L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il sangue di Rigoletto

 di Valentina Anzani

Ovazioni per Mehta all’ultima replica di Rigoletto all’Opera di Firenze.

Firenze, 20 dicembre 2015 – L’ultima replica di Rigoletto al Teatro dell’Opera di Firenze si apre con un’ovazione al maestro Mehta: raggiunge il podio accolto dai calorosissimi applausi di un pubblico che gli è affezionato. Dopo gli ultimi accadimenti, la solidarietà nei confronti dell’ormai da trent’anni Direttore principale dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino si manifesta generale: la scorsa settimana infatti Dario Nardella (sindaco di Firenze e presidente della Fondazione) e Francesco Bianchi (sovrintendente dell’Ente Lirico) hanno comunicato che dal 2017 la sua carica sarà modificata in “Direttore principale emerito a vita”; di fatto la Direzione principale sarà affidata a Fabio Luisi, che lascerà New York e la Metropolitan Opera House per affiancare Bianchi nella consulenza artistica del Maggio Musicale Fiorentino.

Quando nel 2001 debuttò al Teatro Regio di Parma, l’allestimento di Hennings Brockhaus non raccolse particolari consensi, né le attuali riprese fiorentine ne hanno cambiate le sorti. Corte e personaggi sono posti in scene (di Ezio Toffolutti) totalmente imbevute (mobilio compreso) in rosso ruggine, inferno circense dell’assurdo e del carnevale, con cortigiani come spiritelli demoniaci. Gilda è un’adolescente prigioniera di un padre che non conosce che da tre mesi e che la rinchiude tra le sbarre di un letto a culla, sbarre ribadite nel riflesso ostile sopra di lei. Quello che dispiace è che Brockhaus proponga sì alcune visioni d’effetto, ma dimentichi elementi fondamentali del dramma. Con il suo lavoro mette in evidenza elementi descrittivi (vedi la scena della tempesta), o azzarda sottotesti di riflessione (come il finale del prim’atto in cui Rigoletto si ritrova minuscolo omuncolo precipitato nel suo profondo, sanguigno, inferno: il suo quadrato di mondo è stato rubato e lui è in solitudine e ai piedi di una scala che non porta a nulla); eppure troppo spesso dettagli intrinseci e finezze interpretative si perdono nel marasma sovrabbondante di comparse, di per sè dai costumi accurati e gratificanti (di Patricia Toffolutti), ma che non fanno che distrarre dai punti focali dell’azione e dal profondo coinvolgimento emozionale provato dai personaggi via via. La discrasia tra conduzione orchestrale e visione scenica è poi assoluta. L’una è vivida, orrorifica: Mehta indugia in tempi lenti nell’intento di sottolineare quanto ogni nota dell’opera, dai ballabili, alle canzonacce d’osteria, siano in realtà ognuna tassello verso la più nera tragedia, e fa emergere la bieca ironia crudele sottesa a ogni tratto comico. L’altra al contrario si ripete sempre uguale a sè stessa: ne è esempio massimo la scena del secondo atto in cui Rigoletto cerca di raggiungere Gilda, rapita. Ognuno è consapevole che al di là della porta si sta consumando il suo disonore, ma i cortigiani trattengono sadici un padre impotente. Ebbene, nonostante il turbinìo in orchestra, nulla è diverso sul palcoscenico rispetto a tutte le altre scene di corte dell’allestimento: sempre le medesime maschere che si ripetono nelle medesime scontate pose da burlesque di basso livello.

Alti e bassi nel cast vocale, in cui ad avere la meglio sono le voci gravi: Rigoletto è Vladimir Stoyanov, pienamente convincente nella presenza scenica e agile nell’inasprire all’occorrenza il colore per finalità espressive. Anna Malavasi è un’ottima Maddalena, nonostante debba far fronte a vistose differenze tra il registro acuto e quello grave, buona è la prova di Giorgio Giuseppini (Sparafucile) e davvero accattivante è poi il timbro contraltile di Chiara Fracasso nel ruolo della governante Giovanna. Il Duca di Ivan Magrì forse pecca d’imprecisione nel sincrono con l’orchestra, ma è dotato di un mezzo vocale ampio, e non rinuncia al sovracuto nel duetto con Gilda (Julia Novikova): la loro bellissima cadenza, in pianissimo, è infiorettata di fluide agilità dalla Novikova. Lei ha un registro acuto flebile, ma cerca di ovviare al problema attraverso un’intelligente gestione dei volumi, in accordo con le dinamiche di Mehta, che gioca sottilmente in attraversamento di tutta la gamma dal più leggero pianissimo alle tinte crude dei finali d’atto.

Durante l’intervallo, clima di festa: nel foyer la banda d’ottoni (sul palco nell’atto primo) ha regalato al pubblico brani natalizi.

foto © Alfredo Falvo - Contrasto


 

 

 
 
 

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