L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Libertà, cantabilità, classicità

di Lorenzo Cannistrà

Una preziosa integrale dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven al TCB, con Alessandro Taverna sensibile solista e l’ottima Orchestra del Teatro Comunale di Bologna autorevolmente guidata da Asher Fisch

BOLOGNA, 24 e 30 gennaio, 7 febbraio 2021 - I festeggiamenti per il 250° anniversario dalla nascita di Ludwig van Beethoven, come è noto, sono stati annichiliti dall’arrivo del Covid-19, che ha costretto tutti – soprattutto negli ultimi mesi – a seguire la grande musica dal divano di casa propria. Non deve stupire pertanto che anche con il nuovo anno continuino a proliferare programmi interamente dedicati al genio di Bonn nelle stagioni delle principali istituzioni concertistiche italiane, come per l’appunto questo ciclo di appuntamenti proposti in streaming dal Teatro Comunale di Bologna nell’arco di tre domeniche tra gennaio e inizio di febbraio, con il pianista Alessandro Taverna e Asher Fisch alla testa dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.

L’integrale dei concerti di Beethoven rappresenta un banco di prova non indifferente per misurare la maturità artistica di qualsiasi pianista. Il veneziano Alessandro Taverna viene presentato da certa critica come una sorta di successore naturale di Arturo Benedetti Michelangeli, con un paragone oggettivamente piuttosto impegnativo (anche considerando che la stessa cosa si diceva negli anni ‘60 del giovane Pollini). Per nostra fortuna Taverna non è uno sbiadito imitatore dei grandi del passato, ma uno dei migliori giovani pianisti italiani in circolazione, pur non avendo nel proprio palmarés primi premi vinti in importanti concorsi internazionali. In questo ciclo di concerti ha dimostrato di possedere una libertà e inventiva da interprete “maturo”, una eccellente cantabilità (con un suono sempre levigato e perlaceo), e un’eleganza, una misura classica che non è mai venuta meno per tutta l’integrale.

Gli esiti più felici della sua collaborazione con il direttore israeliano Asher Fisch (apprezzato interprete wagneriano) si raggiungono senz’altro nei primi due Concerti op. 15 e op. 19. L’approccio di Taverna ben si fonde con il linguaggio ancora deferente al modello mozartiano, depurando la componente beethoveniana da ogni residuo di spavalderia e virtuosismo competitivo. Impressiona favorevolmente il modo in cui il pianista veneziano affronta i passaggi più brillanti, sempre senza fretta o agitazione, con un controllo tecnico eccellente e l’uso di diteggiature assai personali – si arriva addirittura ad uno scambio delle parti tra le mani in alcune battute nel primo movimento del concerto op. 19. Molto ben eseguite in particolare le cadenze (Taverna sceglie sempre quelle più lunghe e musicalmente dense), soprattutto quella del concerto op. 19, in cui il lungo episodio contrappuntistico mette talvolta in difficoltà anche interpreti ben più blasonati. Di sorprendente qualità l’esecuzione orchestrale, anche se specialmente nel Concerto op. 15 si avverte qualche leggera discrasia rispetto ai tempi di esecuzione scelti dal solista.

Nel Concerto op. 37 stupisce il modo in cui gli interpreti addolciscono la carica drammatica dell’opera. Taverna esegue il primo movimento tenendo ben presente il concerto in do minore K 491 di Mozart, rispetto al quale il concerto beethoveniano ci viene presentato più come sereno testimone che come riottoso seguace. I tempi sono moderati, predominano i piano e i mezzoforte anche laddove si è abituati a sentire un suono più perentorio. Il pedale è usato con parsimonia, a favore di una complessiva asciuttezza del discorso musicale, mentre numerosi sono gli aggiusti operati dal pianista, pensati per garantire una maggiore souplesse esecutiva. Troviamo qui però, rispetto ai primi due concerti, una maggiore libertà nel fraseggio, anche nei momenti in cui il dialogo con l’orchestra è più serrato. Nel secondo movimento i tempi sono leggermente più mossi del solito, con il risultato di rendere l’atmosfera meno “religiosa” e più tenera, colloquiale. Brillante il finale, reso con programmatica leggerezza ma senza sacrificare la vivacità e il suono pungente. Da rimarcare anche qui l’eccellenza dell’accompagnamento orchestrale, la non comune cura per il dettaglio e la chiarezza d’insieme, mai a scapito della bellezza del suono, in particolare degli archi, ma anche dei legni (specialmente nel secondo movimento).

Perfetto l’incipit del Concerto op. 58, nel quale Taverna trova le giuste dosi di signorilità e discrezione che sono inderogabilmente richieste da queste poche battute iniziali. Ciò che segue non regala particolari sorprese, oltre all’eccellente livello generale. Molto buona la cadenza, dai colori particolarmente curati. Emerge anche qui la tendenza accentuata del pianista a distribuire tra le due mani, nei modi più vari, difficoltà scritte per una mano sola (scale, trilli doppi e tripli, passaggi di accordi): non sempre felicemente però a mio avviso, in quanto la differenza di suono, minima ma percettibile a chi conosca bene il pezzo, non è sempre migliorativa rispetto ai medesimi passaggi eseguiti con la naturale tensione della singola mano. Nel secondo movimento colpisce, oltre ad una sorta di “respiro corto” della parte orchestrale, l’attenzione di Taverna a sottolineare voci della mano sinistra nella polifonia degli spettrali accordi, mentre il terzo movimento è condotto con brillantezza tutto sommato convenzionale (anche se i trilli del tema iniziale non mi hanno appagato del tutto).

Il Concerto op. 73 (il celeberrimo “Imperatore”) conclude come di consueto il ciclo. Taverna rende onore all’imperatore dei concerti per pianoforte e orchestra offrendo un’interpretazione plastica, che predilige la rotondità dei contorni piuttosto che lo slancio eroico. Lo si può notare già nella cadenza iniziale, così come in quella della ripresa, ma ancor più nella bellissima coda del primo movimento, in cui le varie figurazioni virtuosistiche sono rese non come vacui fuochi d’artificio ma come figure modellate con la tecnica dell’altorilievo. A tratti si ritrova quell’approccio apollineo, distaccato, eminentemente classico, che però qui approda ad esiti leggermente meno felici rispetto a quanto ascoltato nel Concerto op. 37. Decisamente scintillante l’esecuzione del terzo movimento, anche se nella sezione centrale le riproposizioni variamente intarsiate del tema principale sono affrontate con appropriata delicatezza. Inappuntabile come al solito l’orchestra, che accompagna con la consueta cura e con grande attenzione stilistica alla realizzazione del “gruppetto”, quella figurazione che nel primo movimento dell’ “Imperatore” è una sorta di marchio di fabbrica. Di ampio respiro, ma senza strafare, le celestiali melodie del celeberrimo secondo movimento.


 

 

 
 
 

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