L’Ape musicale

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Mariotti in tournée con lo Stabat Mater di Rossini

Torino, Lingotto Musica, 20 ottobre, ore 20:30

Bergamo, Teatro Donizetti, 21 ottobre, ore 20:00

Nuovo appuntamento con Gioachino Rossini per Michele Mariotti con l'Orchestra e il Coro (direttore Andrea Faidutti) del Teatro Comunale di Bologna, del quale Mariotti è Direttore Musicale.

Dopo il primo appuntamento lo scorso 22 agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro, prossime date a Torino (martedì 20 ottobre, inaugurazione della stagione di Lingotto Musica), e a Bergamo (mercoledì 21 ottobre, Stagione Lirica del Teatro Donizetti): il programma rimane invariato con l'ouverture e i divertissement dal “Guillaume Tell”, quindi lo “Stabat Mater” che nel 1842 fu eseguito dapprima a Parigi, poi in prima italiana a Bologna sotto la guida di Gaetano Donizetti.

Solisti vocali in queste date autunnali saranno Yolanda Auyanet (soprano), Veronica Simenoni (mezzosoprano), Antonino Siragusa (tenore) e Michele Pertusi (basso).

“Ho impaginato il programma di questo concerto 5 anni dopo aver diretto lo Stabat Mater di Rossini – ricorda Mariotti – a Pesaro e a Firenze. A metà giugno, però, ho ricevuto un'inattesa chiamata di Riccardo Chailly per sostituirlo alla Gewandhaus di Lipsia in un programma in cui figurava anche lo Stabat di Rossini. Ho deciso così di riprendere il brano come fosse la prima volta, imponendomi una lettura non condizionata dalle mie abitudini interpretative. Questo nuovo studio ha avuto in me effetti stupefacenti: mi è sembrato di scoprire questa musica intrisa di struggente dolore, moderna perché laica e religiosa al tempo stesso; ho riscoperto in essa silenzi “assordanti”, ho sentito la necessità di ripulire l'opera da ogni pesantezza e ridondante eroicità. Ho scoperto poi, preso per mano da Rossini, un nuovo modo di vivere il rapporto con la morte; un modo onesto verso la propria dimensione umana in rapporto con Dio, ma allo stesso tempo critico e rabbioso verso quel Dio che non è stato in grado di ripagare l'uomo della totale fiducia ripostagli, generando un senso di sconforto, delusione e anche di rabbia. Proprio in questo rapporto paritetico con Dio sta, secondo me, la modernità dello Stabat Mater di Rossini. Nella fuga finale, quasi in stile bachiano (sarà stato l'ambiente di Lipsia a suggerirmi questo accostamento?), i soprani insieme ai tenori del coro intonano, come fosse un grido disperato, la parola "sempiterna" per mezzo di un intervallo di ottava dalla sonorità agghiacciante, che infonde un senso di spietata fatalità contro cui l'uomo è assolutamente inerme. Mirabili sono poi la sommessa ed estatica preghiera del tenore, la vellutata e confortante aria del mezzosoprano – quasi fosse un contraltare agli interventi solistici di soprano e basso assai più drammatici e ieratici – fino al surreale quartetto, una sorta di danza sensuale che forse più di ogni altro numero musicale incarna il vero spirito rossiniano: un misto di ironia, disincanto e drammatica consapevolezza della vita”.

Come scrive Paolo Fabbri (direttore scientifico della Fondazione) nel saggio per il programma di sala “Rossini aveva scritto a Milano, a Donizetti, per chiedergli di assumere la direzione del grande concerto. [...] Donizetti partì da Milano il 10 marzo e giunse a Bologna il giorno stesso o – più probabilmente – quello successivo (il viaggio richiedeva quasi 24 ore): mercoledì 16 diresse la prova generale, che cominciò verso l’una del pomeriggio, e il 18-20 (venerdì-domenica) le 3 esecuzioni, alle otto e mezza di sera. Di sicuro, dal suo arrivo seguì le prove in corso, ancora sotto la guida di Rossini. Il passo indietro dell’autore è attribuito da Donizetti a ragioni di salute: forse non tanto quelle fisiche quanto piuttosto di tipo psicologico, non fidandosi Rossini della propria tenuta nervosa. Dopo aver sovrinteso e presenziato alla prova generale, e dopo gli osanna conclusivi, scosso da tutte quelle emozioni e incapace di sostenere la tensione, Rossini disertò il debutto, negandosi a tutti sia durante l’esecuzione, sia dopo. L’ultima sera però Donizetti costrinse Rossini ad essere almeno in loco (invisibile, dietro le grate dell’unico box allestito in un angolo della sala per le autorità religiose, militari e civili) e, alla fine, a palesarsi. Il tumulto emotivo esplose all’atto della partenza di Donizetti: una volta giunto a Vienna, quest’ultimo avrà modo di raccontarlo rispettivamente a un amico napoletano (30 marzo) e al cognato (4 aprile): Dirti i chiassi che a Bologna si fecero a Rossini ed a me, è cosa indescrivibile. Bande, evviva, versi... Rossini finalmente che io obbligai assistere alla terza esecuzione fu festeggiato come meritava, e salse sul palco ov’io diriggeva e mi abbracciò, e mi baciò, e le grida ne assordivano ambidue. Al mio partire mi regalò 4 bottoncini per memoria, e piangeva dirottamente stando al collo mio attaccato dicendo sempre non abbandonarmi o caro amico... Tutti furono attoniti per tanta emozione in Rossini”.


 

 

 
 
 

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