L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’eleganza è frigida

di Giuseppe Guggino

Al Teatro Massimo di Palermo va in scena Don Pasquale secondo Damiano Micheletto. Pressoché ideale il quartetto di solisti, delude invece Michele Spotti in buca.

Palermo, 17 febbraio 2023 - Parafrasando il titolo di un fortunato reportage dal Giappone di Goffredo Parise, potrebbe chiosarsi che l’elegantissimo Don Pasquale donizettiano secondo Damiano Michieletto pare scaldare ben poco il pubblico palermitano, parco negli applausi a scena aperta e alquanto frettoloso a fine della première. Eppure la coproduzione con il Covent Garden e l’Opéra de Paris, approdando per ultimo alle latitudini palermitane – ripresa con cura da Dan Dooner – è spettacolo di gran garbo e tecnicamente valido in tutte le sue componenti, dalle luci di Alessandro Carletti ai costumi un po’ british di Agostino Cavalca. La scena minimalista di Paolo Fantin è geniale nello stilizzare la casa di Don Pasquale con le falde del tetto disegnate al neon e nell’individuare i suoi interni con delle metafisiche porte isolate; l’uragano “Norina” in casa di Don Pasquale è poi ben tradotto con un coup de theatre a inizio del terzo atto quando, sotto lo stesso tetto al neon, avviene un rapido restyling in chiave fashion degli interni un po’ vintage dei primi due atti. Sicché l’unica pecca che si potrebbe imputare ad un’impostazione tanto sobria quanto minimal è quella di non rendere un buon servizio alla riflessione delle voci dei solisti, peraltro chiamate a dover sovrastare un Michele Spotti preoccupato di risultare dionisiaco e per nulla attento agli equilibri fra palcoscenico e buca e agli equilibri interni alla compagine orchestrale stessa, con ottoni e percussioni troppo spesso in netta prevalenza.

Il lussuoso quartetto di solisti è perciò costretto a giocarsela in difesa, ma con successo. Markus Werba alle prese con Malatesta sfodera buon gusto e ottime agilità, risultando penalizzato solamente nella scarsa dimestichezza con la lingua italiana. René Barbera è Ernesto pressoché ideale che però talvolta tende a strafare, incappando in un piccolo incidente nella puntatura interpolata all’interno della sua cabaletta. La Norina di Giuliana Gianfaldoni è un’autentica delizia, appropriata e varia nelle intenzioni interpretative e sempre caratterizzata da un’irresistibile malizia scenica, cui il ricorso dello spettacolo alla tecnica del chroma-key, con inquadrature filmate in proscenio e proiettate a fondo scena, non fa altro che valorizzare.

C’è poi il discorso a parte su Michele Pertusi che a Luigi Lablache, creatore di Don Pasquale, è accomunabile per l’intelligenza interpretativa, la conseguente capacità di passare dal serio alla commedia e viceversa (tanto nel repertorio praticato quanto nell’ambito della stessa serata) e, non in ultimo, la longevità e il prestigio di carriera.

A completare il quadro sono il Notaio impersonato da Enrico Cossutta e la buona prova nel terzo atto del Coro istruito da Salvatore Punturo.

Del successo incomprensibilmente tiepido s’è detto. In fondo l’eleganza è frigida e, dopo massicce dosi di Bohème e Traviate in salsa grossier, lo è ancor di più.

 

 

 
 
 

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