L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Due chitarre per Beethoven

 di Roberta Pedrotti

L. van Beethoven

Sonata op. 13 Grande sonate pathétique; Sonata op. 90; Sonata quasi una fantasia op. 27 n.2

SoloDuo

Lorenzo Micheli e Matteo Mela, chitarre e arrangiamento

registrato alla Columbos State University, ottobre 2017

CD DECCA 2019, 481 8280

Beethoven dal pianoforte alla chitarra? Non c'è da stupirsi, non si tratta di un passaggio così bizzarro, anzi: vanta una solidissima tradizione fin dai tempi in cui, a Vienna, proprio il compositore di Bonn incontrò il virtuoso italiano Mauro Giuliani, che, con fiuto da buon imprenditore di sé stesso, aveva ben pensato di riarrangiare per il suo strumento, solo o in piccolo ensemble, il repertorio cameristico più in voga. E Beethoven non ne fu scontento, anzì, nutrì per il musicista italiano una stima sincera. Da allora, la tradizione non si è interrotta, anzi, pare si stia rinnovando l'interesse per la chitarra classica del primo ottocento, sia nel repertorio originale per lo strumento, sia nelle numerose trascrizioni e rielaborazioni d'epoca o posteriori.

Un esempio è quello offerto ora, alla vigilia del duecentocinquantesimo dalla nascita di Beethoven, da Matteo Mela e Lorenzo Micheli, che omaggiano con propri arrangiamenti tre opere celeberrime: la Sonata op. 13, Patetica, la Sonata op. 90 e la Sonata Quasi una fantasia detta "Al chiaro di luna". Per certi versi, il risultato è impressionante e viene da chiedersi se siano davvero due chitarre a produrre quei suoni, per qualche istante vera illusione del pianoforte. Una specie di proiezione o di ectoplasma del piano intorno a quelle stesse corde che vibrano ma senza il tramite della tastiera e della meccanica. Le dita pizzicano come in un clavicembalo, ma percuotono, accarezzano, evocano insomma un'idea sonora sottilmente affine, simpatica, a quella dello strumento originario, ma anche peculiare, idiomatica. E sembra quasi un continuo gioco a rincorrersi e fuggire, cercarsi e nascondersi fra quella che sembra quasi un'imitazione pianistica, la sensazione fisica dell'unghia sulla corda e del gesto chitarristico, la suggestione di musica pura che va oltre l'identificazione del brano con lo strumento.

E mentre si pensa al corpo del suono, al suo prender forma ed essere plasmato dall'interprete, ci ritroviamo in una tradizione esecutiva dalle radici profonde, che ci riportano ai salotti e alle Accademie (vale a dire concerti con programmi eterogenei, fra voci e diversi strumenti solisti o in ensemble) del primo Ottocento, quando l'occasione poteva propiziare la trascrizione, e il virtuoso imbracciare la chitarra dove magari oggi non aspetteremmo, fra Beethoven e Schubert, in un Lied o in un trio. Proprio le note di copertina di Lorenzo Micheli ripercorrono ripercorrono questa storia e completano degnamente l'incisione. Beethoven dal pianoforte alla chitarra, dunque? Perché no? Val la pena provare.


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