Formare i musicisti oggi
A un mese e mezzo dall'avvio dei dottorati di ricerca nel Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto [Castelfranco Veneto, nascono i dottorati di ricerca in Conservatorio], abbiamo posto alcune domande al direttore Paolo Troncon in merito alle peculiarità di questo percorso e alle prospettive attuali della formazione musicale fra Università e Conservatorio.
La riforma dei Conservatori aveva come obiettivo un'equiparazione con l'università, cosa che nei fatti ha destato non poche discussioni e si è realizzata in modo non sempre compiuto e convincente. L'avvio dei dottorati pare invece voler dare una maggiore solidità a questo percorso. Secondo lei in cosa Università e Conservatorio possono essere assimilabili e in cosa consistono, invece, le inderogabili peculiarità di ciascuno?
Il lungo processo iniziato con la legge del 21 dicembre 1999 n. 508 (riforma del sistema dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica) dopo un quarto di secolo sembra avere trovato il suo approdo, non solo con l’avvio del I ciclo di dottorati AFAM, ma anche con il nuovo regolamento per il reclutamento del personale docente che ha introdotto, come nelle università, l’abilitazione artistica nazionale e i concorsi di sede. Pur rilasciando titoli di studio di pari livello e tipologia, (anche se di diversa denominazione), AFAM e Università dal punto di vista giuridico hanno sostanziali differenze. In primis economiche: il comparto AFAM è contrattualizzato ancora nel CCNL scuola. Orario di lavoro, stipendi sono molto diversi. Dal punto di vista del valore didattico, ma anche culturale, sociale ed economico che deriva, AFAM non teme confronti: la musica, l’arte italiana ha una secolare tradizione e un riconoscimento mondiale che non sempre l’università italiana possiede. Attraverso le lezioni individuali (preponderanti nella formazione musicale) conserviamo l’antica tradizione della “bottega”, dove teoria e pratica si fondono in maniera indissolubile.
Elementi in comune o, viceversa, divergenti fra i percorsi universitari e di Conservatorio come si riflettono nello sviluppo dei dottorati?
Il concetto generale di ricerca e le metodologie associate, ben noti oramai in ambito universitario che da anni li ha sperimentati ed elaborati, sono gli stessi anche in ambito artistico-musicale. Ci sono ambiti scientifici di ricerca, come la musicologia, che sono comuni a quelli esistenti nelle università; altri assolutamente originali, cioè esistenti solo in ambito AFAM, per esempio quelli collegati all’interpretazione musicale, alla creatività artistica.
Un vecchio luogo comune (purtroppo non privo di qualche fondamento, talvolta) vede il mondo accademico universitario e quello dei Conservatori come compartimenti separati e non troppo amici: nel vostro progetto di dottorato vediamo coinvolti molti bei nomi che afferiscono a università o che hanno frequentato entrambi gli ambiti. Siamo in una fase costruttiva di dialogo e collaborazione?
In verità le “divergenze”, quando ci sono, derivano più da motivi personali piuttosto che istituzionali. Lo stesso avviene d'altronde anche all’interno stesso delle Università e dei Conservatori. Nel nostro DIN (dottorato di interesse nazionale) abbiamo voluto solo Conservatori (17), ma non certo per escludere le università con le quali comunque collaboriamo (nel nostro Collegio docenti ci sono anche quattro docenti universitari). Con l’Università di Padova abbiamo una borsa di dottorato messa da noi a disposizione attraverso il PNRR in un altro progetto.
In che misura il dottorato può puntare alla formazione di nuove e specifiche professionalità o ad arricchire il bagaglio culturale del musicista “pratico” (strumentista, cantante, direttore, compositore...) che più tradizionalmente si forma nei Conservatori?
Il mestiere del musicista e la riconoscibilità del suo lavoro in ambito non solo artistico ma anche culturale e scientifico, sono molto cambiate nel corso degli anni e cambieranno ancora. L’idea romantica del genio ispirato, dotato di natura, è totalmente superata, anche se al pubblico piace ancora pensare che esista.
Questi nuovi dottorati dimostreranno quanto la ricerca sia complementare alla tradizionale formazione strumentale/vocale, e in un certo senso anche fondamentale. Specialmente nell’ambito dell’esecuzione di repertori tradizionali, nei quali l’innovazione consiste soprattutto nell’approccio culturale alla partitura.
Talvolta si sente lamentare la riduzione delle ore dedicate alla tecnica e alla pratica rispetto alle nuove materie teoriche inserite nei curricula di studi: lei cosa ne pensa? È possibile conciliare questi aspetti complementari e interdipendenti?
Purtroppo il problema è reale. Il sistema 3+2 ha creato le condizioni per le quali tutti gli insegnamenti si sono ridotti come ore di lezione. Di conseguenza anche i livelli degli obiettivi disciplinari degli insegnamenti si sono abbassati rispetto al passato.
Lo studente di musica ha bisogno inoltre di molte ore di studio individuale, ridotte dal moltiplicarsi degli insegnamenti, studio che deve essere svolto in particolari situazioni ambientali .
Ma è sbagliato pensare che le materie teoriche tolgano tempo alle materie pratiche. Perché il poco tempo che ogni studente oggettivamente ha per lo studio strumentale, vocale, compositivo, ecc. deriva soprattutto da altri fattori: per i fuori sede (la maggioranza) l’assenza di aule libere in sede per studio, una cattiva organizzazione degli orari dei corsi teorici (con buchi che non permettono allo studente di organizzare lo studio individuale), una eccessiva frammentazione degli insegnamenti obbligatori presente nei piani di studio decisi dall’istituto.
Il mestiere del musicista oggi: quali prospettive, quali esigenze, criticità, necessità di rinnovamento indicherebbe, dal suo punto di vista? E che rapporto ha il Conservatorio con il mondo del lavoro attuale?
Il Conservatorio, soprattutto perché italiano, ha una fondamentale vocazione a “conservare” il patrimonio immateriale artistico e culturale che i nostri avi ci hanno tramandato. La musica ha bisogno inoltre di essere continuamente manifestata, eseguita, interpretata, rinnovata. C’è quindi necessità di avere figure tecnicamente e culturalmente in grado di farlo per far vivere questo patrimonio e trasmetterlo a chi verrà dopo di noi. Come questa azione, essenzialmente culturale, abbia risvolti economici dipende soprattutto dalla società, dal contesto culturale, dalla capacità imprenditoriale di singoli. Esiste sicuramente in Italia un problema di riconoscibilità anche economica del lavoro del musicista, ma che il Conservatorio solo in parte può affrontare.
L’ampiezza dell’offerta formativa, dalla musica antica alla contemporanea, dal “classico” al jazz e pop/rock, dagli strumenti classici a quelli etnici, dalla solistica all’orchestra, l’opera lirica, la composizione, le nuove tecnologie: oggi il Conservatorio offre sbocchi lavorativi per decine di professioni.