L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

John Osborn

L’uomo e l’artista

 di Stefano Ceccarelli

È una piacevole giornata ottobrina: il sole riscalda lievemente e l’aria frizza. Incontro il tenore John Osborn nella hall del suo hotel romano. Mi invita gentilmente a sedermi. È un uomo robusto, ben piantato, cultore dello sport: un americano doc, gentile e cordiale. Il primo ricordo che ho di lui – gli confesso – è il suo Guillaume Tell con Pappano, all’Accademia (ascoltato – ahimè – solo in CD); ma poi ho avuto la piacevole ventura di vederlo nella splendida produzione del Cellini di Berlioz ad opera di Terry Gilliam, una di quelle cose che ti rimangono nel cuore. E gli dico che è una delle più belle produzioni cui abbia mai assistito.

Vogliamo iniziare proprio dalla tua ultima apparizione romana? Raccontami come hai vissuto il Cellini.

È un ruolo stupendo! L’ho preparato con attenzione, studiando molto. Lo cantai per la prima volta a Amsterdam. Si tratta di un ruolo difficile, pieno di arie impegnative, che richiedono colori, intensità sempre diverse: è una sfida veramente titanica! Bisogna dosare i fiati, arrivare bene alla fine dell’opera. Terry mi ha risolto molti dubbi interpretativi, di una parte che è quasi, direi, schizofrenica: i fantasmi della mente, l’ansia di finire un’opera del grande artista! Quando sono venuto a Roma era già la terza volta che cantavo quella produzione: il lavoro dei tecnici è stato incredibile, nei cambi di scena ecc. Terry aveva disegnato tutto con grande precisione, aveva rifinito ogni dettaglio. Lo rifaremo il prossimo anno alla Opéra Bastille, a Parigi. Posso dire, in generale, che è la produzione più bella che ho mai visto e che ho mai fatto.

Un ruolo in un’opera francese. Tu ami molto quel repertorio e Berlioz, di cui se non ricordo male hai già cantato Les Troyens.

Sì, ma ho fatto solo Iopas, non Énée.

Magari più in là, no?

[risate] La mia prima esperienza è stata La fille du régiment: ero giovane e mi sono avvicinato a un repertorio che sentivo calzarmi bene. Al liceo ho studiato molto francese, italiano e tedesco.

Parli infatti molto bene e hai un’ottima pronuncia!

Grazie! In francese ho cantato anche La juive, poi Werther e Manon di Massenet. Werther fu uno dei miei ruoli preferiti: una poesia straordinaria, quella goethiana, in musica. Ma ho cantato anche Roméo et Juliette.

Penso tu abbia fatto un’ottima scelta: la tua voce ben si adatta a quel repertorio, molto ricco. Riesci bene a trasvolare con i colori, le intensità, mai sforzando. La tua voce pastosa, il timbro lievemente brunito: riesci a fare assai bene con le mezze voci ecc. Insomma, a livello tecnico vai alla grande! Questo repertorio – forse – è meglio farlo bene o non farlo per niente. Del resto per cantare Arnold bisogna avere una tecnica solidissima: penso sia forse il tuo ruolo maggiore, quello che più ti rappresenta. Che ne pensi?

Arnold è storicamente forse il ruolo a cui sono più legato e certamente il ruolo più difficile che abbia mai cantato: forse solo Raoul de Nangis da Les Huguenots è più difficile di Arnold. È un ruolo più lungo, più eroico e l’orchestra sotto è più ‘piena’. Meyerbeer è spesso così (come in Le Prophète), che ho cantato due volte, in due produzioni diverse. Lavorare con registi diversi è sempre bello, ma è un’incognita. Tornare a lavorare con chi si conosce, invece, è un po’ come una riunione di famiglia: così sarà con Terry, il prossimo anno, ancora per il Cellini.

Torniamo su Rossini. Che io sappia tu hai sempre frequentato più il Rossini ‘serio’.

In realtà io sono cresciuto nell’opera buffa. Barbiere, Cenerentola, Italiana in Algeri. Ma anche Donizetti: Don Pasquale, Elisir d’amore. Dopo qualche anno ho cominciato a approcciare Edgardo (Lucia di Lammermoor) e Mozart: avevo ventisette anni.

Avevi una voce più ‘alta’ di quella che hai adesso?

No: la mia voce è sempre quella.

Però hai dovuto irrobustire il centro per approcciare ruoli più ‘eroici’, diciamo.

Io ho sempre, in effetti, affrontato ruoli con tessitura alta e anche ‘eroici’: mi piacciono i ruoli estremi, se si possono definire così.

Bene! Io lo dicevo giacché hai un bel baule di acuti squillanti e centrati.

Grazie! Sì diciamo che ho incominciato come belcantista puro, alternando ruoli più leggeri ad altri un pochino più pesanti. Bisogna affrontare gradualmente una carriera vocale, bisogna svilupparsi intelligentemente. Da ruoli belcantistici sono gradualmente passato al repertorio francese. Ho sempre pensato che si debba gradualmente maturare la tecnica, evolversi senza sforzare o peggio intaccare il mezzo vocale.

Trovo molto saggio quello che hai detto. Mi capita di notare che taluni cantanti, magari ingolositi da una facile carriera (e talvolta mal consigliati), accettano di cantare tutto, usurando irrimediabilmente la loro voce.

Sì, purtroppo è così. Spesso si devono creare delle star e lo stesso sistema teatrale (gli impresari ecc.) fagocitano i cantanti, che si lasciano facilmente sedurre. Può andar bene e andar male, a volte. Dipende dai singoli casi. Magari cominciano sui vent’anni a fare Traviata, Rigoletto, Bohème; ma poi già a trent’anni accettano Don Carlo, Otello di Verdi: un repertorio troppo pesante per una voce ancora non naturalmente matura. Ma è solo una mia opinione.

Be', la condivido assolutamente!

Io ho avuto come modelli ideali le progressioni di carriera di Kraus o Gedda, da me molto amato. Gedda ha cantato moltissimo: dall’operetta (tedesca e francese) al grand-opéra.

Vero! Gedda per l’epoca era una rarità: spaziava moltissimo!

Gedda, purtroppo, non era famosissimo: conosciuto sì, ma non famoso. Mi riconosco molto in lui.

Be', tu sei molto famoso!

Non penso, in realtà: forse conosciuto, appunto, ma non famoso. In Italia devo dire ho avuto sempre una grande accoglienza.

Io ho in mente il trionfo della Donna del lago alla Scala! Forse, sai, è la mia opera preferita: anche quando lavo i piatti ne canto qualche aria o quando mi sveglio…ai mattutini albori! Eccomi a voi! [risate].

Raccontami questa esperienza che hai avuto alla Scala. Rodrigo di Dhu nella Donna del lago è un ruolo che oserei definire infido.

Che dire? Era il mio debutto alla Scala. Al fianco di Flórez, della Di Donato. Ho fatto, poi, poco dopo, sempre in quel teatro, anche Don Giovanni. Questa esperienza con Donna del lago mi è rimasta nel cuore per l’affetto e la stima che ho sentito dal pubblico. Erano molto orgogliosi di aver un cast stellare con Joyce e Juan Diego a cantare un’opera così bella. A ogni recita cresceva sempre più il pubblico.

E non è scontato: il pubblico della Scala non è quello romano, per esempio, di certo più accomodante.

Sono molto attenti, duri, fischiano ciò che non gli piace: del resto le ‘leggende’… sulle claque. Per fortuna è sempre andato tutto bene. Non ho poi più fatto nulla lì. Spero vivamente di tornare.

La prossima volta che ti chiameranno, cosa vorresti fare?

Così a bruciapelo ti direi Nemorino nell’Elisir. Vorrei in realtà cantarlo sempre: è un personaggio simpaticissimo, che piace moltissimo al pubblico, ovviamente. Però, in questo momento, in Italia sono soprattutto noto per il repertorio francese, quindi…

Be', anche rossiniano direi!

Solo Guillaume Tell però.

Io ti vedrei molto bene in Armida, anche…

Armida l’ho cantata nel ruolo di Goffredo: mi piacerebbe, naturalmente, affrontare il ruolo di Rinaldo. Non mi chiedono però di farlo…se ne parlava per il Rossini Opera Festival, a Pesaro, ma è sfumato tutto.

Al Rossini Opera Festival hai mai cantato?

Purtroppo no…nessuna opera in forma scenica. Nel 2019 dovrei cantare un concerto belcantistico. Mi piacerebbe però anche continuare con alcuni ruoli rossiniani. Per ora mantengo in repertorio solo Arnold. Poi forse riprenderò Otello, che ho cantato già in diverse parti del mondo (Salisburgo, Napoli ecc.). È veramente un ruolo impegnativo, però. Devo cantare diversi sovracuti impervi: la naturale, si bemolle… fino al re naturale!

Infatti! Penso siano veramente pochi al mondo, oggi, che possono cantare l’Otello rossiniano nel ruolo del titolo…

Sono felice che l’hai detto! Lo penso anch’io. È un ruolo che sento di poter fare, anche se certo non sono un baritenore. L’unico, penso, che oggi sia veramente azzeccato per questi ruoli è Michael Spyres: lui è un vero baritenore! Io penso che canti esattamente come faceva Nozzari. Infatti, Michael ha iniziato studiando come baritono, poi è passato ai ruoli tenorili. E fa cose particolari, estreme, proprio come me: Les Huguenots, Les contes d’Hoffmann. Ma anche i rossiniani Otello e Rodrigo di Dhu.

Quindi, per ora, Rossini lo tieni in cantiere: ma non escludi di poterlo eseguire ancora.

Sì. Però ora, per l’evoluzione della mia voce, vorrei assestarmi sul repertorio francese. Vorrei rilassare la gola, giocare sui colori, sulle sfumature, le intensità: sui sentimenti. Rossini richiede uno sforzo diverso: nelle fioriture, per esempio. Non posso rimanere perfettamente concentrato sull’intonazione delle fioriture, sui virtuosismi, e allo stesso tempo rendere ugualmente ‘credibile’ il sentimento. Non dico che Rossini non abbia ‘sentimento’: ma scaturisce da dinamiche diverse. Ora vorrei concentrarmi sul colore e il carattere di una linea vocale più piana. In ogni caso, per cantare Cenerentola e Barbiere bisogna avere un colore ‘spiritoso’ nella voce: e le fioriture – ne sono convinto – non erano meccanicamente staccate, ma avevano un’esecuzione in legato, una tecnica – il legato – su cui sto molto sperimentando e mi sto molto dedicando. Quando faccio il secondo atto di Otello, in questo senso, le fioriture richiedono una grande attenzione, ma poi c’è anche un canto più legato.

Ti piacerebbe cantare l’Otello di Verdi?

Ora non sono nell’età e nella posizione dell’amico Gregory Kunde, il vero re di questo repertorio in Italia e Spagna. Kunde ha veramente maturato bene la voce, con una progressione incredibile. Inoltre, è un ottimo musicista che riesce a preparare un ruolo in poco tempo, con risultati straordinari: a me servirebbero invece dei mesi!

Bene: veniamo ora al Fra Diavolo romano. Come hai preparato il ruolo? Come lo hai interpretato?

Be', mi sono ben documentato e ho studiato le registrazioni esistenti, per la verità assai poche. Tutti i recitativi, per esempio, che sono stati ritradotti in francese da una versione italiana, sono stati mantenuti e non tagliati: la versione è certamente integrale. Però non sono ben scritti e l’opéra-comique non li prevedeva, come si sa.

Infatti è un po’ il problema che afflisse Carmen… come purtroppo è successo a Roma, recenteente.

Sono d’accordo: una opéra-comique deve farsi come tale. Non è un’opera veristica. Oggi le voci sono moto più ‘potenti’, tra l’altro, rispetto a quelle di allora, più scattanti, leggere. Bisogna, peraltro, ricordare che pure gli strumenti erano diversi (gli archi in budello) ecc. e quindi non ci si doveva sforzare troppo per farsi sentire sopra l’orchestra: oggi è meccanicamente proprio diverso. Le considerazioni da fare sono molte, quindi, per approcciare un ruolo come quello di Fra Diavolo. Anche il fatto di non poter avere un punto di riferimento complessivo, una registrazione, per rendermi conto dell’effetto ‘intero’ del numero musicale che vado a affrontare, è stato difficile: dovremmo sfruttare maggiormente la fortuna che oggi abbiamo di poter registrare le opere. Cosa che era assai rara un tempo. Io ho preparato tutto con un’amica pianista in California, registrando la parte e riascoltandomi, per poter individuare eventuali errori. Parlando bene francese, poi, sono riuscito a imparare bene la parte e a conferire – spero – verisimiglianza ai recitativi, alla dizione, alla recitazione, alla resa scenica, insomma.

Certamente sì! Fare Fra Diavolo a Roma significa, anche, educare il pubblico romano (e italiano) a un repertorio certo più singolare e desueto. E questo è bene!

Vero! Forse è la prima volta che si fa la versione francese in Italia! Di un’opera che, per molti versi, ha avuto una discreta fortuna. La cosa importante, per un cantante è anche essere poliglotti, il più possibile. Da quando parlo bene italiano (circa una decina d’anni), posso entrare assai meglio nella trama e nella storia dell’opera che canto in quella lingua. In America diamo molta importanza alla verosimiglianza teatrale della resa di un ruolo: studiamo molto, per esempio, anche tecnica teatrale, facciamo pratica, studiamo come fare le scenografie, il trucco e il parrucco, l’illuminotecnica. Ho persino tinteggiato e costruito parti della scenografia. Studiamo anche molto la recitazione.

Hai ragione: forse è proprio un problema di educazione in Italia. Nelle scuole non si fa Storia della musica; studiano poco teatro e tecnica teatrale: e si vede.

Bisognerebbe anche studiare bene come muoversi sul palco. Come cadere, come combattere, come tirare pugni e calci, come scontrarsi con le spade. La recitazione è una parte fondamentale del nostro lavoro, essenziale direi. Dobbiamo dare l’impressione che ciò che accade sul palco sia vero, quando in realtà non lo è.

Dunque: cosa ti aspetta per il futuro?

Posso dire che questa stagione sarà dedicata al repertorio francese – come ti ho detto – almeno fino all’estate. Poi farò in Italia Elisir d’amore, a Macerata. Poi debutterò nel Faust di Gounod. Farò a Amsterdam ancora Les contes d’Hoffmann e ancora il Cellini, come ti accennavo. Poi a Dresda ancora Huguenots.

Bene, quindi repertorio francese: e Rossini?

Dunque: ho due produzioni di Guillaume Tell. Mi hanno chiesto di fare Semiramide, ma non penso la farò…

Che peccato! Trovo bellissimo il ruolo di Idreno…

Sì l’ho cantato: ma è una questione di calendario e ho prediletto qualcos’altro. Idreno è un ruolo difficile, quasi ‘sconnesso’ dal resto della storia: ha un recitativo con la principessa Azema e due arie. Ecco perché, purtroppo, spesso è tagliato. L’ho già cantato in forma di concerto e il direttore voleva togliere «Ah dov’è il cimento»: ma allora perché avrei dovuto cantare, se ho cantato solo l’altra aria?

Rinaldo, però, lo devi fare!

Forse…perché non l’ho mai fatto e mi intriga. Un’altra opera interessante, mai cantata da me, è Le Comte Ory. Ma forse il tempo per quel ruolo, vocalmente parlando, per me è già passato…

Perché?

Per la maturazione logica e naturale della mia voce devo abbandonare i ruoli di fioritura. Va bene gli acuti: ma le fioriture, ora, non si sposano col repertorio che sto affrontando, dove cerco di concentrarmi sui colori, sul legato soprattutto, e sul sentimento. Magari mi dedicherò al repertorio tedesco: Die Entführung aus dem Serail di Mozart, Strauss ecc. Ma anche il Mozart ‘italiano’: Don Giovanni, Così fan tutte.

Bene: altri ruoli che vorresti affrontare in futuro?

Mi piacerebbe fare molto Donizetti: Edgardo, Nemorino…ma anche Devereux e, perché no, Percy in Anna Bolena, o Leicester in Stuarda: spero che mi verranno proposti in futuro. Prima di essere troppo vecchio [Ridiamo]. Ma anche la Lucrezia Borgia. Spostandomi su Verdi, mi piacerebbe fare Traviata e Rigoletto. Quando sarò, diciamo, più maturo, mi piacerebbe fare anche Tosca e Carmen.

Dove lavori per lo più?

Di fatto, con mio rammarico, non ho un contratto né per gli USA né per l’Inghilterra. Sto lavorando, quindi, in Germania, Svizzera, Italia e Spagna, soprattutto: in Europa, per semplificare. Qui, a Siviglia, farò La fille du règiment fra non molto. Non mi sento di affrontare il repertorio verista, come ti ho detto, almeno ancora. Vorrei educare bene la mia voce ancora nel repertorio belcantistico. Cerco sempre di concentrarmi sugli elementi tecnici del canto più espressivi: il legato – come ho detto – e le mezze voci. In tal senso Donizetti è veramente una medicina per la voce e per l’anima.

Donizetti è veramente una medicina per l’anima! Bene: grazie di tutto! Ti auguro tutto il meglio e di rivederti al più presto!


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