L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

stephane deneve

Che la musica sia con voi!

 di Stefano Ceccarelli

Sul finire della stagione, l’Accademia di Santa Cecilia è adusa regalare appuntamenti musicali con la musica contemporanea. È la musica da film, in quest’occasione, a essere scelta per l’esecuzione; il francese Stéphane Denève programma di eseguire musiche di John Williams e di Sergej Prokof’ev, quindi di sondare un contemporaneo ‘classico’ (Prokof’ev) e un autore ancora in attività estremamente amato e conosciuto. Denève ha l’imbarazzo della scelta per John Williams: la sua attenzione cade, a ragione, sulla suite per coro e orchestra di Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the third kind, 1977), sulla suite orchestrale delle musiche di E.T.: avventure sulla terra (E. T. The Extra-Terrestrial, 1982) e, dulcis in fundo, sull’immancabile antologia di musiche di Star Wars (The Imperial March – Darth Vader’s Theme, Yoda’s Theme, The Asteroids Field e Main Title). La seconda parte del concerto è dedicata alle musiche di Prokof’ev: la suite ricavata dalla partitura pensata per il film Aleksandr Nevskij di uno dei padri fondatori del cinema, Sergej M. Ejzenštein, suite che vede la partecipazione del mezzosoprano Varduhi Abrahamyan. Il pubblico applaude contentissimo, regalando autentiche ovazioni agli interpreti.

ROMA, 30 maggio 2015 – Che la musica sia con voi! L’Accademia di Santa Cecilia regala all’affezionato pubblico romano un concerto sui generis: tutte musiche per il cinema. Per la prima volta la maggior orchestra italiana si cimenta con le composizioni di John Williams, il più blasonato compositore di musica per cinema oggi esistente. Basti fare pochi nomi: Incontri ravvicinati del terzo tipo, Jurassic Park, E.T.: avventure sulla terra, Lo squalo, Schindler’s List, Indiana Jones, La guerra dei due mondi, Star Wars… e l’elenco potrebbe, volendo, occupare l’intero spazio della recensione. A dirigere il concerto è Stéphane Denève, istrionico direttore francese dall’irresistibile verve comica, facondo (abbastanza buono il suo italiano) e incline a un dialogo col suo pubblico. Che sorpresa, per gli spettatori dell’Accademia, trovarsi nell’atrio dell’Auditorium attori mascherati da truppe dell’impero (non solo gli Stormtroopers – le truppe d’assalto in armatura bianca − ma anche gli ufficiali − nelle celebri fogge ammiccanti alle divise naziste) e da Jedi: tutti a correre a farsi foto da mettere sui social! (Avrò anche trent’anni suonati ma la foto, in posa con la spada laser in mano, assieme al simpatico attore mascherato da Obi-Wan Kenobi, non me la sono certo lasciata sfuggire!). Insomma, il clima ideale per godere di un primo tempo tutto tributato a John Williams. Antologia significativa, importante, quella delle musiche accuratamente selezionate da Denève.

S’inizia con Incontri ravvicinati del terzo tipo e già troviamo irresistibilmente simpatico il direttore francese, che ci spiega, microfono alla mano, l’importanza del celebre motivo (penta-)quadrifonico con cui gli uomini riescono alfine a comunicare con l’astronave aliena. L’orchestra suona (e continuerà a farlo per tutta la serata) divinamente: gli strumenti rendono viva, raffinatissima, una musica di pregevole fattura. Il crescendo dissonante in tremolo degli archi, con tanto di scoppio di accordo in do maggiore, apre la suite di Incontri ravvicinati del terzo tipo, condita dagli interventi di uno straniante coro che ci conduce in un’atmosfera di mistero; suoni glacialmente spettrali cui segue un concitato sviluppo fatto di pastosi timbri dall’eco debussiane – persone ben più colte di me v’hanno riconosciuto influssi di Ligeti – fino a che la partitura non si compone nel tema celeberrimo, il tema (penta)quadrifonico, variamente porto, mediante cui gli alieni comunicano con gli uomini. Gli applausi alla fine sono già fragorosi e testimoniano fin d’ora l’alto apprezzamento per un concerto straordinario – e che tutti ci auguriamo venga riversato in un bel Cd.

Ora Denève ci racconta di aver avuto la fortuna di conoscere e di diventare amico di John Williams, ci confida di come vorrebbe dirigere la suite orchestrale di E.T. con un orsacchiotto nella mano sinistra, tanto ha amato la pellicola da bambino: ancora un capolavoro del regista Spielberg, dopo Incontri. L’orchestrazione condisce motivi che, da un’iniziale nebulosità misterica (che sarà comune a tutti i film alieni di Williams) porta a temi più dolci, a tratti commoventi, che dimostrano l’avvenuto, pacifico contatto fra uomini e alieni – e G. D’Alò, autore dell’ottimo programma di sala (da cui ho tratto più di una riflessione), non manca, intelligentemente, di notare come Incontri anticipi il disgelo fra URSS e America (allo scioglimento della Guerra Fredda) e come E. T. superi la visione dell’alieno come mostro d’indicibile bruttezza e crudeltà (proiezione psicologicamente comprensibile dell’ignota paura del nemico invisibile, della caccia alle streghe comuniste durante la Guerra Fredda, appunto) per accogliere quella di un essere dolce e da proteggere, perfino abbandonato dai suoi simili. Ci si commuove al ricordo delle dolci avventure del bambino e del suo alieno: l’orchestrazione ricca e la felice inventiva motivica, intessuta di ogni sapienza compositiva, dosata nell’uso delle compagini orchestrali e degli effetti, tradisce echi d’indubbia tradizione sinfonica tardo-romantica. Applausi, contentissimi, ancora.

Ecco Denève arrivare con una spada laser: è giunto il momento di Star Wars! Ma Denève rinuncia a dirigere con l’ingombrante spada laser, che rimane ai suoi piedi. All’attacco della tenebrosa marcia dell’Impero (The Imperial March – Darth Vader’s Theme), all’imperante richiamo dei tenebrosi ottoni, siamo proiettati all’interno di una enorme nave spaziale della flotta imperiale: Denève dà prova di polso ritmico invidiabile (come nei brani precedenti aveva privilegiato una direzione sentimentale, d’effetto, emotiva e suggestiva), ci regala emozioni al cardiopalma che si stemperano solo nella parentesi dell’affettuoso affacciarsi del maestro Yoda, ‘impersonato’ dal corno e dai guizzi dei legni che ne evocano l’agilità (Yoda’s Theme) e riprendono in tutto il loro epico vigore nella celeberrima marcia che apre tutti gli episodi di Star Wars, cui Williams (nell’edizione da concerto) ha legato il riconoscibilissimo tema del finale dell’episodio IV (A New Hope), evocante anche i vari rapporti d’affetto fra i protagonisti. Denève è subissato di applausi: il primo violino brandisce la spada laser in un epico saluto al pubblico.

Dopo l’intervallo, Denève prevede un’altra celebre musica da film: l’Aleksander Nevskij di Sergej Prokof’ev, la cui partitura era stata originariamente pensata per le musiche dell’omonimo film del genio e padre della cinematografia Sergej M. Ejzenštein. «Il film di Ejzenštein è un’opera sinestetica», commenta, correttamente, D’Alò; anzi, Prokof’ev spesso compose la musica prima di visionare direttamente il montaggio delle scene girate. Il carattere cinematografico della partitura non va certo scemandosi nell’edizione che Prokof’ev apprestò per le celebrazioni moscoviti del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), nel 1939, in pieno stalinismo e nel fiore delle tensioni per i movimenti bellici di Hitler. La nuova partitura di Prokof’ev è, infatti, una cantata per mezzosoprano, coro e orchestra, attagliata proprio in vista delle celebrazioni di un partito che doveva essere più unito che mai, in quel frangente storico. Denève, nella direzione dei vari corali e degli intermezzi puramente orchestrali, trova l’autentica cifra russa, prettamente eroica, inneggiante, da parata, appunto – benché, certo, non banalmente da parata − sapendo anche dosare momenti più riflessivi e evocativi, come la sezione orchestrale glacialmente intarsiata di spine timbriche che evoca la celebre battaglia sul ghiaccio del lago dei Ciudi, quando il difensore della Russia, il principe Nevskij, cacciò i Teutoni invasori spingendoli a precipitare sulle lastre d’acqua ghiacciata. Siamo davanti, forse, al più patriottico dei doni musicali di Prokof’ev alla patria Russia: la parte per mezzosoprano, che la talentuosa armena Varduhi Abrahamyan canta con voce centratissima, ricca di colori, udibile, duttile, dal timbro brunito e dal controllo contraltile dei bassi, è quasi il discorso di una prosopopea della Russia stessa, una Russia che bacia gli occhi dei valorosi accasciatisi sul manto nevoso, che sposerà i fortunati vivi, purché ritornati valorosi. Il coro staglia, con tutta la potenza di cui è capace, un canto celebrativo, autenticamente sovietico: le maledizioni scagliate contro i nemici anticipano gli epici scontri dei russi contro gl’invasori tedeschi, che di lì a poco si sarebbero follemente arrischiati in una marcia suicida nel cuore della Russia (proprio come nel 1242 Nevskij difese i russi dall’invasione teutone, capeggiata dai Portaspada e dai Cavalieri della Croce).

Alla fine del potentissimo accordo conclusivo, tenuto a tutta orchestra vigorosamente, Denève raccoglie, assieme alla Abrahamyan, al coro e all’orchestra intera, meritatissime ovazioni. Indiscutibilmente, tra i più bei concerti della stagione.

 


 

 

 
 
 

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