L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Brahms, prima e dopo

 di Antonino Trotta

Simposio artistico all’auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino: Antonio Pappano, Veronika Eberle e la Chamber Orchestra of Europe raccontano Brahms in un concerto che ha la portata di un’approfondita dissertazione.

Torino, 18 Maggio 2018 – Sarà la bacchetta fatata di Pappano, re Mida della direzione, ma di cameristico nella Chamber Orchestra of Europe, oltre al nome, c’è solo la lucentezza del colore. Il raffinato ensemble, protagonista di prestigiose incisioni discografiche tra cui le ultime opere di Mozart dirette da Yannick Nézet-Séguin (per la Deutsche Grammophon), si muove con assoluta disinvoltura in un repertorio di ampio respiro tale da oltrepassare gli spazi solitamente riservati alle formazioni meno popolose. Sul podio dell’auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, nel penultimo concerto della stagione concertistica dell’Associazione Lingotto Musica, Antonio Pappano guida questa splendida orchestra in un programma quasi interamente dedicato a Brahms.

L’eccezionalità delle prime parti è protagonista assoluta nel Concert Românesc di Ligeti, dove la felice comunione di intenti tra il direttore e l’orchestra coordina il fluire di un’esecuzione pregna di tumultuosa vitalità. La voce sensuale del violoncello introduce, nell’Andantino iniziale, agli albori di una dimensione paradisiaca in cui legni e archi creano un vibrante duetto tornito da Pappano con accentazioni melanconiche e rubati languidi. Dalle sonorità calde e armoniose del primo movimento si balza al parossistico Allegro Vivace, audace banco di prova per l’ottavino costantemente impegnato in brillanti cinguettìi. La lunga nota trattenuta del corno collega questo breve inserto all’Adagio non troppo successivo, ancora palcoscenico per gli ottoni che continuano a primeggiare in queste pagine dal sapore squisitamente moderno e orientaleggiante. Un’eccitante fanfare delle trombe segna l’inizio del Molto Vivace. Pappano spinge al massimo la malleabilità dell’orchestra e fa esplodere il brusio iniziale degli archi in un lungo e serrato crescendo che approda ai danzati moti centrali di stampo bartokiano (sembra a tutti gli effetti di ascoltare le Danze Rumene di Bartok) e sul sussultante materiale popolare alcuni flauti e il primo violino gareggiano in prepotenti sortite solistiche. I violenti rintocchi del timpano scandiscono infine, su un superbo pianissimo degli archi, la spiccata plasticità ritmica: la coda del finale è davvero strepitosa.

Le opere brahmsiane mettono in luce l’inebriante magistero direttoriale di Antonio Pappano, a cominciare dal concerto per violino in re maggiore op.77. Non si avverte la mancanza di Lisa Batiashvili, sostituita in questa tournée da Veronika Eberle. La violinista tedesca è una solista di prim’ordine, all’altezza delle aspettative e del prezioso Stradivari “Dragonetti” generosamente concessole dalla Nippon Music Foundation. Il violinismo dell’Eberle si impone per l’accentuata musicalità e per il virtuosismo solido e rigoroso. Non ci sono eccessi nel maestoso attacco dell’Allegro non troppo, in linea con la solennità delle incisive arcate iniziali dettate da Pappano. L’intonazione è ovunque impeccabile e l’espressività delle lunghe frasi, stemperate nella monumentale orchestrazione, è impreziosita da legature interminabili e strappi nel registro acuto di commovente drammaticità. L’impegno tecnica, comune ai concerti violinistici dello stesso periodo (si pensi ai celebri concerti di Mendelssohn, di Čajkovskij e di Bruch, per citarne solo alcuni), non è servile a un’arida ostentazione ma è ancillare a un’elegante idea musicale. Persino nella vertiginosa cadenza del primo movimento la Eberle profonde un animo intimistico e introspettivo. Peculiarità riflesse ancora di più nell’Adagio centrale e acuite della vellutata concertazione di Pappano che dà sfogo a raffinate condensazioni e distensioni temporali e sonore. L’ultimo movimento (Allegro giocoso, ma non troppo vivace) è un tributo alla classicità viennese. Il violino solista si conserva fedele al disegno interpretativo finora tracciato e preserva l’affondo nelle sciabolate dei temi popolari. Sull’altro versante, Pappano interpreta alla perfezione i modi ungheresi cari alla letteratura austro-ungarica trattenendo l’orchestra sul culmine di ogni inciso danzante. La commistione delle tre componenti è esemplare e dopo i taglienti accordi conclusivi l’entusiasmo del pubblico è irrefrenabile.

Della serenata per orchestra no.1 op.11 in re maggiore si evince l’ammirazione del giovane Brahms per Beethoven, da cui chiaramente trae ispirazione in questo lavoro dalla manifattura neoclassica: solo nell’Adagio non troppo si percepisce qualche anticipazione sull’inconfondibile stile dell’autore maturo. Anche in questo caso il lavoro di Pappano è magistrale. Nei temi bucolici che rimandano alla Pastorale, nello stile galante dei Minuetti, nelle vorticose galoppate del Rondò conclusivo e nelle esplosioni coloristiche che pervadono l’intero capolavoro la direzione di Pappano continua a palesare una naturalezza interpretativa fatta di attenzione al dettaglio strumentale, gusto nell’espressione e marcato senso delle proporzioni e della misura.

Quando tutti, considerato il programma quasi monografico del concerto, aspettano una danza ungherese come bis, Pappano si dimostra ancora una volta capace di stupire offrendo al pubblico numeroso una sublime lettura dell’ouverture da La scala di seta di Rossini. Gli scroscianti applausi suggellano il trionfo di una serata memorabile.


 

 

 
 
 

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