L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Verità guastafeste

di Isabella Ferrara

Festen. Il gioco della verità di Thomas Vinterberg, Morgens Rukov & BO Hr. Hansen approda con successo al Bellini di Napoli con la regia Marco Lorenzi.

NAPOLI 19 marzo 2024 - "Scusate. Scusate se vi disturbo con le mie parole, le mie favole inventate, così vere da meritare il buio di un bosco, dove i suoni che sembrano familiari sono ingannevoli, e presto si tramutano in qualche orrore." Chiede scusa colui che rovina la festa a tutti con il suo cattivo gusto per la verità, inopportuna, come spesso appare. La verità non ha le scarpe giuste o l’abito adatto per l’occasione. È distratta, concentrata solo su sé stessa, e chi la racconta deve essere un pazzo per decidere di annoiare o perfino turbare gli ospiti. Basterà cantare e ballare per liberarsene. Basterà? Che fastidio l’insistenza, nonostante i colpi, con le parole e con i pugni, non si arrende. Pare proprio che non abbia più nulla da perdere. Attesa, rabbia, incredulità, compassione, disgusto sono alcune fra le emozioni che non si possono ignorare seduti su quelle poltrone in teatro mentre quello che accade sul palco, e non solo lì, sembra la verità.

Lo spettacolo è il primo adattamento italiano dell’omonimo film di Vinterberg, scritto da Morgens Rukov & BO Hr. Hansen e prima opera aderente al manifesto Dogma 95. Racconta della festa di compleanno del patriarca di una famiglia benestante danese, tutta riunita nella grande casa d’infanzia per l’occasione. Racconta, come una favola nera, i segreti e gli orrori dietro ai compromessi fatti per restare uniti, per restare potenti, per non increspare la superficie di una perfezione e di una felicità di facciata. Ma fa di più. Cattura lo spettatore senza lasciare spazi vuoti, trascina nelle sue trame come in un tessuto che stringe, per poi aprirsi. È proprio la ripresa di una realtà con una videocamera. È un Reel, un Selfie senza filtri, una Storia senza effetti, è girato e vissuto in quel preciso momento. Il tema, l’autore, il metodo promettevano un paio d’ore di impegnativa attenzione, paziente e seriosa. Non è stato così. È stato puro coinvolgimento. Tutto dosato nel migliore dei modi. I momenti di solitudine dei singoli inetrpreti, quelli di affetto fanciullesco tra fratelli, come quelli di scontro e ferocia emotiva. La durezza delle parole di chi avrebbe dovuto amarti, il dolore e la paura di una morte che lascia segni indelebili, e resta presente con innocenza e purezza.

L’orrore incomprensibile della violenza, che non riesce a trovare motivi nè ragioni. La paura del buio in un bosco favolesco che, nell’amore, cerca il coraggio di seguire altre strade. Le musiche, e le inquadrature fatte di volti fieri e umili, di luci e ombre, echi, sussurri e forti, acuti lamenti.

Gli attori, Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Yuri D’Agostino, Elio D’alessandro, Roberta Lanave, Carolina Leporatti, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca, sono padroni di una recitazione che è azione vissuta e non dissimulata in quello spazio temporale. Alcuni sorprendenti nella loro spontaneità e veridicità; riescono a farsi amare, odiare, risultano simpatici, fanno rabbia e compassione. Trasmettono l’ingombro che nasce dall’ingiustizia del rifiuto della verità, nascosta dietro falsi sorrisi, urla, canzoncine festose. La voglia di urlare contro. La violenza del rifiuto, così come quella di fronte allo squarcio dell’evidenza innegabile. La festa è finita, dobbiamo reagire, restiamo esposti “in primo piano”, e non cala il sipario, ma si alza il velo e sparisce lo schermo.


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