibile come un cavo elettrico scoperto”, dichiara George Harrison. Zeffirelli, sempre in cerca di novità, va a visitare la Central School e la cosa lusinga Brian; che però non osa rivolgergli la parola. Nel giugno 1963 Brian convince John Lennon and George Harrison a unirsi a lui per il musical Oh! What a Lovely War, spettacolo pacifista creato da Joan Littlewood con tutte le canzoni della prima guerra mondiale. Trionfale protagonista è Victor Spinetti, che è ormai una celebrità radiofonica e teatrale. I due Beatles vanno a congratularsi in camerino e George scongiura Spinetti di partecipare al film che hanno in progetto, A Hard Day’s Night: “Devi esserci anche tu, se no la mia mamma non verrà a vederlo. È pazza di te!”. A tutte le repliche Spinetti è osannato da decine di giovani spettatrici che urlano “Ha toccato George!”. L’isterismo per i Beatles si riflette su di lui: per mantenere la pace tiene un discorsetto – lui promette “a seminar” - sui Favolosi Quattro in chiusura di ogni recita. Ovviamente la gioventù inglese prende d’assalto il botteghino di Oh! What a Lovely War. Spinetti parteciperà a tutti i tre film dei Beatles: A Hard Day’s Night, Help! e Magical Mystery Tour, oltre che a La bisbetica domata di Zeffirelli.

Su YouTube si può gustare una commedia dentro la commedia, recitata dai Beatles. Nel 1964, quattrocentenario della nascita di Shakespeare, in data 28 aprile i Fab Four si cimentano in uno spoof (ma non poi tanto: anche nelle intenzioni di Shakespeare lo spettacolino è clownesco e grottesco) dell’immortale recita di Piramo e Tisbe presentata dagli artigiani alla fine del Sogno di una notte di mezz’estate. John Lennon è una Tisbe esilarante con trecce gialle, denti neri e voce roca, Ringo Starr, il leone, fuoriesce dal testo con «a parte» demenziali, George Harrison sente di dover rappresentare «l’uomo nella luna» più che la luna in sé, e lo fa con professionalità; Paul McCartney è Piramo, e le strizzate d’occhio al pubblico di ragazzi e ragazze urlanti non tolgono nulla al suo bel faccino. Decine di giovani in abiti moderni fanno cerchio alla farsa e commentano con strilli isterici ma anche shakespearianamente appropriati. Lo spirito elisabettiano è, in qualche strano modo, perfettamente centrato: la cultura alta e la controcultura si incontrano. Da qualche anno quel filmato è oggetto di studio e una docente di estetica ha accostato l’accattivante immediatezza dei Beatles allo Shakespeare nuovo e concreto di Zeffirelli. È possibile che il nostro regista a suo tempo l’abbia visto.

Il fiorentino ha pubblicato due libri di ricordi: The Autobiography in inglese nel 1986 e Autobiografia , ovviamente più estesa, in italiano nel 2006. La comparazione è molto interessante per ciò che voleva far sapere e non sapere in due fasi diverse della sua vita e ha ritenuto interessante o meno per due pubblici così diversi.In entrambe le versioni afferma “Ho conosciuto i Beatles nel 1965, quando ero a Londra per Much Ado About Nothing”. Dal febbraio di quell’anno, infatti, va in scena all’Old Vic una straordinaria messa in scena zeffirelliana di Molto rumore per nulla: cast a tutt’oggi insuperato, Albert Finney, Maggie Smith, Lynn Redgrave, Ian McKellan, Derek Jacobi, Frank Finlay, Ronald Pickup, Michael York. Le musiche sono di Nino Rota. Il successo di pubblico e di critica è enorme.Tutta la concezione di Zeffirelli è nuova e surreale, vagamente affine alla follìa organizzata da Salvador Dalì nel ’48 a Roma per Rosalinda or As You Like It: uno Shakespeare astratto e onirico che Franco era riuscito a realizzare come direttore dell’allestimento scenico. A Londra firma una “animazione” nuova e vivacissima, con costumi oltraggiosi e scene a sorpresa: fontane con statue di tritoni e sirene che si animano perché sono attori veri (bizzarria che Pier Luigi Pizzi replicherà nell’Orlando Furioso di Vivaldi a San Francisco nel 1989); lo stesso accade con i divani. Il film è saltato fuori solo nel 2010 e ora è alla Library of Congress di Washington.

Tra fine febbraio e metà aprile ’65 i Beatles sono impegnati nelle riprese di Help, a Londra ma anche alle Bahamas e in Austria. Per ammissione di tutti quattro, sono sempre in una nube di marijuana, o pot come si diceva allora, e il regista Richard Lester fa fatica a farsi ascoltare. È Brian Epstein che contatta Zeffirelli con entusiasmo; avrebbe piacere che i suoi quattro ragazzi facessero un film con lui, ma è un progetto che stenta a concretizzarsi. All’inizio dell’anno seguente John Lennon viene intervistato da una redattrice dell’Evening Standard di Londra. Siede sotto un grande crocifisso, ma dichiara tra molte altre cose: “Il Cristianesimo finirà; sparirà e si ridurrà a nulla. Non ho bisogno di discuterci sopra, ho ragione e si vedranno le prove di quel che dico. Ormai noi siamo più popolari di Gesù. Non so che cosa finirà prima, il rock 'n' roll o il Cristianesimo. Gesù era in gamba ma i suoi discepoli erano scemi e ordinari. Le loro contorsioni mi rovinano la religione”. Nel Regno Unito e a New York, aree culturali in cui la laicizzazione è già un fatto compiuto, questa sparata non disturba più di tanto. Negli Stati Uniti del Sud la rivolta è violenta: nelle stazioni radio è bando ai dischi dei Beatles, rogo dei medesimi in varie piazze, insulti e minacce. Passa in secondo piano l’intervista a George Harrison, che amplia il tiro alla religione organizzata, alla guerra nel Vietnam, alle autorità religiose e secolari, e conclude “Se il Cristianesimo è positivo come dicono, dovrebbe accettare di essere messo in discussione”. È comunque Lennon, pallido e scosso, che, arrivato insieme agli altri tre e a Epstein a Chicago, cerca di minimizzare lo scandalo.

In quei mesi Zeffirelli gira il suo primo grande successo cinematografico, La bisbetica domata, con Elizabeth Taylor e Richard Burton. Victor Spinetti ha il ruolo di Ortensio, uno dei pretendenti di Bianca, e Burton dichiara che è “l’attore più sottovalutato del mondo”. Maxi incassi al botteghino, molte nomination e molti premi. I grandi produttori cinematografici si rendono conto che quel regista italiano ha il polso del teatro shakespeariano come nessun altro. Ora può immaginare un Romeo and Juliet per il grande schermo.Solo in un libro del 2015, del giornalista di Liverpool Paul Du Noyer, Conversations with McCartney, salta fuori che Zeffirelli ha pensato a “Macca” per il ruolo di Romeo. Nessuno ne aveva mai parlato o scritto prima. In questo libro e in un talk show televisivo dell’aprile 2020, Paul ricorda: “Ricevevo molte offerte cinematografiche, il più bizzarro è stato Zeffirelli, che mi ha offerto di fare Romeo nel film del ’68. Venne agli studi di Abbey Road, dove stavo registrando. Giusto per il mio aspetto fisico, per l’atmosfera di quegli anni…’Romeo?’ gli dissi. ‘stai scherzando? Molte grazie per aver pensato a me, Franco baby. Ti voglio bene ma non posso farlo. Il mio primo ruolo cinematografico importante in un classico come quello? Proprio non posso, io sono solo un musicista’. E lui: ‘No, so che puoi farcela, sei esattamente come io vedo Romeo. Sarebbe perfetto. Vieni a Roma e facciamo il film. Sarà bellissimo” . Ho rifiutato. ‘Se vuoi, ti faccio il monologo Essere o non essere, anche se non è in quel testo. Ma Romeo proprio no!’. Secondo Zeffirelli, Richard Lester “aveva fatto un magnifico lavoro con il primo film “dei Beatles”, A Hard Day’s Night”(Tutti per uno in italiano) “ ma non era più che uno sketch che si reggeva sul registro brillante”. Per il ruolo di Romeo Lila De Nobili suggerisce allora Leonard Whiting, diciassettenne bellissimo che è già in palcoscenico da diversi anni e che si rivela perfetto.

Stranamente Zeffirelli non ricorda in nessuna delle due biografie come ha conosciuto la sua Giulietta cinematografica, Olivia Hussey. È del ’51, è argentina con nonno materno inglese e studia recitazione a Londra. Tra il maggio e l’ottobre ’66 si fa notare per il bel visetto e la disinvoltura nella commedia The Prime of Miss Jean Brodie, dal romanzo omonimo di Muriel Spark, in cui è la tipica scolaretta britannica con cappelli di paglia e uniforme; Miss Brodie è Vanessa Redgrave. Il nostro regista dice di averla vista alle numerosissime audizioni per il ruolo di Giulietta che a Londra sono affollate di aspiranti e di averla trovata dapprima troppo paffuta e goffa. Le foto teatrali lo smentiscono – ma Olivia potrebbe essere ingrassata dopo le recite, o un primo provino potrebbe risalire a un periodo precedente. Oppure l’occhio zeffirelliano vede il teatro e il cinema in due modi diversi? Olivia incontra Paul McCartney al Bag o’Nails, il locale di moda a Soho, dove si ascolta musica e si cena e di lì passa tutta Londra. Paul si congeda dalla più matura accompagnatrice – secondo Olivia la sua futura moglie Linda Eastman – e passeggia con lei sotto la pioggia; poi tassì per Wimbledon, dove Olivia abita con la famiglia. Sulla soglia di casa la saluta romanticamente e scappa. Tutto innocentissimo, scrive lei nella sua autobiografia, ma la cotta le durerà molto a lungo. Il Sunday Mirror strombazza il loro grande amore, poi riceve pressioni e ritira. Paul ricorda: “Mi piaceva moltissimo, era splendida con quei lunghi capelli scuri. Le mandai un telegramma, ‘Sei una bellissima Giulietta’ e lei mi mandò la replica ‘E tu saresti un grande Romeo’. Tutto molto romantico…” Oggi in rete non mancano fotomontaggi di Paul McCartney e Olivia Hussey in costume medievale, abbracciati come i due amanti shakespeariani,

Magical Mystery Tour è l’album che i Beatles creano tra il gennaio ’66 e il novembre ’67. Negli USA viene pubblicato con canzoni aggiunte ed è un trionfo. Il 25 maggio ‘67 Leonard Whiting e Olivia Hussey sono presentati alla stampa come interpreti del nuovo film shakespeariano di Zeffirelli. Nella villa sull’Appia appena acquistata dal regista si crea una sorta di felice “comune” dove attori, collaboratori e Nino Rota alloggiano, provano, lavorano e si tuffano in piscina. A riunire a grande distanza Zeffirelli e i Beatles sarà un evento BBC intitolato Our World: è un broadcast in mondovisione voluto da Epstein, nel quale i Fab Four presentano il loro inno storico, All You Need is Love, che Lennon ha creato in pochi giorni. Ci sono anche un’intervista con lo studioso di media Marshall McLuhan, una apparizione di Pablo Picasso e, da Roma, una prova del film Romeo and Juliet .

A fine agosto di quel 1967 Brian Epstein viene trovato morto nella sua casa londinese per overdose di stupefacenti e/o barbiturici. È un duro colpo per il quartetto di Liverpool, che perde un padre, un fratello, una guida culturale. Vedremo che, per svista, Zeffirelli scriverà di pour parler con lui datandoli 1968-’72. Si chiude il capitolo del cinema beatlesiano, con il breve film Magical Mystery Tour, girato in fretta e caoticamente – con i Beatles attori, sceneggiatori e registi! - nei due mesi che seguono la scomparsa di Epstein. Il prodotto finale non arriva alle sale cinematografiche. Paul chiede scusa al pubblico: “Non diciamo che è un film riuscito. È stato il nostro primo tentativo. Se abbiamo sbagliato abbiamo sbagliato. È una scommessa che non abbiamo vinto, faremo meglio la prossima volta”.

A dicembre ’67 i fans ricevono l’ultimo disco natalizio registrato dai Beatles, con canzoni e scenette alle quali prende parte, tra gli altri, Victor Spinetti. George dichiara che l’attore “ha un bellissimo karma” e Paul lo descrive come “l’uomo che fa sparire le nuvole”.

E siamo al mitico ’68, l’anno degli assassinii di Martin Luther King e di Bob Kennedy. Forse il film più sessantottino è proprio Romeo and Juliet di Zeffirelli, che entusiasma gli adolescenti di tutto il mondo e trasforma il teatro “alto” shakespeariano in un’esperienza contemporanea e travolgente. In marzo esce nei cinema a Londra e in ottobre negli Stati Uniti e in Italia, con pubblico entusiasta di ogni età.

Nella autobiografia italiana – non in quella inglese - il regista ricorda di essere andato a Londra per riparlare con i Beatles del suo progetto su San Francesco mentre stanno incidendo il White Album e lui assiste a una seduta di registrazione. Colloca questo episodio dopo il suo grave incidente automobilistico del febbraio ’69, dopo il ritorno alla fede, dopo il voto di dedicare un film al Santo di Assisi, dopo la sua regìa della beethoveniana Missa Solemnis in Vaticano nel ‘70, dopo alcuni tentativi di trovare le musiche adatte per il film Frate Sole, Sorella Luna. Saremmo dunque nel ’71-’72. Non ricorda se la recording session si svolge a Twickenham o a World’s End. Scrive di essere stato travolto da quei quattro ragazzi ubriachi di folle allegria, tanto che non riesce a trovare il momento per avviare il suo progetto; ma dopo, “parlando con Brian” può avanzare richieste concrete.

In realtà il White Album ha come periodo di registrazione da maggio a ottobre 1968 e gli studi sono quelli di Abbey Road, più qualche tempestosa seduta al Trident’s Studio a Soho (Twickenham ospita teatri di posa cinematografici e gli studi di World’s End a Chelsea sono stati costruiti a metà degli anni ’70). Il disco viene assemblato in un imprevedibile clima da “tutti contro tutti”: litigi, fughe, assenze giustificate e ingiustificate e chiari presagi che la fine dei Beatles non è lontana. Lennon dichiarerà: “ Nel White Album ogni track è individuale, non c’è musica dei Beatles; è John con la band, Paul con la band, George con la band”. “Un disco che non è stato piacevole fare”, riassume Paul. Inoltre, e forse questa è una delle spiegazioni della crisi beatlesiana, Epstein è morto un anno prima. Se Zeffirelli assiste alla realizzazione di un album dei Favolosi Quattro in un clima davvero gioioso e poi parla con Epstein, credo che sia stato presente a una delle sedute di Sgt. Pepper:si sono svoltetra il dicembre ’66 e l’aprile ’67, giusto il periodo in cui la scelta degli attori di Romeo and Juliet doveva concretarsi, e negli studi EMI di Abbey Road, il che concorda con quanto afferma Paul McCartney a proposito del ruolo di Romeo.

Nella autobiografia in inglese Zeffirelli associa la tentata collaborazione “francescana” con i Beatles a un enorme mazzo di fiori che gli fanno pervenire in ospedale nei primi mesi del ’69. “Guardando i fiori cominciai a formulare un’idea. I Beatles rappresentavano la generazione della pace e dell’amore, la dolce era del flower power. Perché non inserirli nel mio progetto di filmare la storia di San Francesco? Mi innamorai dell’idea di raccontare la storia di un giovane e del suo gruppo di amici coinvolgendo McCartney e i suoi compagni, pensavo fossero una fotocopia dei primi francescani e quindi adattabili al pubblico degli anni ’70. Rappresentavano la gioia giovanile del tempo, la voglia di vivere, ma anche la spinta rivoluzionaria musicale tipica del decennio, che contribuì al cambiamento di quell'epoca. Come del resto aveva fatto in gioventù Francesco, con quella sua rivoluzione dell'amore incondizionato per Dio e per tutto il creato”. “ Appena in grado di rimettersi in piedi, il regista fa un demo di musiche jazz miste a motivi del Laudario di Cortona, un manoscritto di musiche risalenti alla fine del Duecento ritrovato a fine Ottocento e conservato all’Accademia Etrusca di Cortona. Fa di tutto per proporlo a John, Paul, George e Ringo. Li insegue “ovunque stavano provando o registrando…I Beatles mi piacevano molto, anche se naturalmente in modi diversi. Direi che a livello umano trovavo che Ringo era il più aperto e amichevole, ma capii ben presto che per arrivare da qualche parte bisognava prima convincere Paul di un’idea e poi far sì che John si occupasse delle questioni pratiche. Riuscii ad ottenerlo, ma non appena John ed io ci siamo messi studiare una tabella di marcia è stato assolutamente chiaro che tutta la faccenda era impossibile. Potevano filmare, due giorni qui, cinque là, poi altri tre da qualche altra parte, ma mai per un periodo consistente. Di malavoglia arrivammo alla conclusione che San Francesco non si poteva fare”. Un’altra considerazione acuta è che il mondo anglosassone ha del Santo un’idea diversa da quella autentica: lo vede come un rivoluzionario che si oppone alla Chiesa di Roma, pensa il nostro regista, come un precursore di Martin Lutero, ciò che Francesco non è stato.

Nelle interviste rilasciate da Zeffirelli nel terzo millennio spunta un’altra idea: un musical intitolato Holy, Holy Francis con protagonista Paul: gli altri tre gli suonano e sfarfallano intorno.

Il film con i Beatles è tra i progetti che Zeffirelli rimpiangerà maggiormente di non avere portato a termine. “Ma forse fu un bene”, riflette, “perché la loro grande popolarità avrebbe dato al film un altro carattere. Forse sarebbe stato una sorta di ‘San Francesco e i Beatles’” Il fatto è che tra il ’69 e il ’70 è chiaro al mondo intero che la storica band è in disfacimento. È impossibile che gli altri tre accettino di fare da contorno a un Paul protagonista assoluto. Ecco che la presenza a una loro gioiosa seduta di incisione è difficilmente collegabile cronologicamente al “progetto Fratello Sole”. Nell’aprile ’69 Romeo and Juliet, che ha avuto le nominations come miglior film e migliore regia, riceve due Oscar:per la fotografia di Pasqualino De Santis e per i bellissimi costumi di Danilo Donati.

Quando nel 1974 Olivia Hussey gira il sottovalutato thriller horror Black Christmas, i colleghi ricordano che, nonostante matrimoni e divorzi, è ancora ossessionata dall’idea di essere innamorata di Paul e la trovano strana per questo. Tra il settembre ’75 e il maggio ’76 gira Gesù di Nazareth nel ruolo della Madonna – ancora bella e giovane come quella della Pietà di Michelangelo. Negli anni che precedono il suo omicidio, John Lennon si dedica molto alla lettura di libri di ogni sorta, sulla religione e sui fenomeni psichici, sull’occulto e sulla morte, su storia, archeologia e antropologia. Quando ha occasione di rivedere il Gesù di Zeffirelli, che in passato lo aveva affascinato, si lascia andare a una violenta esternazione contro il Cristianesimo, reo di aver distrutto la cultura e la spiritualità pagane in Europa e annuncia ai familiari presenti di sentirsi rinato come pagano.

Nei libri sui Beatles il nome di Zeffirelli compare solo nel 2015, e, come si è detto, soltanto in alcune dichiarazioni di Paul McCartney. Ma i progetti e le intenzioni che Zeffirelli espone nelle autobiografie e nelle interviste sono assolutamente credibili. Se non una collaborazione artistica, i quattro di Liverpool e il regista fiorentino hanno vissuto contatti e compresenza in anni irripetibili per libertà e creatività.


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