L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dentro Čajkovskij, intorno a Čajkovskij

di Luigi Raso

Splendido debutto al San Carlo per Giuseppe Gibboni, mentre non convince del tutto la concertazione di Dan Ettinger in un programma tutto consacrato al compositore russo

NAPOLI, 21 giugno 2023 - ‘Musica puzzolente’, ‘insuonabile’, ‘selvaggio’ sono alcune delle espressioni con le quali fu tacciato il Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 35 di Pëtr Il'ič Čajkovskij; il critico musicale Eduard Hanslick e il violinista Leopold Auer sbagliarono di grosso: il Concerto del compositore russo è a pieno titolo tra le pagine più ricche di fascino mai scritte per questo strumento (e non solo), opera dalla immane difficoltà tecnica esecutiva e di pari profondità espressiva. Giuseppe Gibboni, giovanissimo astro del violinismo internazionale (vincitore nel 2021, a soli 20 anni, del prestigiosissimo Premio Paganini di Genova, riportandolo, per la quarta volta soltanto in cinquantasei edizioni, in Italia dal lontano 1997) sceglie proprio il Concerto di Čajkovskij per presentarsi, a pochi mesi dall’esibizione napoletana dello scorso autunno per la stagione dell’Associazione Alessandro Scarlatti, al pubblico del Teatro di San Carlo. Il risultato è un meritatissimo trionfo, conseguente a un’esecuzione elettrizzante ed ipnotizzante, alla quale sono seguiti ben quattro encores.

Accompagnato dall’Orchestra del San Carlo diretta da Dan Ettinger, a Gibboni basta eseguire il primo tema del primo movimento per mostrare la caratura tecnica ed espressiva della sua arte violinistica.

Grazie ai tempi estremamente indugianti staccati da Ettinger, Gibboni ha modo di far emergere il proprio vulcanico ed eccezionale talento, la propria spiccata musicalità: suono corposo, proeittatissimo, luminoso nella tessitura più acuta, ombroso e possente, quasi da violoncello, quando fa cantare il suo violino sulla corda sol. Il suono inonda letteralmente la sala del San Carlo. Nel corso dell’esecuzione ci si domanda se Gibboni imbracci un Guarneri del Gesù, tanto sono scuri e profondi i gravi dello strumento; al termine del Concerto, è lo stesso Gibboni a sciogliere il dubbio a chi scrive, raccontando di aver suonato un magnifico Stradivari del 1734, particolarmente adatto, per proiezione e spessore del suono, al repertorio dei concerti con orchestra e a sale di rilevanti dimensioni come il San Carlo.

Ma oltre la bellezza, la purezza del suono, la precisione dell’intonazione, a stupire è la naturalezza, quasi spavalda, con la quale il giovane salernitano affronta i passaggi (e sono tanti!) più impervi del Concerto di Čajkovskij: tecnica dell’arco superlativa, dominio perfetto del picchettato, staccato, balzato, saltellato, martellato, tutti colpi d’arco eseguiti con incisività e precisione da manuale. Si resta ipnotizzati nell’osservare il picchettato e il saltellato di questo fenomenale violinista, nell’osservare l’arco danzare sulle corde, salvo poi sciogliersi in un intenso legato.

Sarebbe estremamente riduttivo, però, circoscrivere la personalità artistica di Giuseppe Gibboni alla prodigiosa tecnica, giacché l’interprete già dimostra una spiccata personalità che il tempo non potrà che accrescere e acuire.

Il Concerto di Čajkovskij viene immerso da Gibboni in quell’incandescente soggettività artistica ed espressiva che ne costituisce la cifra distintiva, specchio musicale dell’anima attorcigliata in se stessa e tormentata del compositore russo (il Concerto fu scritto nel 1878, durante uno dei periodi più fecondi e più tormentati della vita di Čajkovskij, dopo il fallimento del matrimonio impossibile con Antonina Miliukova).

Dalla lettura di Gibboni si stagliano l’elegante cantabilità del primo tema, il languido abbandono del secondo, la nostalgica e assorta Canzonetta del secondo movimento, la magniloquenza, la concitazione ritmica e il virtuosismo sfrontato del terzo e ultimo movimento; il fraseggio del giovane violinista è asciutto, privo di enfasi eccessiva, eppure il colore e lo spirito delle frasi musicali risultano ben definite e cesellate.

Dan Ettinger opta, in particolare per l’Allegro moderato del primo movimento, per tempi distesi e un accompagnamento ben calibrato sulle esigenze del violino (in particolare nella Canzonetta del secondo movimento), che consentono a Gibboni di esaltare l’innata cantabilità del egato, la cavata profonda, il virtuosismo funambolico dell’arco e, infine, la personale visione del Concerto di Čajkovskij, priva di accesi ed eccessi sentimentalistici.

Si percepisce già, tuttavia, nella lettura di Ettinger quella tendenza, che emergerà ancor più predominante e distinguibile nella successiva Sinfonian. 5 di Čajkovskij in programma, ad ampliare l’agogica, senza scavare, al contempo, con pari intensità nei meandri della partitura, con il conseguente rischio di slabbrare la tenuta complessiva del discorso musicale.

L’esecuzione del Concerto è salutata da una meritatissima e interminabile ovazione per Giuseppe Gibboni. Alla fine si contano ben quattro encore, che ipnotizzano letteralmente il pubblico del San Carlo.

Si parte con il compositore al quale è maggiormente legata la fama del giovane violinista: di Niccolò Paganini Gibboni esegue tre Capricci, il quinto, il celeberrimo ventiquattresimo e, infine, dopo l’Adagio dalla Sonata n. 1in sol minore di J.S. Bach, il primo. Pubblico assorto nello sguardo e nell’ascolto, rapito dalla danza dell’arco sulle corde del violino, dalla tecnica della mano sinistra di Gibboni, dal suo volteggiare rapidissimo sinistra sulla tastiera, dall’irruzione dei pizzicati, dai penetranti suoni flautati.

Nella seconda parte del concerto, interamente dedicato a Pëtr Il'ič Čajkovskij, Dan Ettinger si cimenta con l’interpretazione della Sinfonian. 5 in mi minore, op. 64: la sua lettura prende le mosse da quella, recentissima (qui la recensione) della Sinfonia n. 9 in mi minore Dal Nuovo Mondo di Antonín Dvořák.

Dan Ettinger propone una lettura rilassata, innervata da una agogica meno tesa e più distesa rispetto agli attuali canoni esecutivi, che punta a rendere cantabilità e solennità le caratteristiche principali dell’esecuzione. Ma il risultato, in chi scrive, lascia più d’una perplessità. Come già percepito nel precedente Concerto per violino, la distensione dei tempi non sembra corrispondere ad una proporzionale analisi della partitura: l’esecuzione a tratti perde di tensione emotiva; il ductus musicale si smarrisce in momenti di letargia; l’assenza di incisività viene compensata dai tanti affondi sonori di cui Ettinger farcisce la sua lettura che non riescono a supplire a all’affievolimento dello pnèuma della composizione.

Così come accaduto nella recente interpretazione della Sinfonia Dal Nuovo Mondo, il secondo movimento, il più lirico Andante cantabile con alcuna licenza, nella sua distensione diviene per colori e l’avvolgente lirismo, quello più interessante dell’esecuzione; merito anche (e soprattutto) dalla perfetta esecuzione dell’assolo del primo corno di Fabrizio Giannitelli, dal suono tornito, caldo, impeccabile nella pulizia dell’esposizione del tema.

Ma in generale, soprattutto, nel Finale. Andante maestoso. Allegro vivace si avvertono troppo spesso cali di genuina tensione, colmati da una dinamica che predilige e si compiace di ‘tinte forti’, eccessivamente tonitruanti.

La riserva di applausi del pubblico del San Carlo non si è certamente esaurita con quelli tributati a Giuseppe Gibboni: al termine della Sinfonia, Dan Ettinger e la sua orchestra, vengono lungamente e calorosamente salutati dal folto pubblico presente.


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