L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Summa sacra

 di Giuliana Dal Piaz

Per la stagione della Tafelmusik, l'estremo capolavoro di Bach in una lettura all'altezza della qualità musicale e poetica della partitura.

TORONTO, 5 aprile 2018 - Non è davvero facile presentare al pubblico la monumentale Messa in Si minore di Johann Sebastian Bach, paragonata dagli studiosi a un polittico musicale che “pur scomposto nei suoi diversi pannelli, si rivela creazione compatta, omogenea e conseguente, degna di rappresentare l’epoca in cui fu creata, un’epoca di crisi”; e ancora: “capolavoro sospeso nel vuoto, opera d’arte polivalente [con] più stili tra loro contrastanti e regolati da un’ideale e dialettica concordantia oppositorum” (Alberto Basso).

Ultima opera di Bach, considerata come il coronamento dell'attività di un uomo dagli interessi musicali enciclopedici (li ha coperti tutti, a eccezione del teatro musicale, cui comunque si avvicinò con passioni e cantate sacre e profane), si tratta di una Messa in “stile napoletano”, che comprende varie sezioni (arie, duetti, cori): queste scompongono il testo liturgico in parti minime, e musicalmente, i numeri solistici sembrano trattati quasi come un testo operistico, mentre i cori rispettano in genere lo "stile antico". Terminata da Bach come un’opera unica nel 1749, è quella che si definiva una “parodia”, ossia una rielaborazione di musiche anteriori con parole e in contesti diversi: sempre Alberto Basso scrive: “non puro mezzo di arbitrario «risparmio» di tempo, ma ricerca sapiente, magistralmente condotta, di relazioni e «affetti» assimilabili all'interno di opere nate per ragioni differenti e in epoche diverse della propria vicenda artistica”. Mai eseguita completa in vita di Bach (la prima esecuzione avvenne a Lipsia, in lingua tedesca, nel 1859), rappresenta in effetti una sorta di compendio della musica barocca europea da parte di un artista che non aveva quasi mai lasciato la sua terra ma seguiva con estrema attenzione la produzione di altri compositori, contemporanei o più giovani, soprattutto in Francia e in Italia.

Il soprano tedesco Dorothee Mields e il tenore britannico Charles Daniels sono stati affiancati dagli ottimi cantanti canadesi Laura Pudwell, mezzosoprano, e Tyler Duncan, baritono: tutti i solisti hanno offerto un’esecuzione impeccabile, con timbro e vocalità giusti.  

La prima parte della Messa in Si minore contiene praticamente solo il Kyrie e il Gloria, mentre il clou dell’opera, il Symbolum Nicenum diventato il Credo del rito cattolico, occupa i due terzi della seconda parte del concerto. Si mescolano nei varî tasselli dell’opera lo “stile antico” della tradizione e quello “moderno” o lombardo, che ospita musiche sacre e profane contaminate da influenze italiche (Pergolesi, prima di tutto, ma anche Bassani). In modo abbastanza sorprendente il Gloria è diviso in ben otto frammenti, di cui quattro affidati al coro (Gloria in excelsis Deo; Gratias agimus tibi; Qui tollis peccata mundi; Cum Sancto Spiritu); un’aria del soprano con assolo di violino concertante (Laudamus te); un duetto soprano/tenore accompagnato dal flauto traverso (Domine Deus), mentre il mezzosoprano interpreta Qui sedes ad dextram Patris accompagnato da oboi e archi, e il baritono intona Quoniam tu solus sanctus, accompagnato da un corno concertante e due fagotti. Dopo quest’aria, tutto l’ensemble esplode di energia con trombe e timpani, nel coro che conclude la prima parte.

Il Symbolum Nicenum appare accuratamente strutturato in una sapiente architettura musicale che fa spesso uso del contrappunto: tre brani del coro (Credo in unum Deum; Et incarnatus est de Spiritu Sancto; Confiteor unum baptismum) intervallati da un duetto in forma di rondò (soprano e mezzosoprano – Et in unum Dominum) e da un’aria del baritono accompagnata dalla coppia di oboi, Et in Spiritum Sanctum.

L’ultimo terzo del concerto comprende il Sanctus, l’Osanna e l’Agnus Dei, che nel rito cattolico si trovano invece in sezioni differenti della Messa. Ma questa “summa” bachiana non ha certo scopi liturgici.

Mi era capitato una sola volta di ascoltare dal vivo quest’opera negli anni ’80 e confesso di non esserne stata particolarmente affascinata. La versione di Ivars Taurins mi è parsa invece eccellente: pur nel suo stile stravagante di direttore del coro e KonzertMaster, il mº Taurins ha tratto il meglio assoluto dal Coro da Camera e dall’ensemble Tafelmusik impegnato nel concerto (ventidue elementi), in un’esecuzione precisa ed intensa, ricca di variazioni, dal tono penitenziale del Kyrie al sottilmente drammatico del Et incarnatus est, foriero della Croce, all’esplosione gioiosa del Cum Sancto Spiritu e alla solennità del fugato mottettistico finale Dona nobis pacem

Direttore del Coro e dell’Orchestra: Ivars Taurins. Solisti: Dorothee Mields, soprano. Laura Pudwell, mezzosoprano. Charles Daniels, tenore. Tyler Duncan, baritono.

Orchestra: Tafelmusik Baroque Orchestra.

Coro: Tafelmusik Chamber Choir.

 

 

 
 
 

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