L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Protèsi verso il sogno russo

di Valentina Anzani

Yuri Temirkanov e la sua Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo hanno eseguito un programma tutto dedicato a Čajkovskij per BolognaFestival. Al violino l’ipervirtuosistica Leticia Muñoz Moreno.

BOLOGNA, 9 giugno 2014 – La tournée del russo “senza bacchetta” Yuri Temirkanov con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, di cui è direttore principale, ha fatto tappa anche a Bologna. Si erano fermati a Ravenna e a Brescia, sono passati da Roma e Firenze e saranno a settembre al Festival MiTo e a Verona, con programmi sempre diversi.

In apertura del concerto bolognese hanno proposto la Polonaise dal III atto dell’Evgenij Onegin, opera tra l’altro in cartellone al Teatro Comunale della città lo scorso aprile. Era forse il brano meno conosciuto rispetto a quelli che sono seguiti, ma è stato certamente un modo per rompere il ghiaccio prima di addentrarsi nelle difficoltà estreme del Concerto in re maggiore op. 35 per violino e orchestra, partitura quasi ai limiti dell’ineseguibile, soprattutto per il solista. Leticia Muñoz Moreno è salita bellissima sul palco, con il fazzoletto per la spalla dello stesso rosa lampone dell’abito che indossava. Raccoglieva il violino e vibrava il primo suono in un solo gesto fluido, gesto che si è subito rivelato presagio della precisione elegante con cui avrebbe usato archetto e dita. La Moreno è interprete dalla tecnica raffinata e le va il merito di riuscire a tener testa a una partitura di tale complessità. L’ipervirtuosismo si rivela però pericoloso quando non lascia spazio ai respiri, non dà corpo all’arcata inferiore e va a scapito dell’espressione: il suo suono brillantissimo, tagliente e spesso aggressivo (soprattutto nell’Andante), ha costretto l’orchestra ad accompagnarla con strappi siderurgici. D’altra parte Temirkanov è molto bravo nell’assecondare i solisti con cui collabora: sotto le sue mani libere dalla bacchetta, abbandonata - ha dichiarato - sin dagli anni della giovinezza in una Russia Socialista in cui delle armi del mestiere del direttore c’era penuria, con gesti minimi e compiti raccoglieva, accarezzava e plasmava un suono sempre in piano, non concedendo eccessivi scarti di dinamica neppure nell’Allegro vivacissimo, che avrebbe necessitato di maggiore vigore e volume.

Il pubblico bolognese è stato ammaliato dal fascino sensuale della Moreno, salutando il suo finale con minuti e minuti di applausi all’unisono, per i quali la violinista ha ringraziato offrendo come bis una Sarabande bachiana. Il brano, percorso con severità, si allontanava dal programma romantico della serata, ma era conferma del gusto per il cesello dell’esecutrice.

La suite Lo Schiaccianoci occupava l’intera seconda parte del concerto. Qui orchestra e direttore si sorridevano e ammiccavano nella complicità intima data dagli anni e anni trascorsi insieme. Temirkanov ha diretto gli slanci romantici della partitura con l’inconfondibile gesto suo, con quella destra leggera e la sinistra bassa bassa ad appianare ogni increspatura superflua del fluido sonoro che era chiamato a governare, quel gesto solo raramente ampliato un poco dal maggiore ondeggiare del gomito, quel gesto che era un susseguirsi di raccogliere, fare spazio, centellinare, tessere piccolissimi fili prima di distribuire il prodotto dietro di sé, a coloro che ascoltavano. Soli lui e la sua orchestra, si è potuto concedere di eccedere nelle dinamiche e alla fine di abbracciare il fortissimo del Pas de deux, lasciarsene investire prima di consegnarlo al pubblico.

Il concerto si è concluso con un bis dal Lago dei cigni e il Salut d’Amour op. 21 di Elgar. Quest’ultimo brano è forse inflazionato per abuso, eppure si sarebbero volentieri evitati gli applausi, non certo per negare agli artisti quanto era loro dovuto: evitarne il fragore e l’entusiasmo avrebbe permesso di non essere destati dal sogno.

 

 

 

 
 
 

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