L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il passato e il futuro della danza

 di Stefano Ceccarelli

Il Teatro dell’Opera di Roma, nel consueto appuntamento con la danza e la coreografia novecentesca, porta in scena quattro composizioni di differenti coreografi: dal passato di Balanchine e di Nureyev, a un contemporaneo (quasi un sopravvissuto) come Forsythe e a un affermato coreografo come Millepied, che rappresenta anche il futuro. Il tutto abilmente pensato e progettato da Eleonora Abbagnato, che ritorna all’Opera di Roma in veste di ballerina – dopo essere diventata Direttrice del Corpo di Ballo – proprio nella coreografia di Millepied, cimentandosi in un pas de deux di danza contemporanea. Lo spettacolo è un successo e dimostra l’eccellente lavoro svolto dalla Abbagnato, che ha innalzato sensibilmente la qualità del corpo di danza capitolino.

ROMA, 1 marzo 2016 – Il consueto appuntamento invernale con la danza e la coreografia novecentesca/contemporanea al Teatro dell’Opera di Roma vede protagonisti nomi celeberrimi. L’oramai leggendario George Balanchine, vissuto in pieno novecento (1904-83), nato nella San Pietroburgo del primo germe della rivoluzione rossa e morto nella New York simbolo dell’avanguardia artistica degli anni ’70-80; Rudolf Nureyev, d’origine tartara, nato a ridosso della Seconda Guerra Mondiale in una delle repubbliche periferiche dell’URSS, espatriato dalla tenaglia sovietica, astro e icona della danza, assurto nell’empireo assoluto degli artisti del secolo scorso; il newyorkese William Forsythe, dalla firma inconfondibile, capace di reinventare con un linguaggio classico un nuovo stile di danza; e il più giovane Benjamin Millepied, coreografo oramai affermato e riconosciuto internazionalmente. Le serate segnano anche il ritorno all’Opera di Eleonora Abbagnato, dallo scorso anno Direttrice del Corpo di Ballo capitolino, anche come solista.

Sulle eleganti e raffinate melodie della Serenade per archi op. 48 di Pëtr Il'ič Čajkovskij, Balanchine costruì nel 1934 una coreografia dal sapore neoclassico (era intimo amico di Stravinskij e ne condivideva gli ideali), fatta di una coralità di ballerine in tutù romantico, due parti soliste femminili e una parte solista maschile. La ripresa all’Opera di Roma è deliziosa: su un fondo celestino e con un’eccellente illuminazione, il corpo di ballo femminile romano disegna figurazioni precise e aggraziate. I salti, le linee, le posizioni: tutto è elegantemente terso. Il pas de deux sul valzer è ben danzato (Alessandra Amato e Claudio Cocino). Sul larghetto ancora figurazioni corali e un delizioso pas de cinq tutto al femminile. Poi si alternano le parti – come aveva originariamente previsto Balanchine: Giacomo Castellana (elegantissimo e di notevole presenza scenica) danza un singolare passo a tre con Gay e la Suriano, sulla cui interpretazione (come, del resto, dell’intero balletto) Balanchine fu sempre ambiguo. Il finale scoperchia tutti i tratti rituali, immaginifici, quasi atavico-primitivistici di questa coreografia dal sapore volutamente arcaizzante. La performance coreografica è stata d’altissimo livello: a mio avviso il più bel pezzo della serata. Calorosi gli applausi.

‘Ossimoricamente’ ci immergiamo nella contemporanea coreografia di Benjamin Millepied, Closer, sulla musica per solo pianoforte di Philip Glass (esecutrice n’è stata la brava Enrica Ruggiero). Possiamo godere di tutto il talento di Eleonora Abbagnato e del compagno di danza Florian Magnenet. Danzano, infatti, con grande compartecipazione e intensità tutto il pas de deux, regalandoci una toccante interpretazione di una coreografia intimistica, quasi raccolta, narrante l’evoluzione di un amore fra mura domestiche, fatto di gioie, dolori, incomprensioni, litigi, il tutto sublimato in uno stile basato su delicate geometrie, prese e cangianti figurazioni; ad accompagnare la coreografia è stato ben scelto l’ipnotismo minimalista del ritmo martellante di Glass, che sembra quasi sublimare su un piano irreale la ripetitività della routine quotidiana. Meritati applausi per i due interpreti.

Torniamo al classico – si fa per dire. Sulle musiche de “La Grande” (Sinfonia n. 9) di Franz Schubert, sul IV movimento (l’Allegro vivace), nel 1996 Forsythe montò una singolare e spettacolosa coreografia, The Vertiginous Thrill of Exactitude «una sfida al linguaggio stesso del balletto» (ben ha detto la D’Adamo nel programma di sala). Una coreografia che utilizza in modo spregiudicatamente moderno la grammatica della danza classica, la cristallizzata prassi del balletto. Con costumi (Barry Kay) che sono una versione sensualmente minimal, dai colori sgargianti, dei tutù femminili e delle calzemaglie maschili – tanto noti a noi tutti amanti della danza – la Amato, la Brezzi, la Salvi, Luci e Alessio Rezza danzano qualcosa di surreale, assai fisico, frammentato, eppure armonico nel suo insieme. La velocità d’esecuzione, cui gli interpreti sono costretti, rendono bene il senso proprio di quel vertiginous thrill: e l’esattezza (exactitude) non è mancata a nessuno degli interpreti, con particolare riguardo per Rezza che è emerso distintamente nella sua espressività fisica. Arrivano gli applausi e i complimenti più calorosi dell’intera serata, per un pezzo spettacolare e gradevolmente fresco che compie, proprio nel 2016, i suoi vent’anni di vita.

Si termina con un vero classico, rivisitato da un genio della danza: Rudolf Nureyev rilegge il III atto di Raymonda di Alexandr Glazunov, balletto a lui molto caro e rimontato in diverse occasioni. Il giovane Glazunov – che poi diventerà direttore del conservatorio di San Pietroburgo e maestro di Šostakovič – compone una partitura brillante e dal sapore raffinatamente francese, coniugando quel gusto patriottico nel contenuto e occidentalizzante nella forma che caratterizzò la nascita della tradizione del balletto russo (con Čajkovskij in testa): quel Glazunov che sarà uno degli ultimi baluardi alla chiusura culturale all’occidente della Russia bolscevica. Il III atto di Raymonda inscena la festa di matrimonio dell’omonima protagonista con Jean de Brienne: le scene, ancorché semplici, sono d’effetto e i costumi (Barry Kay), che vengono dal Covent Garden, veramente ragguardevoli. I pezzi d’assieme sono ben riusciti: il corpo di ballo dell’Opera di Roma merita ancora una volta grandissimi complimenti. Anche i solisti si fanno ben valere.

Spettacolo apprezzabile per più ragioni: prima fra tutte la scelta eterogenea dei pezzi, che mostrano uno spezzato vario e affascinante della danza. Buonissima anche la prestazione dell’orchestra sotto l’esperta bacchetta dell’onnipresente David Garforth, direttore oramai stabile della danza all’Opera di Roma – peccato non abbia diretto anche la Nona schubertiana, lasciando a una registrazione il compito di accompagnare la coreografia ‘da brivido’ di Forsythe.

foto Yasuko Kageyama


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.