L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Come acqua nella sabbia

di Michele Olivieri

L’emergenza sanitaria ancora in atto ci ha imposto un nuovo comportamento. Non si può andare a teatro ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, bisogna solo fruirne in maniera differente. Grazie al web e alla televisione importanti proposte arrivano direttamente a casa dando una mano alla cultura. Sul sito ufficiale della Staatsoper di Hannover è stato trasmesso in diretta il balletto con la coreografia di Marco Goecke.

HANNOVER – Verrebbe da esclamare a chi non lo ha visto “Cosa aspettate? Entrate in questo balletto, e non perdetevi nemmeno un passo”. La Staatsoper di Hannover ha presentato in anteprima mondiale streaming Der Liebhaber ovvero L’Amante, tratto dal celeberrimo romanzo di Marguerite Duras, con la coreografia del sempre sorprendente Marco Goecke. La sua scrittura teatrale ha un incedere lieve e poetico, soprattutto nello scavo psicologico dei personaggi; le cose non dette, le attese, i capricci, il sesso consumato fugacemente strutturano un equilibrio fragile entro cui la storia avanza. Un balletto che si lascia immaginare, toccare con mano, che vive e suggestiona la fantasia. Il libro, in parte autobiografico, di maggior successo dell’autrice francese racconta di un giovane sentimento femminile sbocciato all’età di quindici anni con un uomo di dodici anni più maturo. Il materiale letterario è universale, una storia di trasporto che affascina, provoca inquietudini profonde e contrastanti, risveglia istinti difficilmente confessabili; eccitante e provocante, qui presentata mediante l’arte della danza e nel predominare del nero nel suo significato più filosofico, quello di negazione della realtà. L’Indocina durante l’era coloniale francese, l’esotico, la foschia dell’afa, la pioggia, la terra allagata, lo spazio fumoso, una ragazza europea con un cappello da uomo rosa, una famiglia senza padre, una madre difficile e due fratelli complicati. Un ricco cinese con una limousine nera (realmente portata in scena), il rumore della città, un incontro appassionato che trascende tutte le convenzioni: un amore che non ha futuro e che dura per tutta la vita, seppur nella separazione carnale ma non certo spirituale.

Il linguaggio stilistico senza eguali di Marco Goecke appare minimalista nell’impianto generale nonostante la ricchezza dei movimenti, frenetici, convulsi, fluidamente scattevoli come fossero burattini mossi da un gran cerimoniere, una calligrafia veloce, pennellate che dalla tavolozza del tempo si imprimono sulla tela con i profumi del sud-est asiatico, mantenendo al centro della scena i sentimenti universali. La creazione coreografica forma una sintesi emotiva di pari passo alla narrazione e, sebbene il balletto non segua alla perfezione la trama, offre ad ogni modo uno spaccato coerente e nella sua essenzialità colpisce l’intimo dell’esistenza con l’uso della voce in refrain gutturali. Lo spettacolo è accompagnato dalla musica dal vivo, eseguita dalla Niedersächsische Staatsorchester, diretta da Valtteri Rauhalammi, con i costumi e le scenografie patinate di Michaela Springer, le luci di Udo Haberland (splendidi i coni entro cui sono localizzati ogni possibile sviluppo futuro e le possibilità ad esso legate) supportati dalla solida drammaturgia di Esther Dreesen-Schaback. In scena i prodigiosi danzatori dello Staatsballett Hannover: Özkan Ayik, Francisco Baños Diaz, Sandra Bourdais, Ana Paula Camargo, Marta Cerioli, Michelangelo Chelucci, Conal Francis-Martin, Maurus Gauthier, Rosario Guerra, Lilit Hakobyan, Alessandra La Bella, Chiara Pareo, Robert Robinson, Tommy Rous, Adam Russell-Jones, Veronica Segovia Torres, Michèle Seydoux, Davide Sioni, Vantell-Boateng Smith, Louis Steinmetz, Javier Ubell, Jamal Uhlmann, Laura Nicole Viganó, Adria Vilar Algueró, Giovanni Visone, Xenia Wiest, Giada Zanotti, Nikita Zdravkovic. Le musiche sono da sottolineare per quella limpidezza abile nel ricreare attraenti atmosfere grazie alle partiture della raccolta Nostalgique Vietnam composta da canzoni, poesie e preghiere; ma anche da La Mer di Claude Debussy, Concerto per pianoforte in sol maggiore di Maurice Ravel, D’un soir triste di Lili Boulanger, “Mon truc en plume” e “Je te tuerai d’amour” dell’iconica Zizi Jeanmaire (geniale l’accostamento), il primo studio per pianoforte di Unsuk Chin, e Walzer in si bemolle, op. 69 Nr. 2 di Frédéric Chopin. Le sonorità unitamente alle dinamiche generano un gioco di onde come fosse un dialogo tra vento e mare. Il coreografo scrive la sua storia non cronologicamente, ma a episodi come fece la Duras rendendo scorrevole il racconto e l’estetica degli iperconnessi esecutori (tutti!) a partire dai due viscerali primi ballerini, calibrati all’unisono nel seguire gli istinti e gli accenti prospettici, come fosse una continua corrispondenza tra letteratura e coreutica. Guardando il balletto si trova un ricordo vivo, narrato per immagini e tratti riconnessi tra loro nel sentimento della vicenda, che non ha un solo volto, che ha un inizio e una fine ma vive di molteplici aspetti e, soprattutto, non pretende di esaurirsi nell’espressività del corpo. In fondo la creazione di Goecke è sincera, come il libro della Duras: ci parla della vita che cerca in ogni modo un’apertura per giungere alla luce, per trasmettere la sensazione di una tristezza incancellabile che si attacca alla pelle, per non perdersi, per non dimenticare, forse per ritrovarsi nella propria solitudine. Vengono creati spazi fondati sull’elemento dell’acqua (che rimanda al fiume Mekong e all’Oceano Indiano, quali metafore d’amore), la gestualità a tratti ricorda in chiave contemporanea le antiche discipline tradizionali popolari, quell’arte di muoversi in modo simile a una danza sacra come a farsi coraggio e a concentrarsi prima di una importante battaglia con sé stessi, e al contempo le leggendarie marionette sull’acqua Roi Nuoc, una storica arte che fino a qualche decennio fa era sconosciuta al di là dei confini, una tradizione millenaria creata dai contadini che lavoravano nelle risaie sul delta del Fiume Rosso. Si intravedono così immaginifici specchi paludosi messi a disposizione dalla natura ed utilizzati come fossero palcoscenici, nel rappresentare l’acqua in negativo e in positivo, una danza al limite del mitologico. Infatti i due protagonisti sono più simili a flutti che si scontrano tra loro, per risorgere e nuovamente affondare negli abissi.

Un balletto capace di molteplici riflessioni, n cui i contorni sfocati del ricordo diventano linee nette e armoniche su passi non convenzionali – di difficile esecuzione – mai scontanti, mai banali. Sembra di essere intrappolati in un sogno ancestrale e intralciante in una canicolare notte estiva; un sogno soffocante di struggicuore. L’intero apparato teatrale, scenico ed esecutivo funziona rigorosamente, attraente la traslazione “sigaretta dopo sigaretta” come a privare il corpo dell’intrinseca vitalità. La musica ha anch’essa ballato diventando una vivida testimonianza dell'epoca in cui il romanzo venne ambientato con i suoi simboli: dal fiume che scorre inesorabile come il tempo, all’ambiente stagnante e restio ai cambiamenti. Uno spettacolo di danza densissimo, di dolore e rinuncia, seducente nel segno passionale e nel personale dizionario di Goecke, un gentleman del balletto! Nel finale il primo piano sul volto della protagonista nel passare degli anni, le lacrime, l’abbraccio in un lento... “Presto fu tardi nella mia vita. A diciott’anni era già troppo tardi. Sono invecchiata a diciott’anni [...] E tutto a un tratto non era più sicura di non averlo amato, solo che quell’amore non l’aveva visto perché si era perso nella storia come acqua nella sabbia e lei lo ritrovava soltanto ora, nell’istante della musica sul mare... Saigon-Paris ”.


 

 

 
 
 

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