L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

mariella devia, lucrezia borgia

Il segreto per esser Mariella

 di Giovanni Andrea Sechi

Mariella Devia riaffronta la parte di Lucrezia Borgia dopo ben sette anni: un appuntamento imperdibile per il melomane viaggiatore. Dal soprano ligure la conferma di un magistero tecnico inossidabile. Professionalità e qualche giovane speranza nel resto della compagnia vocale. 

VALENCIA, 29 marzo 2017 ‑ Per mettere in scena alcuni titoli del primo Ottocento sembra che si debbano verificare congiunture astrali particolarissime. Il rischio, per gli ascoltatori, è che si aspettino degli anni prima che un teatro annunci titoli come la Lucrezia Borgia di Donizetti. Stavolta il Palau de Les Arts Reina Sofia ha trovato due ottime ragioni per allestire tale titolo donizettiano: il legame tra famiglia Borja (quella vera!) e la città, la disponibilità di una grande primadonna a cimentarsi colla parte protagonista. Delle due, la vera attrattiva ‑ almeno per il melomane viaggiatore ‑ è la presenza di Mariella Devia: il soprano ligure non affrontava la parte di Lucrezia dal 2010.

Per l’occasione il regista Emilio Sagi crea un allestimento quasi identico a quello già proposto a Oviedo nel 2004 (l’unica superstite, nella compagnia vocale, è proprio la Devia). Tante le somiglianze: la protagonista che arriva in gondola, le maschere, i pannelli lucidi semitrasparenti, la città in miniatura con cui Gennaro gioca… una rassicurante povertà di risorse che ha il pregio di non disturbare il canto. Rispetto a Oviedo la realizzazione tecnica è assai più accurata in questa sede: va perciò lodato l’apporto di Eduardo Bravo (luci), Llorenç Corbella (scene), Pepa Ojanguren (costumi).

Nella compagnia di canto si distingue su tutti Marko Mimica (Alfonso): il giovane basso croato (classe 1987) non sfigura accanto a una Lucrezia tanto esperta, e si impone come partner sempre credibile. La disinvoltura sulla scena, e la bellezza timbrica dello strumento compensano gli accenti un po’ villain e il fraseggio approssimativo. Si spera in esiti ancor più maturi dopo questa bella prova. Non bene per William Davenport (Gennaro): gli attacchi sporchi, lo sforzo eccessivo nelle frasi intorno al passaggio acuto dimostrano che la parte di Gennaro è troppo ambiziosa per le capacità effettive dell’interprete. Nella parte en travesti di Maffio Orsini è una certezza l’avere Silvia Tro Santafé, che si distingue per la musicalità e la presenza scenica vivace. Provengono quasi tutti dal Centre de Perfeccionament Placido Domingo i cortigiani e i compagni di ventura di Gennaro, e il loro apporto è all’altezza del compito: Andrea Pellegrini (Gubetta), Moisés Marin (Rustighello), Simone Alberti (Petrucci). Si distinguono per una maggiore puntualità e presenza vocale Fabian Lara (Liverotto), Alejandro Lopez (Gazella), Andrés Sulbaran (Vitellozzo).

Lodevole la prova di Fabio Biondi sul podio: già da qualche anno il violinista stava diradando gli impegni in ambito barocco, concedendosi sempre più al repertorio del primo Ottocento. Il risultato è all’altezza delle aspettative: spiace qualche taglio nella partitura, anche se almeno uno si dimostra corretto (quello che sopprime «Madre se ognor lontano» per poi eseguire il rondò finale di Lucrezia, come è avvenuto in questa sede). La cura nella concertazione delle parti dimostra una sensibilità spiccata per questo repertorio (l’intesa col Coro della GEneralitat Valenciana, e con l’Orchestra della Comunitat Valenciana è ottima).

Dulcis in fundo, Lucrezia. Dolce anche perché della presunta ferocia di Lucrezia Borgia non c’è nulla in Mariella Devia. La sua Lucrezia è una donna autorevole, avvezza ai giochi di potere, ma soprattutto vittima del mondo in cui vive. Nella sua interpretazione, infatti, sono gli accenti elegiaci e supplichevoli quelli più autentici, frutto di una lettura del ruolo ancora valida a quasi 69 anni (non è una vergogna: quando si canta bene, lo si fa a tutte le età). È pur vero che la carenza edonistica dello strumento si va accentuando con gli anni, e la coloratura non è più quella di un tempo. Tuttavia, la tecnica agguerrita le garantisce un controllo totale delle risorse espressive: il canto legato, la capacità di addolcire l’emissione fanno ancora emozionare.

Se dovessimo descrivere l’arte di Mariella Devia in una parola? Il fiato. Sarà poi questo ‑ per parafrasare il brindisi di Maffio ‑ il segreto per esser Mariella? Speriamo che qualcuno ne raccolga il testimone…

foto © Tato Baeza / Palau de les Arts Reina Sofía


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.