L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

l'aiglon di honegger e ibert

La ali sognate

 di Roberta Pedrotti

A. Honegger/ J. Ibert

L'Aiglon

Gillet, Barrard, Dupuis, Sly, Guilmette, Lemieux

Choeur de l'Osm - maestro del coro Andrew Megill

Orchestre Symphonique de Montréal

maestro concertatore e direttore Kent Nagano

Montréal, 17, 19 e 21 marzo 2015

2 CD DECCA 478 9502 DHO2

Ei fu. E sicuramente restare, dopo il 5 maggio 1821, unico erede legittimo di Napoleone Bonaparte doveva essere una responsabilità non indifferente per un ragazzo di dieci anni che, per di più, era un Asburgo per parte di madre, cresciuto, dopo l'esilio paterno, a Vienna sotto la tutela di Metternich, con nome e titolo austriaco di Franz von Reichstadt. A Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte (1811-1832), detto Aiglon (Aquilotto) da un poema Victor Hugo, Edmond de Rostand dedicò nel 1900 una pièce teatrale tenuta a battesimo da Sarah Bernhardt, protagonista en travesti. Quando, trentasette anni dopo, Arthur Honegger e Jacques Ibert decisero di musicare a quattro mani il soggetto parve inevitabile affidare il giovane Bonaparte, morto ventunenne come duca asburgico, ancora una volta a un'interprete femminile: omaggio alla fonte in prosa e alla divina Sarah, nonché voce di soprano appropriata al personaggio adolescente. Dopotutto, se non fosse per il peso della Storia sulle sue spalle, il nostro Aquilotto sarebbe, vorrebbe essere uno Chérubin di Massenet, un Octavian di Strauss, un giovane d'alti natali, alla scoperta della vita fra adolescenza e maturità. La vicenda, quasi, potrebbe reggersi nella delicatezza un po' malinconica di un'esistenza dorata turbata dalla figura ingombrante ma assente del padre defunto, mentre nasce un idillio nostalgico con la giovane lettrice francese di corte. Il padre, però, non è solo ingombrante nel vissuto personale e nella maturazione del ragazzo, è anche l'uomo che ha sconquassato l'Europa intera, segnandola profondamente perfino dopo la sua morte: nostalgici, amici e nemici vecchi e nuovi, traditori ansiosi di riscatto, patrioti, reazionari e rivoluzionari tentano di tirare per la giacchetta dalla propria parte il giovane in cerca d'identità, di una propria identità.

Un soggetto, insomma, nient'affatto banale, per quanto incapsulato in un ben preciso schema ideologico, in un disegno patriottico che contrappone, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il riscatto francese all'eterno nemico di lingua tedesca, sia esso austroungarico – ghigliottinare la sorella di un imperatore può in effetti creare qualche ruggine fra due nazioni – o prussiano. In una mirabile fusione stilistica nella quale, se l'autografo non rivelasse le mani diverse ad alternarsi di atto in atto (Ibert il primo e il quinto, Honegger il secondo e il quarto, assieme il terzo), non si distinguerebbe l'un dall'altro compositore, l'asse portante della partitura è la contrapposizione di due mondi musicali: deliziosi ed elegantissimi valzer viennesi, impeccabile atmosfera di corte per la nobiltà asburgica e la vita nello Schönbrunn, percepita dall'Aquilotto come una gabbia dorata; per la nostalgia napoleonica, l'orgoglio francese e gli aneliti del protagonista, scrittura più scabra, cupa, qualche dissonanza in più (con la citazione della colonna sonora di Honegger per il Napoleon di Gance e perfino un'eco del tema di Agamemnon – guarda caso, un padre tradito, ucciso e terribilmente presente – dall'Elektra straussiana nel finale quarto) e soprattutto il tessuto melodico derivato da canti rivoluzionari o popolari, dalla Marseillese che la fa da padrona nel quarto atto alle berceuse che cullano la morte del giovane Bonaparte.

Inevitabile che l'elogio del tricolore, il patriottismo e, soprattutto, l'inno alla libertà e alla rivoluzione, facessero bandire l'opera al momento dell'occupazione tedesca. Svanì così dal repertorio, ed è un piacere avere oggi l'occasione di riascoltarla in forma integrale in questa bella incisione registrata a Montréal sotto la direzione di Kent Nagano, che sbalza alla perfezione i diversi registri della partitura, comunicandone con semplicità trasparente la raffinatezza.

Anne Catherine Gillet esprime nella sua voce una fragilità funzionale al personaggio, che dunque non ha bisogno di sottolineature e smancerie che pure il libretto potrebbe suggerire. Il suo Duc – così, con il titolo austriaco, è chiamato l'Aiglon – è naturalmente fiero e delicato. Così come è fieramente patriottica e delicatamente adolescenziale la lettrice Thérèse di Hélène Guilmette. Perfetta nella sua malinconica e aristocratica compostezza, la Marie-Louise di Anne Nicole Lemieux, tanto riservata da risultare toccante quando è costretta ad ammettere di non conoscere i canti francesi che il figlio vorrebbe ascoltare in punto di morte, e di non poter dunque cullarlo come vorrebbe negli ultimi momenti. Marc Barrard è un eccellente Flambeau, veterano napoleonico, mentre Ètienne Dupuis resta la giusta freddezza a Metternich e tutti gli altri interpreti chiamati a dar vita a questa miniatura storica di chiara matrice politica contingente, ma nondimeno capace di restituire il piccolo grande dramma di un giovane evanescente, schiacciato dall'ombra di un padre troppo grande, portato a sognare i suoi stessi trionfi come un destino e inesorabilmente stritolato dalla Storia.


 

 

 
 
 

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