L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Non invocare il nome della Morte invano

 di Suzanne Daumann

Preziosa occasione, per l'Opera di Angers-Nantes, di assistere all'incubo sconvolgente e al commuovente inno alla pace dell'opera di Viktor Ullmann, composta e rappresentata nel campo di Terezin.

NANTES, 7 novembre 2015 - Ci sono opere che è impossibile dissociare dalla loro epoca e dal destino dei loro creatori. Der Kaiser von Atlantis è certamente una di queste: scritta e messa in scena nel campo di concentramento di Terezin, da un compositore ucciso ad Auschwitz, quest'opera è un grido possente, venuto dal cuore dell'inferno, un grido per la pace.

Il libretto di Petr Kien, lui pure prigioniero a Terezin, possiede la poesia di certi incubi: la Morte incontra Arlecchino, alias il Riso, alias la Vita, e gli dichiara di averne abbastanza della meccanizzazione del suo lavoro. Infatti, rifiuta di proseguire nella sua opera. L’Imperatore Overall (gioco di parole sulla parola Overall, che in tedesco indica una tuta da lavoro, mentre in inglese significa "al di sopra di tutto") vive isolato dal mondo nel suo castello. Un altoparlante gli serve per comunicare con l'esterno, e il Tamburo trasmette i suoi ordini alla popolazione. Non appena l'Imperatore dichiara la guerra di tutti contro tutti, si rende conto che i soldati e i condannati a morte non muoiono più. Due soldati si affrontano sul campo di battaglia. Quando uno dei due s'accorge che l'avversario è una ragazza, se ne innamora. La Morte si reca dall'Imperatore per spiegargli che il suo ruolo nel mondo non è quello di portare il terrore, bensì la pace. Infine, tutti intonano un corale per invocare un nuovo comandamento: "Non invocare il nome della Morte invano".

Il linguaggio musicale di Viktor Ullmann segue fedelmente il tema del testo. Ullmann utilizza tutti i mezzi del suo tempo, un po' di music-hall, si pensa a Weill, a Strauss, poi giunge un canto popolare… All'inizio abbiamo molto Sprechgesang, ottoni stridenti,. non è di tutto riposo. Gli interventi del Tamburo hanno qualcosa della prosodia isterica di Hitler e ci si chiede come anche una sola rappresentazione di quest'opera si sia potuta allestire. Man mano che l'opera prosegue, emergono motivi più dolci, e il corale conclusivo è d'una bellezza irreale e totalmente sconcertante.

Louise Moaty ha realizzato un allestimento che rispetta e traduce la bellezza onirica e inquietante dell'opera. Un semplice impalcatura sulla scena pressoché nuda, con grandi elementi di tessuto bianco, metà paracadute, metà meduse, che si agitano, salgono, scendono, a seconda dell'azione. I costumi di Alain Blanchot sono assai semplici e altrettanto cupi, solamente il Tamburo indossa un abito di un rosso eclatante.

L’Ensemble Ars Nova sotto la direzione di Philippe Nahon serve la partitura con gran finezza e arguzia.

Peccato che nel loro primo dialogo sia Sébastien Obrecht (peraltro lodato in altre circostanze), Arlecchino, sia Wassyl Slypak, La Morte, hanno avuto qualche difficoltà in acuto. Noi siamo al'ultima recita, le voci forse ganno sofferto un certo affaticamento, dovendo affrontare tenore e basso due ruoli ciascuno... Detto questo, in seguito i due sono stati comunque impeccabili, come il resto del cast: Pierre-Yves Pruvot, baritono, è un convincente Imperatore Overall, il mezzosoprano Anna Wall offre la giusta dose di steria hitleriana al suo Tambour, il soprano Natalie Pérez è adorabile come Bubikopf, la fanciulla, e quando tutti si avanzano per il coro finale, bisognerebbe avere un cuore di pietra per non piangere con loro sulla condizione del mondo e su nostri aneliti di pace sempre delusi.

Si esce nella notte con il cuore gonfio, ringraziando Angers-Nantes Opéra d’aver programmato quest'opera, e augurandoci che tutti i grandi teatri facciano lo stesso, e che tutti i generali e i mercanti d'armi abiano un giorno occasione di vivere questa sconvolgente esperienza.

foto Jeff Rabillon


 

 

 
 
 

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