L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

juan diego florez, edita gruberova

Gruberová e Flórez, coppia per Donizetti

 di Francesco Lora

Ripresa della Lucrezia Borgia alla Staatsoper di Monaco di Baviera: a rendere speciali le tre recite non è la regìa di Christof Loy né la direzione di Friedrich Haider, bensì la stellare coppia di protagonisti formata da Edita Gruberová e Juan Diego Flórez, al fianco dei quali s’impone Teresa Iervolino.

MONACO DI BAVIERA, 2 maggio 2018 – Quanto alla Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti, la Staatsoper di Monaco di Baviera ha in uso dal 2009 un allestimento con regìa di Christof Loy, scene di Henrik Ahr e costumi di Barbara Drosihn: uno spettacolo dagli impianti economici, leggeri, facili da spostare, riprendere e immagazzinare, e ciò sia dal punto di vista concreto del vestiario e delle strutture, sia dal punto di vista astratto dell’idea drammaturgica. V’è l’inevitabile trasposizione all’età contemporanea, con effetto di annullamento della connotazione storica; v’è uno sbrigativo lavoro con gli attori il quale punta assai più al dinamismo gestuale che allo studio del testo; v’è un’impropria apertura a clichet buffi, mediante la quale, per esempio, il Duca di Ferrara passa da tremendo a grottesco. Non per questo allestimento varrà dunque la pena di precipitarsi a Monaco; ma sono state di precetto le recite del 27 aprile e 2 e 7 maggio, per via della strabiliante compagnia di canto ivi convocata: Edita Gruberová, Juan Diego Flórez e Teresa Iervolino.

A cinquant’anni di carriera e in declino vocale inoltrato, nelle serate monacensi la Gruberová si è armata di specialità, trasporto, prudenza, astuzia e ironia, giocando pressoché tutta la parte protagonistica sul canto a mezzavoce che ancora conserva quell’ineguagliabile smalto lunare, quella proiezione che pare effusione, quella vocalizzazione molle e nitida, quella fiera lunghezza di fiati. Nell’àmbito del pianissimo è coltivata anche la parola languida o insinuante, mentre sono moderati certi soliti eccessi istrionici che scoprono il fianco. Una pubblica esposizione al pericolo è offerta soltanto nelle ostinate puntature al registro sopracuto: il Do dovrebbe essere meglio sorvegliato, il Re bemolle stride e vacilla con nervosismo, il Mi bemolle – è bestemmia dirlo? – non v’è più. La simpatia artistica si rinnova tra la primadonna e Flórez, da lei ritrovato in scena dopo il decisivo sostegno dato agli esordi. Come Gennaro egli non vanta più la sfacciata freschezza dei primi anni, ma rimangono – prova d’eccellenza – la struggente musicalità, l’estensione facilissima, il cantabile dal nobile legato.

A distinguere la prova del grande tenore, nella vera arte oltre che nella mera voce, è qui anche il deliberato incremento della parte. Lucrezia Borgia è con ogni probabilità l’opera cui Donizetti in persona fornì, per accompagnarne la straordinaria fortuna riscossa in tutta Europa, il maggior numero di nuovi brani sostitutivi, integrativi o aggiuntivi: una cabaletta per la romanza di sortita di Lucrezia, un’altra alternativa per il duetto di Lucrezia e Alfonso, due differenti scene con aria di Gennaro da inserire in testa all’atto II, infine un cantabile di Gennaro morente (autoimprestito da un passo omologo della Pia de’ Tolomei) che dà luogo a un finale alternativo (scalzando esso la disperata cabaletta di Lucrezia, com’era nelle prime intenzioni dell’autore, o affiancandosi a questa come parte del tempo di mezzo). Mentre la Gruberová non si è fatta tentare dalla cabaletta, Flórez ha introdotto sia una delle due scene con aria («Partir degg’io: lo vuol Lucrezia. Oh nome ... T’amo qual s’ama un angelo»), sia il cantabile nel finale, ricalibrando a vantaggio del ruolo tenorile l’egemonia sull’opera.

Concepita per un basso schietto, la parte di Alfonso è stata affidata, a Monaco come spesso altrove, al baritono Franco Vassallo, trovando peraltro agio di risonanza ed estensione. Come anticipato, è però la regìa a guastare la linea stilistica: ciò quando invita l’interprete a scadere nella facile caricatura anziché a indagare la psicologia dell’antagonista. Eccellente nei mezzi (natura e tecnica) come nello stile (scuola e istinto) si è riconfermata invece la Iervolino: il suo velluto di autentico contralto se l’intende a puntino con i picchi contraltini di Flórez, mentre il carattere di Maffio Orsini è da lei reso con brillantezza che non rischia l’affettazione. Funzionale il folto comprimariato. Scaltrita l’orchestra della Staatsoper e corretto il relativo coro: peccato tuttavia che il direttore, Friedrich Haider, abbia posto in campo tanto rigore nella battuta staccata quanto imbarazzo nella prosodia italiana, fino ad ammettere l’inaccettabile taglio delle misure di tramezzo tra il cantabile di Gennaro e la cabaletta di Lucrezia (subito giustapposta, dunque, in barba a ogni logica musicale e teatrale).

foto © Wilfried Hösl


 

 

 
 
 

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