Insieme per Rossini
di Roberta Pedrotti
Nonostante tutte le limitazioni, Pesaro non rinuncia a celebrare la settimana del "non compleanno" rossiniano con una serie di concerti che coinvolgono le istituzioni cittadine, i giovani del conservatorio e musicisti in carriera.
Streaming da Pesaro, 21-28 febbraio 2021 - Per Pesaro e i rossiniani di tutto il mondo l’anno bisestile, in barba a superstizioni e modi di dire, è atteso con trepidazione: possiamo celebrare Gioachino nel giorno esatto della sua nascita, cosa che invece per Donizetti o Verdi, Puccini o Wagner è scontata ogni dodici mesi. Ci sono venuti in soccorso Lewis Carroll e il suo Cappellaio matto sdoganando il concetto di “non compleanno”, prontamente accolto dalle istituzioni pesaresi per i tre anni da trecentossessantacinque giorni. Certo, quando, ormai da qualche annetto, ha cominciato a svilupparsi il programma della settimana rossiniana a cavallo fra marzo e febbraio, nessuno immaginava quanto sarebbe stato tribolato il bisestile 2020 e che nel seguente 2021 oltre alla data del 29 febbraio sarebbe mancata anche la presenza del pubblico.
Ad ogni modo, non ci si dà per vinti, anzi: sono proprio questi i momenti in cui bisogna rimboccarsi le mani, questi i momenti in cui l’arte si afferma indispensabile. Se Rossini intanto esce dall’orbita terrestre e grazie agli amici americani del Rof (che ci non vediamo l’ora di riabbracciare!) arriva su Marte in un file con il rover Perseverance, se l’assessore Vimini si dice determinato a preparare al meglio le riaperture al pubblico di una città creativa (non solo) della musica, le celebrazioni del Non compleanno non fanno un passo indietro ma si reinventano in una nuova formula. Una collaborazione con le scuole ancora aperte, collegamenti dai musei, concerti trasmessi da tv e canali social.
Comincia la Filarmonica Gioachino Rossini con il suo direttore musicale Donato Renzetti. La distribuzione nel Teatro Rossini, altrimenti vuoto ma illuminato, è vivacizzato dagli abiti variopinti delle strumentiste, mentre il programma scelto è un omaggio non meno colorito. Infatti, la musica di Rossini da duecento anni viene interpretata da cantanti, direttori, cori, orchestre, coristi e registi, ma nulla vieta che anche un altro compositore si cimenti nell’interpretazione. Lo fa Britten con le due Suite Soirées e Matinées musicales, entrambe aperte da un riferimento a Guillaume Tell per poi ripercorrere pagine vocali da camera. Non si tratta di trascrizioni per piccola orchestra, ma di spunti di motivi, moduli, gesti musicali che germogliano in un divertito gioco pirotecnico in un organico rodotto quanto variegato anche nelle percussioni, perfetto per festeggiare Rossini e l’amore per Rossini.
Il testimone si passa poi alla Sinfonica G. Rossini, con un ospite d’eccezione come il violoncellista Giovanni Gnocchi (abituato a Lucerna e Salisburgo, ma per la prima volta a Pesaro). Le limitazioni ci impongono di concentrarsi sul repertorio cameristico e, perlomeno, ogni occasione è gradita per un focus sulla produzione strumentale del Pesarese, su quella meraviglia di lirismo disincantato e sincero che è il tema e variazioni Une larme, ben accostato al Nocturne, trascrizione per violoncello e orchestra da op. 19 e all’Andante cantabile, adattamento per violoncello e orchestra da op.11 di Čajkovskij. La cavata, il virtuosismo e il fraseggio di Gnocchi ci permettono di gustarne appieno la qualità di scrittura e ispirazione, nonché una certa qual continuità nello sviluppo tecnico ed espressivo dello strumento, nonché il calore della prossimità ideale nel far musica insieme. Lo ribadisce l’approdo alla contemporaneità, quando in Violoncelles vibrez! di Sollima a Gnocchi si affianca come solista anche Luca Bacelli, prima parte dell’orchestra.
Anche il secondo appuntamento con la Sinfonica G. Rossini parla di musica da camera, stringendo ancor più l’obiettivo, giacché non si parla più nemmeno di orchestra d’archi, ma di duo strumentale o voce strumento. Torna Bacelli e con lui troviamo il contrabbasso di Francesco Mancini Zanchi per ribadire la qualità della produzione rossiniana lontana dal teatro e dal canto propriamente detto. L’introduzione a cura di Daniele Carnini, direttore editoriale della Fondazione Rossini, inquadra bene l’ascolto del Duetto per violoncello e contrabbasso nella cura critica di Alice Tavilla, che mette in luce tutta la consapevolezza idiomatica di chi proprio vent’anni prima aveva composto sei sonate per quartetto d’archi, ma anche la maturità dell’invenzione, del trattamento del materiale tematico e della forma sfruttando appieno le possibilità di un accostamento non proprio consueto. Quindi, la pianista Claudia Foresi e il mezzosoprano Nutsa Zakaidze, allieva dell’Accademia rossiniana di quest’autunno dal timbro caldo e compatto, ci riportano dapprima alle soirées musicales che avevamo ascoltato per orchestra attraverso il filtro di Britten. Ora il bolero L’invito torna a esser cantato nella sua stesura originaria. Segue, e chiude il programma, L’Amour à Pékin (Petite Mélodie sur La Gamme Chinoise): dopo il predominare del ritmo, ecco che Rossini mostra l’altra faccia della medaglia lavorando su una scala pentatonica. La mélodie francese, Debussy, l’esotismo di Puccini sono dietro l’angolo, ma Rossini si muove con una naturalezza che non ha nulla di sfacciatamente sperimentale o visionario. Un melos lieve, sfumato, non perde il mordente di un metro ben definito, il riferimento tonale inconsueto si percepisce in filigrana, nella sottigliezza propria della scrittura (non solo) cameristica del Pesarese.
Chiude il ciclo il Conservatorio nato dal lascito testamentario rossiniano (frequentare banchieri e crearsi una fama da Scrooge ha dato buoni frutti), sempre in collaborazione con il Rossini Opera Festival. Al netto di qualche acerbità connaturata allo status di studenti, si apprezza la scelta non banale del programma, che passa dalla sinfonia e dal sestetto del secondo atto della Cenerentola al trio “Je rends à votre amour” dal Guillaume Tell, al duetto del secondo atto fra Amenaide e Tancredi. Sotto la direzione di Luca Ferrara, con l'orchestra del conservatorio si esibiscono i mezzosoprani Mariangela Marini (Angelina), Aleksandra Meteleva (Edwige) i soprani Georgia Annie Conzato ed Elizaveta Shuvalova (Corinda e Tisbe), Lyaila Alamanova (Mathilde), Maria Stella Maurizi (Jemmy), Nida Cibukciu (Amenaide), il tenore Federico Vita (Ramiro), i bassi baritoni Giovanni Spinazza (Dandini) e Matteo Pietrapiana (Don Magnifico). La concentrazione dei giovanissimi strumentisti sotto le loro mascherine, le parole dei cantanti, la felicità, l’emozione, il senso anche di responsabilità e di rispetto nell’omaggio al grande compositore espressi anche nelle brevi interviste introduttive valgono più di mille parole a spiegare perché siamo qui, davanti a uno schermo e perché scriviamo di questi spettacoli anche se non possiamo fruirne come si dovrebbe. Per il critico, anzi, diventa un dovere ancor più pressante raccontare e leggere l’attualità in momenti come questi.
Poi, i cantanti in carriera non mancano, emergenti e men che trentenni entrambi rappresentano una prospettiva luminosa e potenzialmente non troppo lontana per chi affina gli studi. Giuliana Gianfaldoni esordisce con "Sombre forêt" da Guillaume Tell, che le calza benissimo per la qualità del legato, lo smalto del timbro, la facilità con cui si destreggia in cadenze audaci. Il passaggio dal cantabile malinconico allo sfogo ansioso della cabaletta nell’aria di Giulia dalla Scala di seta ne mette nuovamente in luce le belle qualità, mentre la porzione di duetto dalla Donna del lago che chiude il programma ci offre un interessante sguardo sui suoi progressi verso il Rossini serio più maturo. La affianca Pietro Adaini, che aveva cantato anche le arie di Don Ramiro dalla Cenerentola e di Rodrigo da Otello. Paradossalmente, rispetto al principe più volte frequentato, sono i due debutti in grandi ruoli della produzione napoletana a convincere maggiormente, forse proprio perché in sintonia con un’accresciuta maturità. Con l’anagrafe dalla loro parte, ci sarà tutto il tempo per riascoltarli in condizioni più favorevoli, ma oggi è un bel conforto incontrare un Rossini in divenire pronto a tornare sulle scene appena possibile. Ascoltare Rossini riletto da altri compositori, portare in primo piano la sua produzione da camera, condividere la passione di musicisti in formazione, seguire l’evoluzione di chi il conservatorio e i concorsi li ha lasciati alle spalle da non molti anni e ci ricorda che Rossini non è incantabile, ma deve essere studiato e amato senza mai fermarsi.