L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il canto, e il rigore, del fiato

 di Giada Maria Zanzi

 

Il celebre solista di fama internazionale Alessandro Fossi, eseguirà in pubblico per la prima volta nella sua brillante carriera il concerto per tuba e orchestra di Ralph Vaughan Williams il 29 febbraio 2016 presso il Teatro Duse di Bologna, accompagnato dall’Orchestra Senzaspine diretta da Tommaso Ussardi. Alessandro Fossi si è esibito con molte delle più importanti orchestre italiane ed europee, inoltre è riconosciuto come esperto pedagogo. Musicista eclettico, ci ha gentilmente concesso un’intervista: dimostrandosi anche una persona estremamente cordiale e affabile, ci ha raccontato i suoi esordi e successi, illustrando il poliedrico cammino che lo ha portato a essere un grandissimo solista nonché didatta.

Come nasce Alessandro Fossi come tubista?

È stata una nascita tardiva, una scelta matura. Io inizialmente suonavo il trombone tenore, sono diplomato in trombone. Dall’ultimo anno di Conservatorio è nata la passione per la tuba. Dopo il Diploma ho cominciato a studiare seriamente la tuba con Roger Bobo a Fiesole.

Quali sono le caratteristiche della tuba che l’hanno spinta a scegliere proprio questo strumento?

Sono sempre stato attirato da quel tipo di suono e dalla linea di basso. Conoscevo la tuba come strumento di accompagnamento, poi un giorno, ascoltando una registrazione di John Fletcher mi sono innamorato della tuba e sono rimasto impressionato della sua versatilità e dalle sue possibilità espressive: può essere uno strumento d’accompagnamento o solistico, d’orchestra, ma anche bandistico.

Si è ispirato ad un artista in particolare?

In realtà a diversi: John Fletcher, appunto, che era il tubista della London Symphony degli anni Sessanta-Settanta, Roger Bobo, i gruppi d’ottone Canadian Brass, Empire Brass, i tubisti dell’epoca che poi nel corso degli anni ho conosciuto e con cui si è anche creato un rapporto di reciproca stima.

Qual è stato il Suo percorso dagli inizi fino a solista di fama internazionale?

L’inizio è stato in banda, nel mio paese nelle Marche, dove ho incominciato a suonare il trombone. Lo scelsi perché guardavo I Robinson, mi incuriosì lo strumento che nonno Russel (il padre del personaggio impersonato da Bill Cosby) suonava nel telefilm, cioè il trombone jazz; poi il Conservatorio e, dopo il Diploma, quando ho intrapreso lo studio della tuba, ho cominciato a suonare insieme all’Orchestra Filarmonica Marchigiana, in estate, durante la stagione d’opera. Quindi ho iniziato abbastanza presto a suonare anche in orchestra: a 22 anni ho vinto il concorso al Teatro San Carlo di Napoli e da quel momento non mi sono mai fermato. Altri si sarebbero fermati, invece per me è stato uno stimolo: ho partecipato a concorsi internazionali sempre più importanti, in grandi orchestre, in Europa, in America, nel 2000 ho vinto il Terzo Premio al Concorso Internazionale di Tuba di Markneukirchen - Germania. Inoltre da 12 anni insegno in Conservatorio: provenendo da una famiglia non di musicisti (sono l’unico che suona in tutta la famiglia) io non ho avuto, in realtà, un mentore, una figura di riferimento, ho sperimentato tutto da solo; oltre a lavorare sul discorso musicale, cerco di essere una guida per i miei allievi e consigliarli anche dal punto di vista organizzativo, essendoci già passato prima di loro. Nel ventaglio delle informazioni che do agli studenti c’è anche il “marketing”, il “business”, perché la musica è un mercato molto ampio, non ci si può limitare al discorso del concorso in orchestra dove non c’è posto per tutti. Ci sono molte persone che riescono a lavorare anche in altri settori. Per citare un esempio di opportunità lavorativa alternativa, recentemente ho visto che il Cirque du Soleil stava cercando un tubista che fosse anche sassofonista e compositore, posto che si è aggiudicato un ragazzo colombiano. Insomma, oggi bisogna essere molto aperti, e anch’io tuttora suono in orchestra, insegno in Conservatorio, però mi piace fare anche tante altre cose: incisioni, masterclass, concerti solistici oppure insieme a gruppi da camera; inoltre collaboro con la ditta di strumenti che suono: ho sviluppato una linea di strumenti e ho scritto un metodo. Io sento il bisogno di cambiare, di fare cose diverse. Non desidero fare solo il solista, anzi, mi piace fare tutte le cose a cui mi dedico. A Bologna si suona spesso l’opera: qualcuno si annoia a suonar l’opera, a me invece piace, fa parte della nostra cultura e tradizione. Provo orgoglio e piacere tant’è che anche nei miei concerti solistici propongo sempre arie d’opera eseguite con la tuba e il pubblico ne rimane estasiato. Sembrerà uno stereotipo, però all’estero si aspettano non solo, ma anche questo.

È importante, quindi, per un artista cercare di andare incontro al gusto del pubblico oltre a seguire la propria inclinazione?

Facendo il paragone col discorso dei concorsi che facevamo prima, in quel caso dobbiamo cercare di capire quello che potrebbe essere l’interesse di una commissione, competere con gli altri per cercare di spiccare; per quanto riguarda un’esibizione, io do ovviamente la mia interpretazione della musica che eseguo, però alla fine del concerto sono contento se la gente si è divertita e posso scegliere un programma in base a quello che può essere la tipologia di pubblico. Nel febbraio 2015 sono stato in Uruguay e durante il mio concerto ho suonato anche un tango, un po’ della nostra tradizione e un pezzo della loro fatta col mio stile, che sicuramente è diverso da quello originale, però è una sorta di dono al pubblico. Quando vado all’estero mi sento ospite, lo considero un atto di riconoscenza nei confronti del pubblico locale.

Lei ha avuto esperienza sia come bandista sia come orchestrale. Che differenza c’è tra il suonare in banda e il produrre un suono in orchestra?

L’obiettivo di suonare al meglio dovrebbe essere sempre lo stesso. La banda o orchestra di fiati ha una massa sonora molto più grande dell’orchestra sinfonica; in quest’ultima la tuba e in generale gli ottoni hanno il compito di rapportarsi con quello che è il contesto dell’orchestra stessa o dell’opera.Negli ottoni, e specialmente fra i tubisti, c’è la tendenza ad utilizzare strumenti sempre più grandi e ricercare timbriche più massicce anche se, ad esempio, nell’opera lirica i direttori chiedono che si suoni più piano. Io cerco di suonare strumenti più piccoli, anche se non in senso assoluto, però sempre nell’ottica che se mi mettessi a suonar fortissimo non si sentirebbero più il resto dell’orchestra e i cantanti. È necessario cercare di essere collaborativi e propositivi nel proprio modo di suonare, che sia in banda, in orchestra o come solista. Nel ciclismo c’è chi vince la volata e c’è il gregario, cioè colui che aiuta quello che vincerà la tappa: io, quando suono la tuba in orchestra, mi sento come un gregario, cerco di fare il mio lavoro per supportare altri. In quel caso non sono il protagonista, non posso esserlo (a parte qualche raro caso), quindi devo provare piacere nel supportare o gli altri strumentisti dell’orchestra o i cantanti. Un accompagnamento può esser visto in maniera noiosa, ma se fatto “attivamente” e cercando di trovare il miglior suono possibile può diventare piacevole. Quando suono in opere liriche col cimbasso, uno strumento che suono frequentemente nell’opera, ho spesso delle parti insieme ai contrabbassi: cerco di segnarmi quando i contrabbassi hanno pizzicato o archetto e cerco di imitare il suono del contrabbasso (se pizzicato cercherò un suono un po’ più corto, se è con l’archetto uno un po’ più lungo o un po’ meno, diciamo, “a campana”).

Quali reputa essere le caratteristiche di un buon tubista, orchestrale e solista?

Credo sia molto importante ambire a diventare dei musicisti, piuttosto che tubisti o strumentisti. È più ampia la veduta. Chiaramente, soprattutto quando si è più giovani, c’è una fase durante la quale si ambisce ad essere un bravo tubista o in generale un bravo strumentista, ma è uno stadio in cui si ascolta meno quello che succede intorno, si è più attenti a ciò che si fa in prima persona. Si riesce a diventare musicisti quando ci si interessa anche a quello che succede intorno a noi. Probabilmente è una questione di dimestichezza con lo strumento: quando si guadagna una maggiore confidenza non si deve star sempre attenti a quello che si fa e ci si può permettere di ascoltare gli altri. Senz’altro bisogna essere molto attenti e intelligenti: credo che il talento più importante per qualsiasi strumentista sia come usa la testa. Ci può essere un talento naturale, che riesce a suonare tutto, ma che comunque non otterrà grandi successi, e ci può essere uno strumentista meno dotato che potrebbe però arrivare molto più lontano perché è una persona assai più determinata e sa che direzione prendere. Noi spesso siamo troppo legati al talento fisico, muscolare, che non è necessariamente un fattore determinante. Il vero talento è la forza di volontà.

In febbraio è stato in Uruguay. Nel dicembre 2015 ha partecipato ad un Festival Internazionale in Messico. Ci racconti di questa esperienza.

Nel 2015 sono stato in Sud America tre volte, questo era il terzo appuntamento: era un Festival Internazionale dove c’erano anche altri invitati, colleghi, trombettisti, cornisti, americani, canadesi, spagnoli. Occasioni come questa sono una finestra sul mondo musicale di quel particolare paese, in più si ha un contatto con i giovani: si trovano persone che partecipano a masterclass pur non avendo grandi ambizioni, ma c’è sempre chi fa più domande ed è sempre un piacere quando si incontrano ragazzi che hanno quella fiamma di interesse e curiosità sempre accesa. Ricordo quando andavo a lezione da Rex Martin o da Bobo stesso: facevo moltissime domande, tanto che mi dovevano fermare! Cercare di capire è un fattore chiave, secondo me, per la crescita, in qualsiasi campo. Dobbiamo comprendere cosa stiamo facendo di sbagliato e ciò che dovremmo fare per cercare di migliorare e poi seguire senz’altro quella strada. Questo Festival è stato un’opportunità per conoscere nuovi colleghi, nuovi musicisti, soprattutto stranieri, e rincontrare vecchie conoscenze, è sempre bello ritrovarsi: è come avere situazioni familiari a migliaia di chilometri dal proprio paese di origine. La musica unisce, è un linguaggio universale.

Dopo l’Attila di Giuseppe Verdi al Comunale di Bologna nel gennaio 2016, avremo il piacere di ascoltarLa al Teatro Duse della stessa città come solista il 29 febbraio 2016: insieme all’Orchestra Senzaspine eseguirà il concerto per tuba e orchestra di Vaughan Williams. Cosa può dirci a proposito? Come è nato questo progetto?

Conoscevo Michele Sciolla in quanto collaboratore della Filarmonica del Comunale di Bologna e qualche mio allievo ha lavorato nell’Orchestra Senzaspine. Ho visitato il sito dell’orchestra e ho constatato che sono molto ben organizzati dal punto di vista dell’utilizzo dei mezzi moderni di comunicazione. Ho visto che si tratta di una situazione “che funziona” e ho provato a chiedere se erano interessati a una collaborazione, così è nata questa possibilità.

Ci parli di questo concerto.

È il primo concerto importante di quello che probabilmente è il principale compositore che abbia scritto per la tuba. È stato scritto per Philip Catelinet, tubista della London Symphony Orchestra. È un classico nonostante noi tubisti non abbiamo ancora un repertorio consolidato come può essere, ad esempio, quello dei violinisti. Ho suonato il concerto di Vaughan Williams tantissime volte ai concorsi, ma mai con l’orchestra, quindi dovevo trovare un’occasione per eseguirlo! In Italia, concerti come questo non sono spesso inseriti nelle stagioni concertistiche, in più si tratta di un programma che prevede un’orchestra abbastanza grande, quindi costi da fronteggiare. Purtroppo non capita così spesso di avere l’opportunità di suonare questo repertorio. Per me è una tappa personale.

Quali sono le difficoltà tecnico-espressive?

La cosa che cerco di tirare fuori da ogni pezzo è il lato musicale. Tecnicamente non è un concerto difficile e comunque le note riescono a suonarle tutti: non cerco di impressionare con la tecnica, non mi piace fare una gara, piuttosto preferisco avere qualcosa di unico da dire dal punto di vista interpretativo, studiando la mia parte, la partitura dell’orchestra e cercando di tirar fuori dei dettagli che poi diventino il mio “brand”, il mio marchio. Quella è la MIA interpretazione.

Come si può eseguire un brano facendo emergere la propria personalità artistica pur rimanendo fedeli alla partitura?

Ho scoperto una cosa che sembrerà banale: quando nel nostro ambiente qualcuno mi chiede cosa fare per suonare in maniera differente dagli altri lo invito a suonare esattamente quello che è scritto nella partitura, perché non lo farà nessuno, o quasi nessuno. Io cerco di interpretare esattamente tutti i vari dettagli che trovo nella partitura, da quello posso partire per trovare la mia interpretazione, che può essere una dinamica più o meno ampia, anche il vibrato è una scelta personale, così come la qualità o la caratteristica di un’articolazione (posso vedere una nota corta in un modo, un’altra persona la può vedere in un altro). Quindi di ogni aspetto tecnico c’è il risvolto personale: la MIA nota corta, la MIA nota lunga, la MIA nota vibrata, il MIO crescendo, il MIO diminuendo. Essendo stato più di ventidue anni nel mondo dell’opera, quando insegno ai miei allievi dico loro che noi non abbiamo parole, dobbiamo pertanto far sì che le articolazioni o tutto quello che troviamo scritto nella partitura diventino le nostre parole. Un’articolazione fatta in una maniera piuttosto che in un’altra può dare un senso diverso, un’enfasi differente. La musicalità si traduce tecnicamente in questo, curare legato, staccato, diminuendo… tutti quegli aspetti che fanno poi un’esecuzione.

Come didatta, quale approccio adotta coi suoi allievi?

Gli allievi mi conoscono come una persona abbastanza rigorosa perché il mondo della musica è molto selettivo: nonostante la musica debba essere divertente, purtroppo nella fase dello sviluppo, della crescita, quando ci si deve affermare e quindi anche sostenere economicamente, se ci sono aspetti che non funzionano bisogna affrontarli. Io sono anche un appassionato di psicologia: per uno strumentista che cresce, cambiare, cioè affrontare i propri problemi, equivale a un’autoanalisi psicologica. Non tutti hanno il coraggio o la voglia di farlo. Io posso fare lezione agli allievi ed essere anche duro, però sono loro che devono cambiare. Se io sono fermo è perché voglio dare loro una scossa per spingerli a migliorare, e, se c’è qualcosa che non va o se stanno percorrendo una strada che non li porterà lontano, a cambiare. Accettare come siamo e i problemi che abbiamo, però, è molto difficile. Già il fatto di accettare un problema significa essere coscienti di quale sia la realtà e avere il coraggio e la forza di cambiare non è cosa da poco. Molti entrano in un loop, magari studiano tantissime ore al giorno, ma non è quello che li farà migliorare. Purtroppo è una brutta notizia. Non è studiando dieci ore al giorno che si diventa bravissimi, questo funziona fino a un certo punto, è una fase oltre la quale si arriva solo con la testa, non col duro lavoro fisico. Bisogna capire e cambiare. Noi lavoriamo per abitudini e la cosa più difficile è rimpiazzare una vecchia abitudine con una nuova. È la nostra coscienza che ci dice che la vecchia era una cattiva abitudine e che la nuova dovrebbe essere buona; sicuramente tenderemo a lungo a fare quello che siamo ormai abituati a fare, anche se è una cattiva abitudine. Tuttavia, come per la dipendenza dal fumo, se si riesce a capire qual è quel segnale che viene attivato prima di accendersi la sigaretta e cambiarlo probabilmente sarà più facile smettere di fumare.

Quindi sia lo studente sia l’artista affermato, prima di essere tali, sono persone e devono lavorare su loro stessi?

Si. Deve maturare. Deve essere una persona molto cosciente e deve sapere che non si finisce mai di imparare. Anch’io tutt’ora studio: desidero conoscere punti di vista diversi, modi di esprimersi differenti. Quando ho cominciato a studiare in Conservatorio la tuba non c’era, mentre oggi ci sono circa diciannove classi in Italia. Certo, ci sono pochissimi posti disponibili, comunque il diritto allo studio c’è per tutti e io voglio insegnare ai ragazzi che studiano con me non solo a suonare la tuba, ma anche la determinazione e il rigore per ottenere un risultato; una disciplina che possono poi applicare in qualsiasi altro campo, non necessariamente nella tuba. Io stesso porto il medesimo atteggiamento che ho nello studio della musica in altri ambiti, dallo sport allo studio della lingua tedesca cui mi sto attualmente dedicando. Il percorso musicale mi è servito per crescere come persona e ad essere risoluto anche in altri campi. Studiare musica è una palestra di disciplina. Prima parlavamo della scarsità di posti di lavoro nel settore musicale: se si è determinati, però, la propria strada si trova. Non si deve aspettare che sia il lavoro a venire da noi, siamo noi a doverlo cercare! Ed è così in tutti i campi, non solo nel nostro, che è sicuramente molto competitivo. Ci sono pochissimi posti a disposizione, in Italia. Oggigiorno molti stranieri vengono a partecipare a concorsi in Italia e ci sono sempre più italiani che vincono concorsi all’estero. La determinazione e l’intraprendenza del singolo fanno la differenza. Nella massa non tutti otterranno i risultati sognati, ma se hanno gli strumenti possono comunque trovare una strada. Non è obbligatorio suonare, ma se hai avuto questa scintilla e desideri fare questo nella vita è giusto che tu lo faccia, ma devi volerlo davvero. Quando ho cambiato strumento, i miei genitori non erano contenti, non sapevano se era un colpo di testa o se volevo davvero dedicarmi alla tuba. Loro mi hanno sempre aiutato e in quel momento lo hanno fatto dicendomi: “Se è questo che vuoi, lo strumento te lo compri da solo”. È stato il più grosso aiuto che mi potessero dare, quella negazione è stata una spinta per andare avanti. Dobbiamo capire cosa vogliamo veramente e cosa siamo disposti a sacrificare per ottenerlo. Un famoso tubista americano, Arnold Jacobs, che è stato anche un grande didatta, ha insegnato a moltissime persone provenienti da tutto il mondo; anch’io indirettamente sono andato a lezione da lui studiando con chi era stato suo allievo. Mi hanno raccontato questo aneddoto: quando qualcuno lo chiamava per intraprendere un percorso con lui, Jacobs si negava, rimandava appositamente l’appuntamento per cinque o sei volte per capire chi desiderava davvero fare lezione con lui, perché riteneva che solo chi resisteva alla sesta volta dimostrasse di voler veramente studiare insieme a lui.

Lei è autore di un metodo di studio per strumenti della categoria “low brass”. Vuole parlarcene? Quali competenze è atto a sviluppare negli studenti?

Questo metodo che ho scritto è utile per ottimizzare la vibrazione: i nostri sono strumenti a fiato e l’aria mette in vibrazione le labbra. Propongo una serie di esercizi per migliorare tale vibrazione. La maggior parte degli ottonisti è a favore di questi esercizi, frutto anche di studi scientifici ormai consolidati. Affermare che non funzionino, come fatto da alcuni recentemente sul social network Facebook, vuol dire non conoscere dei dati di fatto. I social media sono potenti mezzi di comunicazione e posso essere utilizzati da chiunque, il che li può rendere anche pericolosi nonché fonte di fraintendimenti. I giovani potrebbero essere negativamente influenzati e dirsi “Quel personaggio importante ha detto che esercitarsi con l’imboccatura dello strumento fa male quindi non lo faccio neanch’io”. Io non mi espongo mai pubblicamente dando giudizi perché qualsiasi cosa può andar bene, dipende da come la fai. Il metodo è ininfluente: io ho trascritto studi che ho sempre fatto, ma il segreto non è l’esercizio, bensì quello che noi ne facciamo, come e perché lo eseguiamo e quale risultato vogliamo ottenere. Allo studente serve una guida, lo aiuta avere davanti agli occhi quello che deve fare, però suggerisco di non essere mai passivi nei confronti di quello che ci troviamo davanti nel leggio, nei libri. L’importante non è il libro in sé, ma il concetto che viene espresso in quel libro. Ho realizzato dei video esplicativi del mio libro, reperibili sul mio canale YouTube: molti mi contattano via messaggio, anche se la cosa migliore rimane il contatto a tu per tu. Devo sentire quello che fai, vedere quello che eventualmente c’è di sbagliato, per poter intervenire. Per un dottore è difficile fare una diagnosi per telefono, deve visitare il paziente, solo dopo c’è un responso e una cura.

Ritiene che chiunque possa avvicinarsi allo studio della tuba oppure sono necessarie particolari doti o caratteristiche?

Servirebbe una corporatura un minimo robusta, anche se io per primo non incarno lo stereotipo del tubista! Ci sono musicisti di altissimo livello di piccola statura e anche donne molto brave. La tubista della Philadelphia Orchestra è una ragazza: ci sono sempre più donne che sono arrivate ad alti livelli in questo strumento. Inoltre, oggi vengono realizzati anche degli strumenti un po’ più piccoli, addirittura per i bambini. Quindi direi che chiunque può aspirare ad imparare a suonare la tuba.

Cosa consiglia a chi vorrebbe approcciarsi a uno strumento così peculiare?

Trovo sempre più persone che hanno scoperto e si sono appassionate a questo strumento in età matura, parlo anche di persone di quaranta, cinquanta o sessant'anni. Per arrivare a livelli solistici, però, il percorso è purtroppo molto lungo, ma vedo che molti scelgono di studiare la tuba semplicemente per divertirsi con un gruppo o una banda. Quello che cerco di fare con questo tipo di studenti è rendere il loro hobby il più piacevole possibile e fornire gli strumenti per fare anche solo poche note, ma nella maniera migliore possibile.

Quando e dove avremo modo di ascoltarLa ancora? Quali sono i suoi ulteriori impegni?

Quando al Teatro Comunale di Bologna è richiesta la tuba ci sono quasi sempre, sia nella sinfonica che nell’opera. Per quanto riguarda altre attività solistiche devo dire onestamente che io faccio quasi tutto all’estero, mio malgrado, perché (e non solo a detta mia, ma anche di altri personaggi che ho incontrato all’estero) sotto certi punti di vista non vi è una situazione molto ricca in questi anni in Italia. Probabilmente a causa della situazione economica c’è stato un restringimento in tutte le attività. Anche l’anno prossimo, la maggior parte dei miei impegni saranno all’estero. Comunque ne sono contento: vado a vedere posti nuovi e ad ampliare le mie conoscenze di luoghi, usi e costumi.


 

 

 
 
 

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