L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una catarsi

 di Stefano Ceccarelli

Il concerto inaugurale della stagione 2020-2021 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vede orchestra, coro e direttore stabile, il maestro Antonio Pappano, tutti assieme per aprire degnamente il nuovo anno musicale. In un concerto di rara qualità, gli interpreti eseguono il Te Deum in do maggiore per soli, coro e orchestra di Anton Bruckner e Das Lied von der Erde, sinfonia per contralto, tenore e orchestra di Gustav Mahler.

ROMA, 17 ottobre 2020 –In un momento storico quanto mai proibitivo per il mondo della musica – che da sempre, peraltro, è un universo delicato e da salvaguardare con particolare attenzione –, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nel pieno rispetto delle norme anti-Covid, inaugura la stagione sinfonica 2020-2021 con l’orchestra, il coro e il suo maestro stabile, Antonio Pappano. Viene un po’ di tristezza a pensare che un concerto così bello sia stato goduto, almeno dal vivo, da un numero ristretto di persone, a causa – appunto – delle pur giuste restrizioni per arginare il dilagare del ben temuto virus. In ogni caso, il concerto può almeno essere recuperato su RaiRadio3 e Rai5. E andrebbe visto da quante più persone possibili, giacché ora come ora la musica può donare un momento autenticamente catartico alle vite di tutti noi, toccate più o meno nel profondo dai problemi causati dalla diffusione del Covid.

I due autori scelti per aprire la stagione (che non a caso sono maestro e allievo) dànno un messaggio eloquente. Il Te Deum di Bruckner è quasi un inno apotropaico alla salvezza (in questo caso dall’odiata pandemia); Das Lied von der Erde di Mahler, invece, è una riflessione sulla natura e la vita umana di tale profondità e intensità, che ascoltarlo con alle spalle una realtà così universalmente precaria non può che commuovere.

Il Te Deum di Bruckner è un brano di potente semplicità. Ha la sua forza in un’orchestrazione potente, in una scrittura che vede il coro muoversi in momenti di estasi melodiosa, semplice ma potente. Proprio questa melodiosità cristallina è il punto di forza migliore del Te Deum, che si richiama a modelli antecedenti ad uno stile di musica sacra più fiorito e articolato. Il coro dell’Accademia è straordinario nell’affrontare, in tutte le sue compagini, la partitura; anche i solisti – che dallo stesso coro provengono – fanno un ottimo lavoro: Donika Mataj (soprano), Daniela Salvo (contralto), Anselmo Fabiani (tenore) e Antonio Vincenzo Serra (basso). La direzione di Pappano è scultorea, mai in realtà muscolare, sforzata, ma sempre potente, piena. L’elemento ritmico che, giustamente, Pappano mette bene in risalto è l’ostinato ondulare degli archi, che funge da legame ‘sintattico’ fra tutte le parti del pezzo. Fra i momenti più notevoli dell’esecuzione c’è sicuramente il grandioso attacco dell’«Aeterna fac» e la fuga finale («In Te, Domine speravi»). Gli applausi invadono la sala alla fine del Te Deum.

Nel secondo tempo si esegue Das Lied von der Erde di Mahler. Pappano è mirabile e sensibilissimo nel dirigere l’orchestra, che si muove stupendamente nelle maglie di una scrittura che è come una seta trapunta, le cui sonorità sono calibrate al millimetro nel variare dei colori, delle intensità e dei ritmi. Le voci soliste sono Clay Hilley e Gerhild Romberger. Hilley è un tenore dallo squillo robusto e dalla linea di canto solida, che riesce a rimanere ben salda ed espressiva nelle zone più alte della tessitura: l’allucinato «Das Trinklied vom Jammer der Erde» ne è eccellente testimonianza. Incantevole, non solo per la musica seducentemente orientaleggiante che lo disegna, ma anche per l’accattivante direzione di Pappano, «Von der Jugend». Hilley piace anche in «Der Trunkene im Frühling», dove riesce a svettare in acuti limpidi, fulminei, disegnando l’allegro arco melodico del brano. La Rombarger, dotata di una voce ammaliante e dolcemente brunita, esegue i suoi Lieder in maniera straordinaria, facendosi apprezzare soprattutto per le sfumature sublimi che riesce a donare al suo fraseggio. In «Der Einsame im Herbst» l’interprete è delicatissima, come pure in «Von der Schönheit», dove però l’ethos è meno malinconico e più solare. Ma la Rombarger dà il meglio di sé in «Der Abschied», dove deliba tutte le sfumature di una linea melodica che tocca l’apice dell’emotività, a tratti straziante. Il concerto riceve un’eccellente accoglienza dal pubblico in sala.


 

 

 
 
 

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