L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Il personale, il contratto nazionale (finalmente rinnovato nel 2014 dopo quasi un decennio di contrattazioni), l’integrativo aziendale, il blocco del turn over, le piante organiche straordinariamente sovradimensionate varate quasi vent’anni fa, sono tutte questioni che stralciamo al momento, riproponendoci un futuro apposito articolo. Certamente si deve dire va “contro la musica” un’estremizzazione dell’approccio sindacalizzato delle masse artistiche prevalso nell’ultimo decennio; giusto per fare un esempio, se un teatro piuttosto defilato mette in piedi dei Puritani con un cast praticamente ideale (cosa che porta nella città defilata un bel po’ di turisti in più e un incasso al teatro ben superiore rispetto al suo standard medio), non è possibile minacciare lo sciopero fino al giorno prima e dover mutilare l’opera con tagli da anni ’40 perché altrimenti la durata dello spettacolo sommata alle ore di prova mattutina per un concerto (ancorché nel limite delle 122 ore mensili per gli orchestrali) avrebbe sforato di qualche minuto i limiti consentiti e avrebbe comportato oneri straordinari insostenibili per una fondazione in situazioni economiche delicate (per essere gentili).
Anche la questione “scioperi selvaggi” è rinviata al successivo approfondimento, ma è sempre legata al tipo di rapporti dei lavoratori con il management del teatro; anche qui si fa un esempio, giusto essere un po’ i passatisti. Quando a Palermo reggeva le fila del Teatro “il Dottore” (a Palermo in teatro basta dire così ancora oggi, senza aggiungere il cognome, ché chi lo ha conosciuto ha come il riflesso incondizionato di accennare un inchino) che era persona capace sia sul terreno di bilanci che sul terreno artistico (non a caso aveva sposato la più grande Alice Ford di tutti i tempi, soprano fortunatamente assiduo al Massimo tra una Beatrice di Tenda nel ’55 e una Donna Elvira nel ’71) si ha memoria di uno sciopero che comportò il rinvio della prima ripresa moderna dell’Elisabetta Regina d’Inghilterra nel ‘70 e di Der Traumgörge eseguito con orchestra dimezzata nel ‘96. Dopo che “il Dottore” fu (poco) gentilmente messo alla porta nonostante una vita di onorato e prezioso servizio (effetti collaterali dei cambi di stagione, dall’inverno alla primavera), si è perso il conto degli spettacoli saltati per sciopero a Palermo (Wozzeck nel 1998, e poi a seguire Manon Lescaut, Moses und Aron a ranghi ridotti per tutte le recite, una Norma completamente cassata per tutte le recite, innumerevoli concerti, Anna Bolena con una memorabile gazzarra in teatro, il dittico raveliano e si è certi di incorrere in numerose dimenticanze). Eppure, dalla conversione degli Enti in Fondazioni, non c’è stato un solo licenziamento né per motivi economici né per motivi disciplinari, ma soltanto esodi incentivati, non c’è stata nessuna fondazione messa in liquidazione (nonostante oltre un terzo hanno superato la soglia per ricadere nella fattispecie) e allora per cosa si sciopera? La tabella seguente mostra il personale in carico alle fondazioni al 2012; è aggiunto costo annuo procapite del singolo dipendente (valore medio di cui si potrà contestare il rigore metodologico non senza elementi di fondatezza, ma pur sempre termine di paragone tra una fondazione e l’altra).

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