L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vive la France!

 di Stefano Ceccarelli

Dedicato alla Francia, il concerto diretto da Riccardo Minasi attraversa diversi secoli di musica francese, da Rameau a Ravel: si inizia con tre ouverture di Jean-Philippe Rameau, Zaïs, Les Fêtes de Polymnie e Naïs, si prosegue con il Concerto per violino n. 3 di Camille Saint-Saëns, poi con Le tombeau de Couperin di Maurice Ravel e si conclude con un’antologia dalle due Suite della Carmen di Georges Bizet. La parte solista del concerto di Saint-Saëns è interpretata, con grande successo, da Andrea Obiso, beniamino di casa in quanto primo violino dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia.

ROMA, 3 marzo 2024 – La Francia è fra i paesi europei a poter vantare una raffinata e straordinaria produzione musicale, che dal medioevo fino all’epoca contemporanea non si è mai esaurita. Riccardo Minasi vuole proprio sfruttare questo immenso patrimonio per deliziare il pubblico romano con un percorso che dal XVIII arriva fino all’inizio del XX secolo.

Il concerto si apre, infatti, con un’antologia di ouverture di Jean-Philippe Rameau. È noto che, fra il repertorio d’elezione di Minasi, vi sia proprio il barocco e lo dimostra con una splendida, direi sontuosa esecuzione delle tre ouverture. Minasi sa dosare perfettamente il volume orchestrale, creando colore e donando brillantezza ai pezzi; inoltre, verticalizza il suono, terso e pulito, con tutte le compagini ben scandite. Indimenticabile l’inizio di Zaïs, la creazione degli elementi, dove l’orchestra, sotto l’oculata direzione di Minasi, riesce a creare un effetto di crescendo scandito dalla progressione delle percussioni. Notevole, ancora, l’agogica spedita, frizzante, con cui l’italiano legge Les Fêtes de Polymnie, dal retrogusto guerresco per la presenza generosa degli ottoni; pomposa, regale l’ouverture di Naïs, che conferma le doti coloristiche della mano di Minasi. L’orchestra suona divinamente: il pubblico applaude contento. Il primo tempo prosegue con l’esecuzione del Terzo concerto di Camille Saint-Saëns. Ci si sposta nella Francia del romanticismo pieno, dal bel melodiare, talvolta esotico, che caratterizza la penna felice di Saint-Saëns, talento cristallino. Ad eseguire la parte è il beniamino di casa, Andrea Obiso, primo violino dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Com’è naturale, l’intesa fra Obiso e l’orchestra è magnifica; Minasi imposta un’agogica che consente di non sfibrare la parte orchestrale a solo vantaggio dello strumento, consentendo al violinista di mostrare le sue doti. Come si è potuto ascoltare nell’Allegro non troppo (I), Obiso è interprete elegante, attentissimo alla linea del suono, sempre tersa, finissima, soprattutto nella pulizia dei passaggi e dei virtuosismi, colti anche nel loro respiro, nel loro fraseggio. Si nota però, forse, un volume del violino un po’ tenue, che talvolta viene sovrastato dall’orchestra. Per ascoltare di cosa è capace Obiso quando si tratta di creare colore bisogna attendere l’Andantino quasi allegretto (II), la cui ammaliante melodia il violinista deliba con raffinata sensibilità, esibendosi in filati, passaggi cromatici e pianissimi sublimi, in chiusura di movimento. Il Molto moderato e maestoso (III) palesa, ancora, le doti virtuosistiche di Obiso: una melodia fiorita, di carattere spagnoleggiante, gitano, attraversa tutto il movimento che si muove per alternanza di oasi estatiche a momenti spediti – il che è colto con sensibilità e speditezza da Minasi. Il pubblico applaude fragorosamente, soprattutto il suo beniamino, Obiso, che si prende una meritata ovazione, salutando il pubblico con una riuscita esecuzione della Sonata n. 6 in mi maggiore di Eugène Ysaÿe (la cui citazione dell’habanera della Carmen anticipa il prosieguo del concerto).

La seconda parte si apre con una suggestiva esecuzione delle danze da Le tombeau de Couperin, composizione da Maurice Ravel dedicata ai suoi amici caduti nella brutale Prima Guerra Mondiale. Tanto il primo conflitto fu atroce, un eccidio di vite umane perlopiù innocenti, tanto tersa, eterea, sospesa, lontana appare la musica di Ravel, volta proprio a detergere quell’orrore. La direzione di Minasi, imperniata su un’agogica ordinata, ma non monotona, riesce a far risaltare la trama degli effetti cromatici (dei legni, in particolare), testimonianza dello straordinario talento di Ravel nell’orchestrazione – la versione per pianoforte, comunque, a mio avviso possiede quel fascino intimistico che ben si addice all’atmosfera consolatoria della suite di danze. Il concerto si chiude su una spumeggiante esecuzione di brani scelti da Minasi dalle due suite orchestrali di Carmen, estremo capolavoro di Georges Bizet. Il direttore dà sfoggio di energia, piglio: scatena l’orchestra in Les Toréadors (la celebre marcia dei toreri) o nel finale della Danse Bohème (che chiude la serata). Il pubblico ha certamente apprezzato la sensualità sonora dell’Habanera e della Séguedille, come pure i momenti più intimistici, lirici espressi dal Nocturne. Insomma, Minasi dà vita ai pezzi più iconici di un’opera immortale, mandando il pubblico in visibilio.


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