L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vivaldi profano: il dramma, l'idillio e l'encomio

di Roberta Pedrotti

A. Vivaldi

Arie e cantate per contralto

Delphine Galou, contralto

Ottavio Dantone, direttore e maestro al cembalo

Accademia Bizantina

Vivaldi Edition n. 60

Registrazione effettuata nel febbraio 2018 a Bagnacavallo (RA)

CD Naïve 2019 OP 30584

Terreno fertilissimo quello delle cantate, spazio libero e duttile per dispiegare affetti, scene drammatiche che possono respirare come opere in miniatura, occasionali omaggi ed encomii. Vivaldi vi si dedicò più e più volte, con risultati altissimi com'è la - ben nota ai frequentatori del primo Settecento - Cessate omai cessate RV 684, cesello formale sia nell'eloquente plasticità del declamato sia nell'acume con cui l'aria delinea l'affetto. Davvero, non v'è traccia di maniera e disimpegno nel recitativo, così viceversa teatrale: accurato nobile e vivido. Davvero, non si indulge in leziosità arcadica o galante nella sofisticata immediatezza del porgere melodico. Per contro, la cantata palesemente encomiastica per la nomina del vescovo di Mantova, O mie porpore più belle RV 685, sembra quasi bearsi della sua serena semplicità, intrecciata però al prezioso violino concertante. E se la cantata episcopale, con la sua forma Aria-Recitativo-Aria, si presenta nella sua struttura più agile, l'altro pezzo d'occasione presente in questo CD, Qual in pioggia dorata RV 686, riprende le proporzioni più ampie con Recitativo-Aria-Recitativo-Aria. Tuttavia, a differenza di Cessate omai cessate, qui il recitativo non assume particolare pregnanza drammatica e non si articola di sezioni contrastanti, rimanendo un passo indietro rispetto all'esuberante franchezza di arie che per celebrare con adeguato sfarzo gli splendori e le gioie della corte si avvalgono di corni da caccia concertanti in gara con la voce.

L'accostamente delle tre cantate con arie singole tratte da opere vivaldiane è eloquente per constatare come un linguaggio comune si esprima in contesti diversi, come il dramma in miniatura o l'anti-dramma d'occasione trovino corrispondenti a tinte più forti nella complessità della costruzione teatrale, sia in carezzevoli ariette di gusto bucolico, magari con flauti concertanti a enfatizzare l'atmosfera pastorale, sia in pezzi più spiccatamente agiti nel pathos, nell'ansia, nell'impeto, nella rassegnazione malinconica. O nell'ironia, come per l'indiavolata "Semplice non temer" da La verità in cimento, con quei sarcastici e insidiosi a parte. Proprio qui, Delphine Galou si scatena nel sottolineare con contrasti timbrici estremi, in indugi melliflui e stilettate bisbetiche il carattere falso e insidioso di Damira, tant'è vero che risulta straniante davvero leggere, nelle note di copertina, la definizione di "positiva e rassicurante" per quest'aria. Tutt'altro! Fa invece un gustoso contrasto con i retaggi dell'opera veneziana mista di piccante commedia e la nobiltà e nella misura arcadica che si respira nelle cantate, siano esse drammatiche o giubilanti, o in altre arie tratte, per esempio, da Tito Manlio e Il Giustino. Pagine, peraltro, che la Galou affronta con debita souplesse e articolazione sempre chiara, in perfetta sintonia con la cifra dell'Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, nell'ottica di un'espressione sempre ben temperata nell'equilibrio delle forme, nelle dinamiche e dei tempi, nella cura di un suono tornito senza sbavature e asperità.

 


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