L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

“Eroica” alla viennese

di Lorenzo Cannistrà

I Wiener Philarmoniker sono protagonisti di un indimenticabile concerto al Teatro alla Scala. Sotto la bacchetta di Philippe Jordan, che ha sostituito l’indisposto Chailly, regalano un’interpretazione intensa della Sinfonia K 543 di Mozart e di Ein Heldenlebel di Richard Strauss

MILANO, 20 giugno 2023 - “I Wiener sono sempre i Wiener”: questa è la frase che ho sentito più spesso ripetuta alla fine di questo bel concerto tenuto dai mitici orchestrali viennesi alla Scala. E mai tautologia fu più felicemente descrittiva di un sentimento comune che sicuramente ha accompagnato il pubblico milanese, dall’attesa ansiosa dei giorni precedenti al concerto fino all’uscita dal teatro e, presumo, anche nell’intimità delle case quella stessa sera e nei giorni successivi.

I Wiener Philarmoniker, si sa, sono depositari di una sapienza che ha pochi rivali al mondo. Attualmente esistono molte orchestre prestigiose ed eccellenti, esecutivamente impeccabili, come ad esempio i Berliner Philarmoniker, gli eterni rivali dei Wiener, che sotto la guida dello schivo e stupefacente Kirill Petrenko stanno conseguendo inauditi livelli di espressività e freschezza interpretativa.

Ma i Wiener sono anche altro: i custodi di un segreto, quello del suono che solo essi riescono a produrre e che – a quanto pare – si tramanda di generazione in generazione, quasi come la ricetta familiare di un prodotto esclusivo (in questo senso, mi si perdoni l’irriverenza, mi viene in mente il paragone con l’Unicum, il misterioso e aromatico amaro ungherese, tra i più antichi liquori di tutta Europa). E quello del suono peculiare, immediatamente distintivo della compagine che lo esprime, è davvero una caratteristica propria di pochissimi complessi orchestrali, un ristrettissimo club cui sicuramente fa parte ad esempio anche la mitica Staatskapelle di Dresda, con il suo suono vellutato e intimo.

L’impasto timbrico dei Wiener è dal canto suo immediatamente riconoscibile, specialmente nel repertorio viennese classico, e quindi anche in Mozart. L’inserimento della Sinfonia K 543 nel programma di questa sera merita tuttavia due righe a parte.

È noto che questo concerto faceva parte di una mini tournée che i Wiener avrebbero dovuto effettuare sotto la bacchetta di Riccardo Chailly, comprendente tre concerti a Vienna e uno, appunto, alla Scala. Per una non meglio chiarita indisposizione, Chailly ha lasciato il posto a Philippe Jordan, direttore musicale della Staatsoper di Vienna. E non solo: a rimanere cassata è stata anche una parte del programma, il quale avrebbe dovuto comprendere, oltre a due composizioni minori di Richard Strauss, anche il suo giovanile poema sinfonico Don Juan,in sostituzione del quale è stata per l’appunto eseguita la terz’ultima sinfonia di Mozart.

Programma stravolto quindi, anche nell’idea di fondo. Infatti il Don Juan presentato da Strauss, così come recuperato dalle sue letture di Lenau, è sostanzialmente un anti-eroe, vinto dall’apatia e quasi, diremmo oggi, dal male di vivere. Ed anche se questo carattere viene evidenziato da Strauss solo nella coda del poema, in lugubre tonalità minore, non si può non mettere tutto questo in contrapposizione con l’affermazione fiduciosa e la sostanziale serenità che permea la vicenda dell’eroe in Ein Heldenleben, il mastodontico poema di ispirazione autobiografica diviso in sei sezioni.

Con l’inserimento della raffinata sinfonia mozartiana invece viene seguito un filo di continuità, sorretto dalla tonalità di mi bemolle maggiore che accomuna i due lavori eseguiti e che come poche è adatta ad esprimere sentimenti di eroismo e un incedere quasi militaresco. Non a caso i due concerti più “marziali” di Mozart sono il K 365 e il K 482, entrambi in mi bemolle maggiore. E nella medesima tonalità – si sa ma è opportuno ricordarlo – sono in Beethoven anche la Sinfonia “Eroica” e il Concerto “Imperatore”.

Quindi un impaginato all’insegna del sentimento eroico, sia pur in salsa viennese, benchè la K 543 presenti le sofisticate dissonanze del Mozart più maturo e una vivacità tutto sommato contenuta, sulla quale aleggia maggiormente un senso di serenità.

È proprio in Mozart, come dicevamo, che vien fuori quel suono tipico dei Wiener, di una brillantezza piena, corposa ma mai pesante. Un suono ideale per il grande salisburghese.

In Richard Strauss poi ovviamente i Wiener si esaltano, offrendo un suono carnale, pieno, parossistico quando serve, come ne Il campo di battaglia, dove il tono dolce e meditativo e la composizione dei contrasti lasciano spazio alla fragorosa modernità dello scontro tra i temi dell’eroe e dei nemici, sullo sfondo di una percussione ritmica che ha il necessario carattere barbarico. La vittoria finale tuttavia fa riemergere la bellezza del tema dell’eroe, riproposta qui con un’inaudita sensualità.

Menzione speciale per Rainer Honeck, primo violino di spalla, che in La compagna dell’eroe, oltre all’inevitabile sfoggio virtuosistico, tratteggia alla perfezione il carattere capriccioso, ma all’occorrenza dolce e delicato della donna.

Quanto a Philippe Jordan, si è avuto modo di apprezzare questo serio professionista, dal gesto elegante anche se a volte un po’ legnoso, che ha guidato la mitica formazione senza esprimere idee molto personali, ma con discrezione ed efficienza.

Come bis è stato offerto il delizioso valzer Vita d’artista, di Joann Strauss (figlio), e per una decina di minuti si è potuta gustare un’orchestra che in questo repertorio è insuperabile. Un suono così evocativo e familiare che sfido chiunque abbia sempre visto da casa il tradizionale Concerto di Capodanno a negare di aver percepito durante l’esecuzione, insieme al magico ritmo di danza, anche un illusorio profumo di dolcezze natalizie.


 

 

 
 
 

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